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Ladri di biciclette


Regia:De Sica Vittorio

Cast e credits:
Soggetto
: Cesare Zavattini, dal romanzo omonimo di Luigi Bartolini; sceneggiatura: Oreste Biancoli, Suso Cecchi D’Amico, Vittorio De Sica, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Gerardo Guerrieri, Cesare Zavattini; fotografia: Carlo Montuori; scenografia: Antonio Traverso; montaggio: Eraldo Da Roma; musica: Alessandro Cicognini; interpreti: Lamberto Maggiorani (Antonio Ricci), Enzo Staiola (Bruno), Lianella Carell (Maria Ricci), Elena Altieri (signora benefattrice), Gino Saltamerenda (Baiocco), Vittorio Antonucci (il ladro), Giulio Chiari (un attacchino), Mario Meniconi (Meniconi lo spazzino), Ida Bracci Dorati (la santona), Fausto Guerzoni (un filodrammatico), Carlo Jachino (Mendicante), Sergio Leone (un seminarista tedesco), Massimo Randisi (il ragazzetto borghese in trattoria), Checco Rissone (il vigile in Piazza del Popolo), Michele Sakara (il segretario alla Beneficenza), Peppino Spadaro (il brigadiere), Nando Bruno, Eolo Capritti, Giulio Battiferri (un cittadino che difende il vero ladro), Giovanni Corporale, Emma Druetti, Memmo Carotenuto, Ida Bracci Dorati (la santona); produzione: Vittorio De Sica per PDS; origine: Italia, 1948; durata: 84'.

Trama:Un operaio disoccupato trova un posto d'attacchino municipale, ma ci vuole la bicicletta che è al monte di pietà e per riscattarla la moglie impegna le lenzuola. Ma già il primo giorno di lavoro la preziosa bicicletta gli viene rubata. È la disperazione più totale...

