Marito della parrucchiera (Il) - Le mari de la coiffeuse
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Regia: | Leconte Patrice |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Patrice Leconte, Claude Klotz; fotografia: Eduardo Serra.; musica: Michael Nyman; montaggio: Joëlle Hache; scenografia: Yvan Maussion; costumi: Cécile Magnan; suono: Pierre Lenoir; interpreti: Jean Rocherfort (Antoine), Anna Galiena (Mathilde), Roland Bertin (il padre di Antoine), Maurice Chevit (Ambroise Dupré, detto Isidore Agopian), Philippe Clevenot (Morvoisieux), Jacques Mathou (Chardon), Claude Aufaure (cliente omosessuale), Albert Delpy (Donecker), Henry Hocking (Antoine a 12 anni), Ticky Holgado (Gendre Morvoisieux), Michèle Laroque (la madre adottiva); produzione: Thierry De Ganay, per Lambarl Prods./1'F 1 Films Prod./Soficas Investimages 2 e 3 e Creations; distribuzione. BIM; origine: Francia, 1990; durata: 80'. |
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Trama: |
Antoine, a dodici anni, promette a se stesso che sposerà una parrucchiera. Adulto fatto, Antoine sposa Mathilde, parrucchiere di paese. Lui le tiene compagnia in negozio, alimentando (anche) con lo sguardo il loro amore dissennato, raggiante, essenziale. Lei, per troppa felicità, si toglie di scena all'improvviso, in silenzio.
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Critica (1): | Se ci si pensa bene, noi stessi esistiamo solo nel breve istante in cui siamo sedotti da qualsiasi cosa conti per noi: un oggetto, un viso, un'idea, una persona. Di tanto, per esempio, è convinto l'ubiquo sociologo Jean Baudrillard. Leconte, di rincalzo, afferma che il suo film deriva in linea retta dal ricordo di un seno intravisto da una scollatura in un giorno d'estate. Passioni indifferenziali, passioni interstiziali. Il campo degli ardori dell'animo, che hanno invaso le cronache romanzesche e psicologiche per due o tre secoli, si è singolarmente ristretto. Quello delle "pulsioni" che in fin dei conti avrà fatto parlare di sè per soli cinquant'anni, sembra anch'esso minacciato. Cosa resta? Di tutto il ventaglio dei movimenti affettivi appare più resistente quello vicino ad un desiderio di amour fou "naturale", saldamente legato a modelli infantili del sesso. Antoine e Mathilde oppongono agli usurati furori esterni di libertà e trasgressione passioni chiuse, morbide, di silenzio, di ambigua conformità, quasi di volontario servaggio, ingenue. Non tanto perchè siano fallite (sono riuscite fin troppo bene, nel loro sofisticato "panavision"), ma perchè raggiungono la loro progressione in un dead point in cui la loro energia si inverte e in cui esse si divorano, lasciando posto ad una forma pura e vuota, o impazzita ed estatica: la inesplicabile danza araba del protagonista che apre, intervalla e chiude questo film singolare.
Le mari de la coiffeuse non è nè un film realista, nè propriamente una favola: rappresenta una specie di vita idealizzata spinta alla perpetuazione del sogno. La realtà intera in questo racconto è come se fosse un gioco della realtà, un incantamento radicale dove le azioni meno logiche appaiono credibili ed il passato ed il presente si sostituiscono senza frizioni. Il ticchettio delle forbici, il sibilo di uno spruzzaprofumo si ingigantiscono e significano, così come i dettagli visivi (le scarpe del bambino che schiacciano i vetri infranti, la paletta che fende la sabbia, lo slip di maglia con i pon pon) non alludono al, ma sono il senso di una raltà minuziosa e importante. M. Hire si nascondeva nell'oscurità per osservare la donna dei suoi sogni, Antoine (un eccellente Rochefort), al contrario, espone completamente il suo desiderio, offrendo il suo sguardo impudico come verifica d'amore. Da bambino ha deciso di sposare una parrucchiera e da adulto ricerca il "fantasma originario" della sessualità, secondo una logica affettiva trattata come residuo, vestigia e schermo della sua coerenza. E Leconte è molto bravo nel rappresentare questa "utopia della nudità" (confrontare ad esempio lo sguardo della mdp poggiato sul seno di M.me Sheaffer, oppure la sequenza in cui Mathilde taglia i capelli al signor Donecker che recita "L'agonia ardente delle rose", mentre Antoine si preoccupa di sfilarle le mutandine), seducendo il proprio desiderio mediante dei gesti la cui lentezza è poetica, come può esserlo il film al rallentatore d'una esplosione o di una caduta (Leone docet), perchè allora qualche cosa, prima di realizzarsi, ha il tempo di mancarvi, il che costituisce, se esiste, la perfezione del desiderio.
Per Mathilde, che tende a detta perfezione, la tenerezza di poi sarebbe stata insufficiente; oltre l'inaccettabile "nostalgia del futuro", ella opta per il troncamento, per l'attrazione d'amore come destino, unica verità che smantella l'incognito dell'assoluto.
Scoprendo l'impossibilità di fermare il gioco "dall'interno", finanche barando e bevendo acqua di colonia con Antoine, Mathilde cede alla potenza massima della passione. Ma il suo suicidio non è il "volo" malinconico di un poeta che affronta troppo presto il sollevarsi della tenda. Se ciò accade non è perché in lei vi sia nichelismo o frustrazione di un ideale, ma perchè nel suo micromondo, "salon de coiffure", gioca qualcosa che al sentimento più vero vuol dare un senso per forza definitivo; questo senso non riuscirebbe a progredire perchè ha già raggiunto il suo fondo di realtà e non potrebbe neanche più passare attraverso le parole, avendo incontrato già un garbuglio di miti infantile e un solo trascurabile malitenso. Per la verità, anche la suesposta "moraletta" potrebbe risultare sciocca e tardivamente romantica, ma il regista sa come sospenderla.
Antoine, completando il suo cruciverba, confida ad un occasionale cliente che la parrucchiera tornerà. Da M. Hire a Le mari de la coiffeuse Leconte è riuscito a (di)mostrarci che "la luce non è più chiara delle tenebre e le tenebre non sono più buie della luce", come dice da qualche parte Lacan nei Séminaires. Anche con la memoria si possono continuare ad abbattere le fortificazioni di sabbia. Il nostro mondo lo sognamo sempre resistente, visibile, ubiquo nello spazio e nel tempo, ma negli interstizi - sembra puntualizzare Antoine - non dimentichiamo di aggiungere le assurdità, non foss'altro per sapere che è finto. Forse così capiremo perchè "la mort est jaune citron et elle seni la vanille": qualsiasi perversione (o fantasia) gioca con essa.
Marcello Garofalo, Segno Cinema n. 49 maggio-giugno 1991 |
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