Gemello (Il)
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Regia: | Marra Vincenzo |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Vincenzo Marra; fotografia: Francesca Amitrano; montaggio: Luca Benedetti; suono: Daniele Maraniello; interpreti: Raffaele Costagliola ('Il gemello'), Domenico Manzi ('Niko'); produzione: Gianluca Arcopinto, Marco Ledda, Vincenzo Marra, Angelo Russo Russelli per Axelotil-Settembrini Film; distribuzione: Zaroff – Kimerafilm; origine: Italia, 2012; durata: 88’. |
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Trama: | “Il Gemello” è il nomignolo di Raffaele. Ha 29 anni e due fratelli gemelli. E’ entrato in carcere all’età di 15 anni per aver rapinato una banca, da 12 vive li dentro. Raffaele non è un detenuto normale, ha carisma e gode di grande "rispetto" da parte degli altri detenuti. Il carcere circondariale di Secondigliano (Napoli) è la sua casa, lì, in quel luogo di dolore, vive con il suo compagno di stanza Gennaro; coetaneo e condannato all'ergastolo. Con lui lavora alla raccolta differenziata dei rifiuti e grazie a questo lavoro mantiene la sua famiglia d'origine. Raffaele ha un rapporto speciale anche con Niko, il capo delle guardie carcerarie con cui parla e si confronta. Niko sta cercando di introdurre nelle sezioni carcerarie che dirige regole più umane e attente all'individuo.
Il film è un viaggio all'interno dei luoghi fisici e dell'anima di Secondigliano, dagli spazi angusti delle celle, al parlatorio in cui si incrociano le esistenze dei tre protagonisti tra piccoli e grandi avvenimenti. |
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Critica (1): | Ci sono firme inconfondibili nel cinema, registi che riconosci, che facciano documentari o film di finzione. Di solito avviene perché sanno prendersi rischi e tentare strade che altri neanche considererebbero praticabili. É il caso di Vincenzo Marra, che a Venezia torna per la sesta volta e per la seconda alle Giornate degli Autori. Dopo L'udienza è aperta, infatti, che qui fu accompagnato anche da un ancora poco conosciuto Saviano, arriva ai Venice Days Il gemello, il racconto partecipato e potente di due uomini a loro modo straordinari.
Domenico Manzi, ispettore capo a Secondigliano, e il detenuto Raffaele Castagliola, detto "Il gemello" (perchè ha due fratelli gemelli), facce diverse di un sistema repressivo che qui sa mostrarsi anche come organo di recupero e riabilitazione. Manzi è uno di quegli eroi normali che l'Italia ama ignorare, uno di quelli che nel suo lavoro – lo si è visto nell'intervista a fine proiezione, nella passione con cui ne parlava – ci mette tutto.
Per lui il detenuto, e non solo Raffaele, non è mai un numero, ma un essere umano da ascoltare, magari da far riflettere, di sicuro con cui confrontarsi. E se pensate al modello del buon samaritano, scordatevelo: la sua professionalità arriva da anni di esperienza e studi, e la vedi dalle chiacchierate con l'altro protagonista ma anche dalle sue modalità di indagine. Raffaele è un uomo molto sveglio, dall'intelligenza viva e l'anima inquieta, con un fascino e un carisma che sembrano fatti per il cinema e che in carcere gli valgono rispetto e attenzione.
Marra, che in quel centro di detenzione ha ottenuto massima libertà – un ossimoro, ma non lo è forse tutto il cinema? – ci mette tutto il suo talento: nell'osservazione della prima parte e nella costruzione del dramma psicologico della seconda, in quella capacità di girare innata e rigorosa, empatica e penetrante, che gli permette di farci sentire i sentimenti e le sensazioni, di farci soffocare da quelle sbarre o dall'ora d'aria in uno spazio troppo ristretto. Il regista si muove con la macchina da presa in modo da restringere lo spazio dei protagonisti e dello spettatore stesso, si e ci concentra su quel rapporto a due che è simbolo e motore di un nuovo modo di considerare le istituzioni carcerarie.
"Ho cercato di filmare la vita – ha detto Marra - cercando come un segugio la drammaturgia e l'anima delle persone e dei luoghi". Ci è riuscito, con una capacità di restituirceli con potenza inaudita, presentandoci la quotidianità di una casa circondariale e stupendoci con l'abbattimento di pregiudizi e stereotipi.
Ma al di là della grande qualità cinematografica dell'opera di Marra, del suo valore civile, forse è la lettera che oggi il regista ha condiviso con il pubblico della Sala Darsena la cosa che più sottolinea l'importanza de Il gemello. La missiva è proprio di Raffaele che, in carcere dall'età di 15 anni, 12 alle spalle e meno della metà davanti per riacquistare la libertà, non ha potuto essere presente. "In carcere ci sono solo sofferenze – ha scritto – e si vive a metà, ma io sono un gladiatore e lotto. E pago per quello che ho fatto, perché è giusto.
