Eisenstein in Messico - Eisenstein in Guanajuato
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Regia: | Greenaway Peter |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Peter Greenaway; fotografia: Reinier van Brummelen; montaggio: Elmer Leupen; scenografia: Ana Solares; arredamento: Hector Iruegas; costumi: Brenda Gómez; effetti: Florentijn Bos, Flow VFX; interpreti: Elmer Bäck (Sergej M. Ejzenstejn), Luis Alberti (Palomino Cañedo), Maya Zapata (Concepción Cañedo), Rasmus Slätis (Grisha Alexandrov), Jakob Öhrman (Edouard Tisse), Lisa Owen (Mary Craig Sinclair), Stelio Savante (Hunter S. Kimbrough), Raino Ranta (Meierhold); produzione: Submarine-Fu Works-Paloma Negra Films, in coproduzione con Edith Film Oy- Potemkino-Mollywood; distribuzione: Teodora Film, origine: Belgio-Messico-Olanda-Finlandia, 2015; durata: 105’. |
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Trama: | Nel 1931, al vertice della sua carriera, il regista sovietico Sergej M. Ejzenstejn è in Messico per girare un film. Incalzato dal regime stalinista, che vorrebbe richiamarlo in patria quanto prima, Ejzenstejn passa gli ultimi dieci giorni del suo viaggio nella cittadina di Guanajuato. Sarà qui, con la complicità della sua guida Palomino Cañedo, che scoprirà molte cose sul Messico ma anche sulla propria sessualità e identità di artista. |
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Critica (1): | “Avrò bisogno del tuo cuore, della tua mente, del tuo corpo, e della tua erezione”, così ha detto Peter Greenaway a Luis Alberti per prepararlo all’interpretazione del personaggio di Palomino Cañedo, guida e poi amante del regista russo in Eisenstein in Guanajuato, passato oggi in concorso alla Berlinale tra gli applausi e zeppo di scene di sesso gay molto esplicite.
Nei panni del cineasta considerato “il padre del cinema” dall’autore de I misteri del giardino di Compton House, c’è invece l’attore finlandese Elmer Bäck, efficacissimo nel restituire la vitalità e il genio dell’artista in occasione del suo viaggio in Messico nel 1931. “In quel momento, poco più che trentenne – ha commentato Greenaway – Eisenstein aveva già realizzato i tre capolavori Sciopero!, La corazzata Potëmkin e Ottobre. Mi ha affascinato il fatto che sia andato in Messico per fare un film, Que viva Mexico!, senza poi riuscirci, e che quel viaggio lo abbia cambiato. Quando ci spostiamo nel mondo diventiamo persone diverse, Eisenstein lì si è lasciato andare, ha abbandonato la paranoia. Confrontandosi con una società profondamente diversa si è aperto alla condizione umana e si è interessato agli individui più che ai movimenti di massa”.
Il cinema di Peter Greenaway è da sempre focalizzato sui concetti di amore e morte, così come il cineasta britannico è sempre stato un grande sperimentatore delle potenzialità linguistiche del cinema e delle sue contaminazioni con le altre arti. “Sesso e morte sono imprescindibili – ha spiegato il regista – I miei due protagonisti, Eisenstein e Cañedo, fanno l'amore, e succede esattamente al centro del film, perché il cinema deve dimostrare l'enorme importanza del fenomeno dell'amore”. Contraddistinto da scelte espressive che mescolano bianco e nero e colore, split screen e deformazioni delle immagini, fotografie e opere d’arte che, all’improvviso intervengono a descrivere le parole di un dialogo, Eisenstein in Guanajuato mostra dunque il cineasta russo nell’esplorazione (anche sessuale) di un nuovo mondo, in cui girò 400 kilometri di pellicola che non ha mai potuto montare, mettendo in campo riferimenti a Chaplin, Stravinsky, Disney, Corbusier, Bunuel, Dietrich, Garbo, Mickey Mouse e Rin-Tin-Tin.
A conferma della sua continua (ed entusiasta) ricerca formale, Greenaway ha poi spiegato in conferenza stampa: “Il linguaggio cinematografico è straordinario e il dovere di ogni regista è servirsene al 100%, andare in fondo alle sue possibilità. Mi piacciono le soluzioni che permettono di farsi un'idea dello spazio, e che si usino tutti gli artifici disponibili. Il cinema è un mix di arti, e forse nei 120 anni della sua vita ha vissuto solo il suo prologo. La rivoluzione digitale ci ha portato tante nuove libertà, ora comincia il cinema e tutti i registi devono dimostrare quale straordinario mezzo d’espressione sia. Da parte mia, avevo impressione che il cinema stesse per morire e ho sentito il bisogno di rendere omaggio a Sergej Eisenstein”.
Michela Greco, news.cinecitta.com |
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Critica (2): | (...) Peter Greenaway con Eisenstein in Guanajuato esalta l'incompiutezza, la creazione dell'arte nell'apice del suo fallimento, con l'esperienza del grande regista russo che all'inizio degli anni Trenta andò in Messico per realizzare iQué viva México!, il film rimasto incompiuto. Il grottesco, la deformazione sono messi in rilievo da una luce che filma il corpo come una statua animata, con la macchina da presa che gira intorno fra scene di sesso di estasi decadentista. Dove la letteratura, la pittura, il cinema diventano arte totale, i codici linguistici in gioco si moltiplicano, ogni movimento della macchina da presa è dichiaratamente sottolineato. La sperimentazione è già dichiarata all'inizio con lo schermo diviso in tre parti: un cinema così declamato, abbagliato, che pare accendere le luci in un museo per rispegnerle alla fine, così denso da andare fuori giri. Perché il capolavoro è già dichiarato nell'atto stesso della messinscena.
Simone Emiliani, Cineforum n. 543, 4/2015 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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