Critica (1):Un operaio disoccupato trova un posto d’attacchino municipale, ma ci vuole la bicicletta. L’operaio ne possiede una ma è al monte di pietà. Niente paura: la moglie impegna le lenzuola e riscatta la bicicletta. L’attacchino incomincia il suo lavoro, ma dopo meno di un’ora, un ragazzaccio gli ruba questa preziosa bicicletta. Tenta d’inseguirlo ma è inutile. L’uomo ritorna a casa in preda alla disperazione. Denuncia il furto al Commissariato, ma non gli danno nessuna speranza. Nessuno prende interesse al suo caso all’infuori di un amico spazzino. L’attacchino si aggira tra i rivenditori di biciclette: non trova la sua, ma intravede il ladro e si dà ad inseguirlo, accompagnato dal figliolo, un bimbo di sei anni. L’inseguimento gli fa attraversare tutta Roma in un giorno di domenica: vediamo così la “messa del povero”, una trattoria, una casa equivoca, infine il domicilio del ladruncolo. L’attacchino trova dovunque indifferenza od ostilità. Infine, esasperato, pensa di rivalersi, rubando una bicicletta incustodita, ma lo fa così goffamente che viene subito preso e solo i pianti del bambino lo salvano dall’arresto. Padre e figlio tornano a casa, esausti, disperati, piangenti. (...) Ladri di bicicletteè uno dei film in cui De Sica credette fermamente fin dall’ideazione. Il libro di Luigi Bartolini lo segnalò al regista Zavattini, ma il film, alla fine, sarà tutta un’altra cosa. De Sica faticò molto a trovare i soldi. Nessun produttore voleva saperne, finché trovò la comprensione di tre amici, Ercole Graziadei, Sergio Bernardi e il conte Cicogna. A De Sica il film sembrò congeniale, perché gli dava la possibilità di realizzare la poetica che credeva essere più sua: «rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola cronaca», com’egli stesso si esprimeva. Tutti gli altri grandi discorsi su Ladri c’entrano fino a un certo punto. De Sica credette semplicemente di aver fatto un film adatto al mezzo cinematografico: «La letteratura ha scoperto da tempo questa dimensione moderna che puntualizza le minime cose, gli stati d’animo considerati troppo comuni. Il cinema ha nella macchina da presa il mezzo più adatto per captarla. La sua sensibilità è di questa natura, e io stesso intendo così il tanto dibattuto realismo» (cfr. “La Fiera letteraria”, 6 febbraio 1948). Fu per questo, sostanzialmente, che fu rifiutato il finanziamento americano del film: con Cary Grant (che sarebbe stato imposto) invece di Lamberto Maggiorani, tutto sarebbe risultato diverso.
A Roma, quando il film fu dato in “prima”, la gente uscendo dal Metropolitan protestava e voleva i soldi indietro. A Parigi, invece, si organizzò addirittura una proiezione alla Salle Pleyel, con tremila personaggi della cultura e dell’arte. René Clair al termine della proiezione abbracciò De Sica. Il successo mondiale che ne seguì permise di pagare i debiti fatti con Sciuscià. Il critico francese più prestigioso, André Bazin, vide in Ladri «il centro ideale intorno al quale gravitano, sulla loro orbita particolare, le opere degli altri grandi registi» del neorealismo. Del film piacque al Bazin un certo lavoro minuzioso, meditato, elaborato e tuttavia teso a dare l’impressione del caso, a dare alla necessità drammatica il carattere di una semplice contingenza, anzi a «fare della contingenza la materia del dramma».
Quasi al giudizio opposto è giunto recentemente Zavattini, dopo tanti anni e tante vicissitudini critiche intorno al neorealismo, compresa quella che vide il nostro cinema dei dopoguerra completamente revisionato, nel ’74, a Pesaro (cfr. Miccichè Lino, a cura, Il neorealismo cinematografico italiano, Venezia, Marsilio, 1975 – atti del seminario tenutosi nell’ambito della decima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema); ma abbiamo già visto che una certa idea di risalire al cinema degli anni Trenta per capire meglio certi film neorealisti l’avevano avuta già i “Cahiers du Cinéma”, nel 1962. Dicevamo Zavattini. Egli ha scritto nel recentissimo Neorealismo ecc. (Milano, Bompiani, 1979): «Direi che Ladri di biciclette, così com’è, è un romanzo d’appendice, addirittura. Per la mia mentalità attuale, per le mie prospettive, per il mio gomitolo lo considero un romanzo d’appendice, come considero un romanzo d’appendice Sciuscià. Io, quindi, non sono legato a quei film se non come tappa, per quello che significano come aspirazione di rottura in quel dato momento».
C’è molta verità in queste parole. Noi stessi dicemmo, a Pesaro, che è «legittimo parlare di verosimiglianza solo in quanto ci riferiamo a un’enunciazione, e cioè a quello che è già un terzo livello semiotico (oggetto, oggetto-istituto o enunciato, enunciazione), rispetto alla presupposta immediatezza del reale; cioè in quanto ci riferiamo a un discorso». Ma la definizione fenomenologica del neorealismo data dal Bazin non è, secondo noi, da prendere di petto. È pur vero che la struttura narrativa di Ladri, lo abbiamo visto scorrendo rapidamente il film nella nostra memoria, lascia filtrare squarci quasi involontari di “realtà”, per così dire, laterale rispetto alla linea del racconto. E ciò va appunto nella direzione di un realismo che non vuole e, a rigore, non può identificarsi a nessun livello con la cosiddetta realtà, ma che vuole e non può non essere un discorso su una certa “realtà”.
Del resto, già il Bazin esprimeva con il suo stile critico-poetico qualcosa di molto simile, quando per precisare il carattere realistico di Ladri, scriveva appunto che il film di De Sica è «come molti altri film, girato nella strada con attori non professionisti, ma il suo vero merito è tutt’altro: è di non tradire l’essenza delle cose, di lasciarle prima esistere per se stesse liberamente, di amarle nella loro singolarità particolare. Mia sorella la realtà, dice De Sica, e la realtà fa circolo intorno a lui come gli uccelli intorno al Poverello. Altri la mettono in gabbia e gli insegnano a parlare, ma De Sica conversa con essa ed è il vero linguaggio della realtà che noi percepiamo, la parola irrefutabile che solo l’amore poteva esprimere» (cfr. Bazin A., De Sica metteur en scène, in Qu’est-ce que le cinéma, cit.).
Franco Pecori, Vittorio De Sica, Il Castoro Cinema,1980

