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Is the Man Who Is Tall Happy?: An Animated Conversation With Noam Chomsky


Regia:Gondry Michel

Cast e credits:
Sceneggiatura: Michel Gondry, Noam Chomsky; montaggio: Sophie Reine, Adam M. Weber; interpreti: Michel Gondry; produzione: Georges Bermann, Michel Gondry, Julie Fong, Raffi Adlan per Partizan Films; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Francia, 2013; durata: 88’.

Trama:Attraverso le sue celebri animazioni visionarie e riprese in 16mm, il regista Michel Gondry racconta le vivaci conversazioni sul senso della vita e dell'umano bisogno di ricerca della felicità tenute con Noam Chomsky, linguista, filosofo, teorico della comunicazione e professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology (MIT).

Critica (1):Michel Gondry, con Is the Man Who Is Tall Happy?, aggiunge un nuovo frammento che ridisegna quell’iridescente caleidoscopio che è la sua opera.
Quest’ultimo tassello, come i precedenti, e di conseguenza quanto il tutto di cui fa parte, non si lascia risolutivamente incasellare in qualche etichetta di genere; nella stessa maniera del suo autore, che non può essere confinato unicamente negli spazi rigidi della sala cinematografica (Gondry, tra i molti progetti, rimane, ad esempio, termine di riferimento per il circuito video musicale: l’ultimo lavoro finora realizzato è Love Letters per i Metronomy).
Anche questa animated conversation with Noam Chomsky (prosecuzione del titolo che anticipa illustrando in sintesi quello a cui si assisterà), nel modo delle altre visionarie visioni venute prima, si mostra come messa in mostra di se stessa, parla del proprio linguaggio e della propria essenza, svela i suoi trucchi riuscendo allo stesso tempo ad aumentarne la fascinazione.
Che poi è quanto compie Chomsky con gli studi sulla grammatica universale strutturatisi nella teoria della grammatica generativa. Lui, figlio di quella cultura ebraica abituata a vedere la realtà come un costrutto semantico (il padre fu studioso di ebraismo e linguaggio ebraico) e per la quale, dunque, indagare la parola e suoi funzionamenti vuol dire scrutare il senso del mondo, con le sue ricerche ha fatto della linguistica un terreno di speculazione filosofica.
Per quello che Chomsky rappresenta, non soltanto nell’ambito disciplinare di sua stretta competenza (è dichiarato il suo anarchismo politico che ne ha fatto un’icona del liberal-radicalismo anticapitalista), secondo Gondry è l’intellettuale occidentale più influente con cui potersi confrontare. Dunque, eccolo farsi coraggio, riprendere in mano la sua vecchia cinepresa Bolex 16 mm e andare a intervistarlo.
Ma delle immagini della conversazione restano soltanto pochi attimi, perché il regista preferisce elaborare un corrispettivo grafico, disegnato su fogli di acetato, delle teorie esposte dal linguista-filosofo. Un’operazione autoriflessiva e teorica che riporta a mente quanto elaborato da Ėjzenštejn al riguardo del montaggio.
Riadattando quanto scritto dal regista sovietico nel ’38 possiamo quindi sostenere che Gondry «in conformità con la propria individualità, a modo suo, a seconda della propria esperienza, del tipo di fantasia, della trama di associazioni (…), crea l’immagine partendo proprio da quelle rappresentazioni-guida suggeritegli» da Chomsky. Un’operazione peraltro attenta al pensiero del linguista per il quale «è importante ricordare che il linguaggio umano non è necessariamente verbale».
In Is the Man Who Is Tall Happy? il tema si identifica con la forma. Si è spettatori di una sorta di partenogenesi del visibile: in alcuni momenti l’immagine diventa (di)segno senza rapporto referenziale diretto, non rimanda più ad un altro-da-sé a cui riferirsi. L’animazione riprende e sviluppa quel grafismo primitivista fluorescente già visto in Crystalline di Björk.
I punti deboli di questo lavoro di Gondry sono il sovraccarico segnico, che si traduce in un vero e proprio bombardamento oculare senza sosta, dettato dall’ansia del regista di tradurre graficamente quanto più possibile delle parole di Chomsky; e un certo didascalismo nelle rappresentazioni, diretta conseguenza di quanto appena evidenziato.
Sarebbe stato opportuno forse un maggior lavoro di sintesi, oppure un’immagine pensata in termini di rapporto dialettico con il bagaglio di teorie linguistiche. Gondry per rendere più affascinante e dinamico il pensiero di Chomsky avrebbe dovuto utilizzare l’aspetto didattico in una costruzione drammatica, un po’ come fece Resnais in Mon oncle d’Amerique dove non sono i personaggi a raccontare o illustrare una vicenda scientifica, ma è la scienza a fornire le chiavi per decifrare una vicenda cinematografica.
Come disse a proposito lo stesso Henri Laborit, di cui sono riprese le teorie: «Le mie idee non sono presenti per spiegare i comportamenti dei personaggi, ma servono a decodificarli».
Matteo Marelli, cineforum.it

