Inni - Inni
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Regia: | Morisset Vincent |
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Cast e credits: |
Fotografia: Rob Hardy; montaggio: Nick Fenton; architetto-scenografo: Sarah Hopper, Caroline Robert; musiche originali: Jon Thor Birgisson, Orri P. Dyrason, Georg Holm, Kjartan Sveinsson; interpreti: Jon Thor Birgisson, Orri P. Dyrason, Georg Holm, Kjartan Sveinsson; produzione: Sigur Rós - Big Dipper Productions; origine: Islanda-Canada-Gran Bretagna, 2011; durata: 74’. |
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Trama: | Inni è il secondo film-concerto dei Sigur Rós dopo l'acclamatissimo Heima del 2007. Mentre il film precedente poneva l'enigmatico gruppo nel contesto della natia Islanda, fornendo con risultati eccellenti una prospettiva sociale e storica sulla sua musica trascendentale, Inni si concentra esclusivamente sulla performance della band, catturata in maniera intima e artistica dal regista franco-canadese Vincent Morisset. Intrecciando materiale d'archivio dei primi dieci anni della band con il materiale del concerto, a volte di leggiadra delicatezza, altre di intensità scottante, Inni è un racconto suggestivo di una delle rock band più celebrate e influenti degli ultimi anni.
«Inni è l'intimo al centro di un grande palcoscenico. È l'astrazione dei gesti e l'ingrandimento di dettagli incantevoli. Si tratta di un omaggio all'energia unica di Sigur Rós. Inni lascia spazio a tutte le belle immagini che vengono alla mente quando si ascolta la loro musica». (Vincent Morisset) |
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Critica (1): | Dopo un’anteprima nei cinema, il nuovo film dei Sigur Rós è arrivato nei negozi in forma di doppio cd e dvd (o Bluray). Ed è bellissimo: un’ora e un quarto di concerto con la musica siderale della band islandese, in un bianco e nero ipercontrastato, sovraesposto, bruciato. Se il precedente Heima (2007) si concentrava sul mondo esterno, come i vulcani, la natura, la gente, Inni è invece tutto centrato sui quattro musicisti e riprende la serata conclusiva del tour del 2008 all’Alexandra Palace di Londra, arricchendola con spezzoni di interviste e frammenti di altri concerti. Filmato interamente in digitale, è stato prima trasferito su pellicola, poi proiettato e ripreso nuovamente, usando vetri e altri oggetti per alterare le immagini. Quello che si vede, insomma, è il film del film: così invecchiato, Inni diventa testimonianza di un passato immaginario, come se Sigur Rós fossero vissuti al tempo dei Joy Division e di loro rimanesse un video incerto girato da un giovane Anton Corbijn.
Diretto da Vincent Morisset e presentato all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, Inni è misterioso e intrigante, esattamente come la musica di Jonsi Birgisson e compagni, qui al massimo della loro perizia tecnica. E - si immagina - coloratissimi, in curiosi costumi di scena a metà tra Oscar Wilde e Lewis Carroll. (...)
Bruno Ruffilli, La Stampa, 14/11/2011 |
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Critica (2): | L'Alexandra Palace, che i londinesi chiamano confidenzialmente Ally Pally, sta su una collina distante dai rumori della metropoli. Una cattedrale laica e un po' fané circondata da prati, laghetti e giardini, di architettura vittoriana e dai soffitti altissimi, con un enorme rosone centrale, un vetusto organo a mantice e una fama leggendaria di vecchio tempio della musica psichedelica. Ancora una volta (ricordate i set meravigliosi del dvd Heima?) i Sigur Rós hanno dunque scelto un luogo suggestivo e perfetto, per mettere in scena le performance raccolte in questo doppio album dal vivo. Perfetto, anche se la cinepresa di Vincent Morisset (per il film in bianco e nero presentato in anteprima all'ultima Mostra del Cinema di Venezia e incluso nella confezione come dvd) stavolta si concentra esclusivamente sui gesti, le espressioni e i movimenti dei musicisti in azione sul palco sottolineando la dimensione introspettiva del concerto ("Inni", in islandese, significa "dentro): perché i bagliori di luce, le sciabolate di feedback, i rombi di tuono e il pulviscolo sonoro modellati dalla band islandese materializzano in fondo nuovi "sogni in technicolor", come quelli che una sera di fine aprile del lontano 1967 proiettarono su quello stesso palco Soft Machine, Move, Pink Floyd (alle prime luci dell'alba) e molti altri. Altri tempi, altri suoni. Ma i Sigur Rós, che all'Ally Pally si sono esibiti per due sere nel novembre del 2008, custodiscono un fascino arcano d'altri tempi, un codice linguistico apparentemente incomprensibile che le folle sono misteriosamente in grado di decrittare (ascoltate gli applausi scroscianti con cui il pubblico inglese accoglie i pezzi più famosi del repertorio). "Við spilum endalaust", quinto pezzo in scaletta (riproduzione fedele di quella dei concerti, con un brano in meno) è quanto di più vicino possano forse esprimere al pop contemporaneo: come dei Coldplay (primo periodo) esoterici, proiettati in un'altra dimensione e lontanissimi da qualunque preoccupazione di mercato. Più facile, sull'onda della suggestione dell'Ally Pally, apparentarli ai primi Pink Floyd, proprio quelli del '67 con Syd Barrett ancora in formazione: il remoto borbottio, la nota fissa e l'organo solenne che introducono "Svefn-g-englar", pietra angolare di quel "Ágætis byrjun" che nel 1999 li rivelò a uno stupefatto pubblico internazionale (oltre che a Cameron Crowe e a una schiera di registi e documentaristi), sembrano arrivare dalle stesse remote galassie, anche se in tempi e attraverso rotte stellari differenti. È il manifesto glorioso del modulo Sigur Rós, dieci minuti di sospensione spazio-temporale adagiati sui loro territori prediletti all'incrocio tra improvvisazione e melodia, noise e ambient, i ghiacci e le eruzioni vulcaniche dei loro silenti e sterminati paesaggi islandesi. Una musica come sempre "atmosferica" e naturalistica, che dal vivo – e anche in questa forma stringata, quartetto "rock" senza sezione d'archi – amplifica sempre la sua capacità di suggestione evitando anzi ogni rischio di diventare leziosa. (...)
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