Critica (2):Un disoccupato romano per poter esser assunto come attacchino, ha bisogno di una bicicletta, che gli viene quasi subito rubata. Accompagnato dal suo bambino, cerca invano, la bicicletta e il ladro, e finisce col rubarne un'altra. Ma è preso e perdonato solo grazie al bambino. Sequenze principali: il misero appartamento della famigliola in una vetusta casa popolare: l'uomo che per essere assunto come attacchino municipale, deve possedere una bicicletta, porta al Monte di Pietà le lenzuola per ritirarne la bicicletta; il suo lavoro per le vie di Roma; mentre sta attaccando un manifesto del film americano Gilda dei ladruncoli gli rubano la bicicletta. La polizia, a cui si rivolge, dichiara che non può occuparsi d'una cosa di così scarsa importanza. Accompagnato da un amico e dal suo ragazzino, va a cercare la bicicletta al mercato di Porta Portese, ma non la trova: a un certo punto, gli pare di riconoscere il ladro, ma si mette a piovere, si lancia all'inseguimento d'un vecchietto, lo segue in chiesa, poi in una mensa popolare religiosa; prende a schiaffi il bambino, che scappa, e teme allora che sia annegato nel Tevere; poi padre e figlio si riconciliano e vanno a pranzo in un ristorante dove si vendono cibi al mercato nero; va poi a interrogare una veggente; ritrova il ladro, lo insegue in una casa di tolleranza, lo raggiunge nella strada; tutto il quartiere si leva contro di lui, interviene la polizia; lo portano dalla madre del ladro; vedendo la sua povertà ritira l'accusa. Passando dinanzi a uno stadio in cui sta terminando una partita di calcio, ruba una bicicletta, ma viene inseguito, arrestato dai passanti che poi lo lasciano andare svergognandolo dinanzi agli occhi del figlio: il bambino lo prende per mano e insieme si perdono tra la folla.
Fu questo forse il film più importante nell'immediato dopoguerra per l'enorme influenza che ebbe sul piano internazionale e il modo in cui seppe rinnovare la drammaturgia del cinema. Un uomo che cerca, per ben 24 ore, in una grande città, una cosa da cui dipende la sua vita stessa, apparve allora una situazione così nuova che si credette addirittura che l'opera respingesse qualsiasi artificio drammatico. Questa situazione fu ripresa in dieci paesi da cinquanta sceneggiatori e ha ormai perduto tutta la sua originale freschezza.
Ecco come Zavattini ha riassunto il suo soggetto: "Che cos'è una bicicletta? A Roma ci sono tante biciclette quante mosche. Ogni giorno se ne rubano decine e decine senza che i giornali neppure ne facciano cenno. Ma forse i giornali sono in grado di stabilire la gerarchia dei fatti? Nel caso d'Antonio, per esempio, avrebbero dovuto annunciare il furto della bicicletta con un titolo su sei colonne, poiché essa rappresentava per lui un provvidenziale strumento di lavoro". Una casa americana propose di far interpretare il film da Cary Gran t(!), ma Zavattini e De Sica rifiutarono. Lamberto Maggiorani, interprete della parte principale, operaio in una grande fabbrica di Roma, fu disoccupato prima e dopo aver girato il film.
De Sica lo diresse col massimo rigore, come se fosse stato un attore vero.
Tema immediato del film era la disoccupazione, in un paese che da cinquant'anni contava milioni di gente senza lavoro. E, nel profondo, la solitudine d'un uomo in una società ben definita, in cui nessuno presta attenzione, se non nel modo più distratto, alla sua angoscia. Quando si fece osservare a Zavattini che questo tema della solitudine lo avvicinava per certi aspetti a Kafka, egli rispose che in lui l'indifferenza o l'ostilità degli altri non aveva mai ragioni non spiegate, e che l'atteggiamento di ciascuno era perfettamente spiegabile e comprensibile per ciascun spettatore. E aggiunse: "La mia idea fissa è di 'sdrammatizzare' il cinema. Vorrei insegnare agli uomini a vedere la vita quotidiana, gli avvenimenti di tutti i giorni con la stessa passione che provano a leggere un libro".
Oggi il valore del film è stato in parte ridimensionato, senza per questo che ne sia stata sminuita l'importanza storica.
George Sadoul, Il cinema, Sansoni, 1968

Critica (3):

Critica (4):
Vittorio De Sica
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