Metropolis - Metropolis
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Regia: | Lang Fritz |
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Cast e credits: |
Soggetto: Fritz Lang, Thea Von Harbou; sceneggiatura: Fritz Lang, Thea Von Harbou; fotografia: Karl Freund, Gunther Rittau; musiche: Gottfried Huppertz, Giorgio Moroder; scenografia: Otto Hunte, Erich Kettelhut, Carl Voolbrecht; interpreti: Alfred Abel (Freder Frederson), Gustav Frohlich (John Frederson), Brigitte Helm (Maria), Rudolf Klein-Rogge (Rotwang), Fritz Rasp (Grot), Theodor Loos (Josaphat), Erwin Biswanger (Georgy), Max Dietze (lavoratore), Margarete Lanner (la signora nella macchina), Heinrich Gotho (cerimoniere), Hans Leo Reich (Jan), Olaf Storm (Jan), Heinrich George (capo operaio); produzione: Erich Pommer per Ufa; distribuzione: Cineteca Griffith; origine: Germania, 1927; durata: 80'. |
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Trama: | "Metropolis" è una città del 2000, orgogliosa dei suoi grattacieli e delle sue sopraelevate, abitata da gente ricchissima e in buona parte sfaccendata. Ma sotto le sue fondamenta vi è un'altra città, quella operaia, dove turbe di uomini-schiavi attendono a macchinari giganteschi ed a colossali centrali. Un giorno Freder, il padrone di "Metropolis", licenzia per negligenza uno dei propri collaboratori, il quale, in un accesso di scoramento, tenta il suicidio, ma John, il figlio del borghese tiranno, lo impedisce. L'uomo svela allora al giovane il mistero della città sotterranea, nella quale John si avventura, da prima incredulo ed attonito, poi sconvolto. Qui conosce Maria, che, nelle catacombe invita gli operai alla preghiera ed alla sopportazione... |
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Critica (1): | Se il disegno della " metropoli " discende dalle visioni futuriste di Antonio Sant'Elia, la disposi-zione scenografica degli edifici porta il segno delle architetture industriali di Peter Behrens e dei progetti di Walter Gropius nel periodo del "Bauhaus ". E se al fondo della caotica ideologia di Thea von Harbou agiscono i fermenti del pessimismo spengleriano e del razzismo dei Chamberlain e dei Rosenberg, alla superficie prende forma un modello utopico di organizzazione socia-le che in parte li contraddice e in parte li rafforza, avvolgendoli nello spirito di una messianica attesa dell'ordine definitivo.
Al disordine endemico della repubblica weimariana Thea von Harbou oppone il sogno di una rigenerazione apocalittica. "Qui" osserva S. Kracauer "la psiche collettiva paralizzata sembra parlare nel sonno mentale con maggior chiarezza del solito. " Ma Lang, che ha sempre odiato le teorie, si faceva beffe di certi giudizi (Kracauer - spiegò - "ha cercato tutti gli argomenti immaginabili per dimostrare la verità di una teoria falsa") e difendeva la propria libertà di artista ("la teoria non conta nulla per un creatore, serve per i morti"). Era la libertà di un visionario ossessionato dall'orrore per le forze oscure che si scatenano nella prigione dell'esistenza, di cui forniva un quadro a volte realistico a volte mitico (Der müde Tod, Dr. Mabuse der Spieler, Die Nibelungen), imprimendo allo stile delle immagini ritmi angosciati di una ribellione impossibile. Con Metropolis gli si presentò l'occasione di esporre in dimensioni gigantesche la sua "titanica" utopia di un ordine universale. La U.F.A., che mirava alla conquista dei mercati internazionali, gli mise a disposizione sei milioni di marchi, migliaia di metri di pellicola, centinaia di attori, 30.000 comparse e la possibilità di costruire, negli Studi di Neu Babelsberg, scene colossali. Lang sentì di avere il mondo in pugno. L'utopia poteva finalmente travasarsi nella realtà immaginaria di un film di cui egli era l'assoluto padrone e "creatore".
Che Metropolis sia il prodotto di una lucida esaltazione lo dimostra, più che la storia melensa di Thea von Harbou, la concezione della regia. Le architetture di geometrica imponenza, le macchine mostruose e razionali della città sotterranea, la disposizione e i movimenti di grandi masse inquadrate, i gesti degli uomini ridotti ad automi, i contrasti secchi dei bianchi e dei neri, l'apparato fantascientifico del laboratorio di Rottwang, la tensione di tutte le linee verso l'alto (verso il cielo invisibile dell'utopia): ogni immagine del film rivela la forza di un progetto figurativo e drammatico di allucinata compattezza. È al lavoro la fantasia di un superuomo dell'era industriale.
La storia, per contro, è modesta letteratura di appendice. A Metropolis vivono, nel Duemila, due comunità: i padroni alla luce del sole, in una città ipermeccanizzata; gli operai nelle caverne del sottosuolo. Freder, il figlio del signore della città (Fredersen), vede un giorno la liliale Maria colei che conforta gli schiavi delle catacombe. Per amor suo scende fra il popolo che soffre. Si schiera dalla sua parte. Fredersen, che intuisce il pericolo, ordina allo scienziato Rottwang di creare una donna artificiale in tutto simile a Maria. Lo scienziato esegue ma si serve del robot per gettare lo scompiglio fra le masse che, traviate dal fascino della falsa Maria, si ribellano. È la catastrofe, le macchine si fermano, torrenti di acqua invadono i sotterranei. Freder e Maria salvano i bambini dall'inondazione e placano gli animi esasperati degli schiavi. Rinsaviti, i ribelli bruciano sul rogo la falsa Maria e accettano la mediazione di Freder. Il caposquadra e il signore di Metropolis si stringono la mano. "Fra il braccio e la mente - recita la sovraimpressione in chiusura - è necessario un legame. Il legame è il cuore."
Nel 1959, ricordando Metropolis, Fritz Lang (Vienna, 5 dicembre 1890 - Beverly Hills, Calif. 3 agosto 1976) disse: "Oggi non si può più dire che il cuore sia il mediatore fra il braccio e la mente, perché si tratta d'un problema puramente economico ". In effetti, né il cuore né l'economia furono in gioco allora. Era soltanto la messinscena di un delirio, che aveva richiesto 18 mesi di lavorazione e che ottenne, quando fu esposta (agli inizi del 1927), più dissensi che consensi.
Fernaldo Di Giammatteo, 100 film da salvare, Mondadori, 1978 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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| Fritz Lang |
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