Mafia uccide solo d'estate (La)
| | | | | | |
Regia: | Diliberto Pierfrancesco Pif |
|
Cast e credits: |
Soggetto: Michele Astori, Pierfrancesco Diliberto, Marco Martani; sceneggiatura: Michele Astori, Pierfrancesco Diliberto, Marco Martani; fotografia: Roberto Forza; musiche: Santi Pulvirenti; montaggio: Cristiano Travagliali; scenografia: Marcello Di Carlo; costumi: Cristiana Ricceri; suono: Luca Bertolin; interpreti: Cristiana Capotondi (Flora), Pierfrancesco Diliberto (Pif Arturo), Ginevra Antona (Flora bambina), Alex Bisconti (Arturo bambino), Claudio Gioè (Francesco), Ninni Bruschetta (Fra Giacinto), Barbara Tabita (Maria Pia), Rosario Lisma (Lorenzo), Teresa Mannino; produzione: Mario Gianani e Lorenzo Mieli per Wildside Media con Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2013; durata: 90’. |
|
Trama: | Palermo. Sullo sfondo dei tragici episodi legati alla mafia accaduti in Sicilia tra gli anni Settanta e Novanta si svolge la tenera e divertente educazione sentimentale e civile di Arturo, un ragazzo nato lo stesso giorno in cui Vito Ciancimino - mafioso di rango - è stato eletto sindaco, e Flora, la compagna di banco di cui si è invaghito alle elementari che vede come una principessa. Mentre cerca di conquistare la sua bella, Arturo diventa man mano consapevole delle infiltrazioni e delle azioni criminose della mafia nella sua città. Nessuno, però, sembra ascoltarlo...
|
|
Critica (1): | (…) La mafia uccide solo d'estate è quasi un miracolo. Ha un ritmo incalzante (brillantissimo il montaggio di Cristiano Travaglioli) e tiene in equilibrio il difficilissimo mix fra ricordi personali, amori infantili e omicidi di mafia.
Il protagonista (che da adulto è interpretato dallo stesso Diliberto, mentre da bambino ha il volto azzeccatissimo del piccolo Alex Bisconti) è Arturo, un bimbo nato negli anni 70 che ha vent'anni o poco più quando le guerre di mafia culminano negli omicidi di Salvo Lima, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ad Arturo, da piccolo, i genitori non raccontano che la mafia non esiste. Fanno di peggio: gli raccontano che non è pericolosa. «La mia generazione - racconta Diliberto - è cresciuta non nella negazione della mafia, ma nella sua accettazione, che forse è una cosa persino peggiore. Ci dicevano che non era una cosa brutta, e che in fondo non ci riguardava. E quando in città si parlava di qualche omicidio perché proprio non se ne poteva fare a meno, poteva capitare che un papà dicesse al figlio: stai tranquillo, ora siamo in inverno e la mafia uccide solo d'estate». Arturo cresce pensando, fino ai vent'anni, solo a una cosa: il disperato amore per Flora, la compagna di classe più caruccia (Ginevra Antona da bambina, Cristiana Capotondi da grande). Ma questo suo amore si sviluppa in parallelo alle vicende mafiose: ad esempio, Flora vive nello stesso palazzo del giudice Chinnici, che è ironico complice del goffo amore del bambino; e l'esplosione della bomba che lo uccide impedisce a Flora di leggere il messaggio che Arturo le ha lasciato scritto sul marciapiede. Per altro il bimbo è nato lo stesso giorno in cui Vito Ciancimino è divenuto sindaco di Palermo, e l'unico vero mito della sua vita è Giulio Andreotti. Ci vorranno molte morti violente per fargli aprire gli occhi. E lui sarà testimone involontario di tutte, dal generale Dalla Chiesa a Salvo Lima, fino a quel tragico momento – le morti di Falcone e Borsellino – in cui molti siciliani saranno costretti ad ammettere che la mafia è una cosa orrenda...