Ma ora ho scoperto di essere libero nell'anima e nella mente grazie a te, Vincenzo, amico mio, con l'arte, con il cinema. E per questo spero di poter fare presto un altro film insieme. Grazie a questo tempo insieme mi sono sentito un uomo e non un numero". La lettera, che raggiunge le sei pagine, ha molti momenti toccanti ma di sicuro queste righe ci dicono quanto questo documentario sia stato importante per chi l'ha vissuto e interpretato. "Volevo mostrare cos'è il carcere adesso – ha sottolineato Manzi –, lontano dall'immagine che ne davano i film del passato o la tv". Missione compiuta per tutti. E grazie a un film speciale.
Boris Sollazzo, Il Sole 24 ore, 5/9/2013 |
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Critica (2): | La macchina da presa pedina due guardie nella penombra del carcere di Secondigliano; continua a seguirle mentre ispezionano alcune celle: c'è chi ha accumulato casse su casse di acqua minerale per fare un po' di palestra; c'è chi orgogliosamente esibisce, in cima all'armadio smilzo, lo "statolo" coi colori del Napoli; c'è Raffaele, che, col suo sguardo inquieto e magnetico, instaura da subito un rapporto privilegiato con l'ispettore Domenico Manzi e con l'obiettivo. È andata più o meno così anche durante il lungo casting, rivela Marra: per un anno e mezzo ha tentato di coinvolgere vari detenuti nel progetto, ma poi questi ne parlavano con i propri famigliari e lasciavano perdere; poi, avendo chiesto a Manzi che gli presentasse un detenuto dalla personalità carismatica, avviene l'incontro con Raffaele Costagliola, un giovane che non ha ancora compiuto trent'anni, eppure ha trascorso quasi metà della propria vita in carcere: rapina a mano armata e altri imprecisati reati; lo chiamano "il gemello", perché di gemelli ne ha due, uno è in carcere come lui, ma altrove, l'altro è portatore di handicap. Il progetto, da corale che doveva essere nella sua concezione iniziale, diventa, per forza centripeta, un ritratto. Anzi, un doppio ritratto, da una parte il ladro, dall'altra la guardia. Ma non ci sono le tensioni stereotipate che ci si aspetterebbe da una distribuzione dei ruoli di questo genere, perché la realtà documentaria supera e disattende le aspettative: le guardie penitenziarie, anche a Secondigliano, non assomigliano più agli aguzzini nevrotici da film carcerario, tantomeno Manzi Domenico, detto Niko, che si comporta con i detenuti quasi come uno psicologo, interagisce con la persona, non con il numero. E Raffaele si apre a lui in maniera diretta e onesta, con quel suo modo buffo di assicurarsi le spalle al muro. Le conversazioni periodiche tra detenuto e ispettore, in Il gemello, non sono certo dei momenti di interpunzione moralizzante, ma piuttosto delle finestre sull'interiorità del detenuto, sulla sua necessità dirompente che Raffaele ha di comunicare le proprie paure, le proprie necessità, le proprie speranze (memorabile il conteggio sulla fine della pena, con i conti che non tornano mai); specularmente Niko si apre a considerazioni personali, quasi fraterne: lui è, a suo modo, un gemello.
A contrasto ci viene presentata la quotidianità: nella cella, il meticoloso, compulsivo, ordine dei gesti quotidiani, la pulizia nevrotica degli spazi angusti, «per non impazzire», per non abbandonarsi all'ozio mortale; nel cortile angusto, il passo cadenzato dell'ora d'aria; ma anche al lavoro, Raffaele smista i rifiuti per una cooperativa, e guadagna anche del denaro che manda alla sua famiglia. Nel frattempo abbiamo quasi completamente dimenticato la presenza della macchina da presa, a mano, di Marra rannicchiato in un angolo della cella, come un segugio, in un pedinamento più che zavattiniano, che è reso possibile, ovviamente, dalla creazione di un rapporto confidenziale coi detenuti e con gli spazi claustrofobici: e dunque, anche se non sapremo mai la causa del "divorzio" di Raffaele dal suo compagno di cella, l'ergastolano Gennaro Apollo, possiamo intuirne le ragioni nella necessità di riarredare periodicamente i propri giorni.
Nuovo tassello di un mosaico di documentari su Napoli, nato da osservazioni a margine di L'udienza è aperta (2006), Il gemello fa dimenticare l'imbarazzo di Marra col teatro di posa (L'ora di punta fu forse il film più sbeffeggiato a Venezia 2007), ricollocandolo perfettamente a proprio agio nel teatro della vita in presa diretta.
Alessandro Uccelli, Cineforum n. 518, 10/2012 |
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