Gioielli di Madame de... (I) - Madame de...
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Regia: | Ophüls Max |
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Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo di Louise de Vilmorin; sceneggiatura: Marcel Achardm, Max Ophüls , Annette Wadermant; fotografia: Christian Matras; scenografia: Jean d'Eaubonne; costumi: Georges Annenkov, Rosine Delamare; musica: Georges Van Parys (sul tema di Oscar Strauss e da "Gli ugonotti" di Mayerbeer); assistenti alla regia: Willi Picard, Marc Maurett; montaggio: Boris Lewyn; interpreti: Danielle Darrieux (Madame Louis de...), Charles Boyer (il generale Andrè de... suo marito), Vittorio De Sica (il barone Fabrizio Donati), Mireille Perry (Nunù, la nutrice), Jean Debucourt (il gioielliere Remy), Lia Di Leo (Lola), Jean Galland (il signor de Bernac), Serge Lecointe (JèromeRèmy), Huberto Noel (Hebri de Maleville), Madeleine
Barbulèe (una amica di Louise); direttore di produzione: Henry Baum; produzione: Franco. London, Paris/ Inds- Film, Rizzoli, Roma; distribuzione: Dear Film; origine: Francia / Italia, 1953; durata: 100'. |
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Trama: | Per pagare un debito una signora dell'alta società parigina vende gli orecchini, dono di nozze, e dice al marito di averli smarriti. Equivoci a catena e tragico epilogo. Da un romanzetto di Louise de Vilmorin un film di strenua eleganza che ricama con leggerezza sui temi cari a Ophüls : l'amore, la morte, il piacere, la provvisorietà del vivere. |
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Critica (1): | [...] Il mondo in cui si muovono i personaggi di Madame de... è dato come un vero e proprio trionfo dell'apparenza. Chi, come personaggio privilegiato, si fa carico di questo universo di superfici e ne costituisce il punto di forza è Louise, una creatura dalla maschera resistente, che può solo tradire frivolezza. Ma sarà proprio sul suo personaggio (con il trapasso alla solitudine, al dolore, all'agonia) e, insieme, sul suo corpo trasfigurato che la superficie si incrina. Ancora una volta la protagonista di Ophüls è il luogo di un conflitto dove si manifesta la resistenza all'apparenza, denunciando l'apparenza stessa. Il legame tenace tra la donna opulsiana e la messa in scena che costruisce un universo dell'esteriorità ben lo avverte Jaques Rivette quando scrive : "È una caratteristica della nostra civiltà l'importanza privilegiata che l'uomo conferisce al volto dell'uomo, ma qui non sarebbe sufficiente a giustificare la nostra emozione di fronte alla progressiva metamorfosi, sotto i nostri occhi, dei tratti di Danielle Darrieux, se non notassimo come ella rischi di trasformare l'immagine dell'universo; tutta la rete di arabeschi in movimento che si è soliti rimproverare al nostro autore, si lega intorno a questa trasformazione". Alla Darrieux Ophüls chiederà difatti la stupefazione: "il vostro compito, cara Danielle, sarà duro. Voi dovrete, armata del vostro charme, della vostra bellezza, eleganza e intelligenza che tutti ammirano, incarnare il vuoto, l'inesistenza. Non riempire il vuoto, ma incarnarlo (i corsivi non sono nostri): diverrete sullo schermo il simbolo stesso della futilità passeggera spogliata di interesse. E bisognerà farlo in modo tale che gli spettatori siano presi, sedotti e profondamente turbati dall'immagine che rappresentate. Senza questo paradosso avremo un filmetto da boulevard, cosa che non è nostra abitudine" (riferito da Annenkov): È un paradosso questo che troverà il suo culmine nella splendida sequenza dell'agonia di Louise. Dicevamo che questo conflitto si riverbera in quello rappresentato dalla scissione orecchini/cuore. Si potrebbe dunque pensare a una scissione tra gioielli e sentimenti, denaro e corpo. Ebbene, i brillanti valgono come abbaglio dello sguardo (pensiamo ai velatini che ne prolungano i riflessi), come oggetti privilegiati di esibizione: esposti in primo piano nei cofanetti; nella gioielleria; tra due tendine che (se non ricordiamo male funzionano proprio da sipari teatrali; nella chiesa del finale. Sono oggetti separati dal corpo (l'orecchio del possibile proprietario), indifferenti al corpo. In questo senso, condensano lo spettacolo stesso come trionfo dell'esposizione in superficie. Dall'altra parte dovrebbero esserci il corpo a "tutto tondo" del personaggio con i suoi sentimenti, ma sappiamo, che tale profondità di Ophüls la si avverte soprattutto come mancanza: angosciosa mancanza per di più. Il regista dell'amore e dei sentimenti, come spesso è stato chiamato, è colui che paradossalmente tende a negarli. Per questo assume particolare importanza, contrapponendosi alla superficie, la figura del "cuore" nel senso di macchina cardiaca del personaggio, che sembra poter solo svelarsi in una disfunzione e in una brusca interruzione (ricordiamo il forte battito cardiaco di Fritz nella colonna sonora di Liebelei). Soltanto questa tragica interruzione, che possiamo chiamare morte eccessiva, sembrerebbe "capace di incrinare la superficie illusionistica". Possiamo ricordare il collasso della "masque", quello di George di La tendre ennemie, ecc., di Lola - quasi da non credersi in una bambola che ha il corpo della Carroll, ma pure gli unici sintomi di una disfunzione non esposta allo sguardo capace si sottrarre Lola alla sua esibizione coatta. E tutta la filmografia di Ophüls è indubbiamente un dèfilè di cuori spezzati. Di certo è la macchinazione della fabula a far cedere quei cuori, ma soltanto barcollando nell'agonia la Louise di Madame de... è capace di attingere una profondità che la sua maschera impassibile aveva negato. La flagranza della morte, a ben vedere, è la base stessa della messa in scena ophulsiana, la garanzia della proliferazione dell'illusione. Così, riguardo ai personaggi - e al di là della favola -, il cuore interrotto è pure il significante segreto del loro desiderio di sfuggire l'esteriorità, di rivendicare qualcosa che non si può, o non è stato possibile esibire.
Michele Mancini, Ophüls, Il castoro cinema 1978 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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