Giocando quasi tutto il film sul registro della commedia grottesca, Diliberto ha creato un apologo che denuncia uno degli aspetti più importanti del fenomeno-mafia: la sua tranquilla coesistenza con la vita delle persone normali, il considerarla una sorta di fenomeno atmosferico, come il cambio delle stagioni. È da questo che la Sicilia e l'Italia tutta devono svegliarsi, e per farlo bisogna distruggere tutti i miti, non crearne di nuovi: «Sarebbe un errore – aggiunge Diliberto – considerare Falcone e Borsellino come dei supereroi. Erano persone vere, straordinarie nella dedizione al loro lavoro, ma normali nel modo in cui convivevano con i problemi quotidiani che abbiamo anche tutti noi. Se loro hanno lottato contro la mafia, tutti possiamo farlo». Il finale del film, quando Arturo e Flora portano il loro bimbo a vedere le lapidi delle quali Palermo è tappezzata, strappa la lacrima: perché, come dice Arturo/Pierfrancesco, bisogna insegnare ai bambini come riconoscere il male. È il primo passo per sconfiggerlo.
Alberto Crespi, L’Unità, 25/11/2013 |
|
Critica (2): | La mafia uccide solo d'estate, in concorso al Torino Film Festival (e nelle sale dal 28 novembre),opera prima di Pif, è la realizzazione del sogno di un ragazzo nato a Palermo nel 1972, non troppo brillante a scuola («ma la maturità l'ho presa, ristabiliamo la verità, se no mia madre s'arrabbia»), cresciuto negli anni 80 e 90 in una città soffocata dalla mafia dove la gente per bene, per sopravvivere, faceva finta di niente. È un film che in modo leggero dice cosa serie, a partire dalla dedica nei titoli di testa ai poliziotti e ai magistrati caduti sul campo. Parla del lavoro di Rocco Chinnici, Pio La Torre, del generale Dalla Chiesa, di Falcone e Borsellino. Lo fa prendendo come filo conduttore la vita di Arturo (Pif ), che sin da bambino ama una sua compagna di scuola (Cristiana Capotondi), ha come mito Andreotti ed è circondato senza saperlo da picciotti, capi mafia e politici corrotti.
Gli aneddoti narrati, anche i più stravaganti, sono veri: «Con Marco Martani e Michele Astori, per scrivere la sceneggiatura abbiamo letto pagine e pagine di documenti e articoli di giornale. Totò Riina che non capisce come si usa il telecomando del condizionatore è vero. Come è vero
che Bagarella si era innamorato della cantante Spagna e la voleva rapire».
Le immagini di fiction si con fondono con quelle di repertorio e alla fine, quando rivedi la rab
bia dei palermitani al funerale di Paolo Borsellino, ti commuovi e ti chiedi: oggi la mafia è stata sconfitta almeno un po'? «Già, bella domanda, ho anche pensato di farci una puntata del Testimone. L'ho chiesto anch'io a poliziotti e magistrati: dicono che la mafia ha perso quando ha deciso di fare guerra allo Stato, quando ci va a braccetto e si nasconde lavora meglio. Non bisogna abbassare la guardia».
La visione di Pif è ottimista: il sacrificio degli uomini caduti durante la guerra a Cosa nostra degli anni Ottanta è servito a cambiare la coscienza dei palermitani. «Tutti i mafiosi di cui parlo nel film sono in carcere e questa è già una vittoria. Sono cresciuto in una società dove gli adulti rimuovevano la presenza della mafia per poter vivere in pace: quando qualcuno veniva ammazzato era o per debiti di gioco o per donne. La morte di Falcone e Borsellino ha cambiato la mentalità dei palermitani. Ma i giovani non conosco bene il passato. Per questo mi piacerebbe che il mio film fosse proiettato nelle scuole».
Federica Lamberti Zanardi, il venerdì di Repubblica, 22/11/2013 |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| |
| |
|