Critica (2):(…) La definizione lo vorrebbe un documentario animato, ma Is the Man Who Is Tall Happy? è uno dei tanti straordinari oggetti filmati che Michel Gondry forgia nel suo personalissimo linguaggio. Di fronte a lui c'è Noam Chomsky, che risponde all'inglese francofono del regista con la sostanza del suo pensiero, mentre Gondry interloquisce col suo film, forgiandolo coi suoi schizzi animati. E non c'è nulla di strano se un artista come Gondry finisce per incontrare un filosofo come Chomsky: da una parte c'è uno che di film in film sta costruendo il suo rapporto col mondo transitando tra l’Io e il Noi delle relazioni, disegnandole come astrazioni di segni, sogni, sentimenti; dall'altra c'è un pensatore per il quale le frasi con cui comunichiamo sono astratte, delle costruzioni mentali, asserendo che solo le singole parole stanno nel mondo.
Che poi Gondry insista col filmare l’incontro con la sua vecchia Bolex 16mm e lo distenda sul piano di ripresa dei fogli lucidi di acetato per trasformarlo in un documentario animato, non è che il modo per portare nel suo mondo notoriamente ludico e mentale il mondo logico e sostanziale delle parole di Chomsky, chiudendo idealmente nella stanza l’uomo alto del suo celebre esempio: “Is The Man Who Is Tall Happy?”. La domanda verte sulla felicità, del resto, e sappiamo bene quanto sia basilare nel mondo di Gondry questo elemento così volatile, questa frazione di emozione in transito tra la realtà dei fatti e la coscienza della mente. Ché poi il dialogo a due si insinua sempre più nella sostanza della vita, parlando di paure (la morte, di nuovo lei nel cinema di Gondry...), di ricordi d'infanzia, di affetti... Nobili cedimenti di disponibilità del filosofo e capacità del filmmaker di aggrapparsi alla base del filmare per dare corpo al solito cuore del suo cinema. Che è sempre e comunque una questione di relazioni, di adattamenti fragili e impossibili tra ciò che abbiamo dentro e ciò che incontriamo fuori. In fondo il protagonista è lui, Gondry, fragile nella sua perenne preoccupazione di parlare una lingua – l'inglese – che non gli appartiene del tutto e nella cui pronuncia inciampa volutamente: ci scherza da sempre con questa insicurezza, Gondry, esponendola con l'orgoglio di una ferita procurata sul campo della vita...
Questione di parole, di comunicazione, ovvero di relazione, di rapporto tra l'Io e il Noi esposto a una sorta di dislessia dell'esistere... Sul tavolo di lavoro con Chomsky, Gondry dispone le parole in disordine creativo, attente al tratto che le trasforma in disegni, mentre la voce le compone in pensieri. Dire il mondo è conoscerlo: l'arte del sogno, la natura umana, la mente immacolata, ripulita, svuotata, l'indicibile segreto che corona di spine il cuore, l'Io e il Noi, la schiuma dei giorni... Pochi come Gondry fanno oggi un cinema così sincero e profondamente in cerca del mondo! È da una vita che uno come Michel Gondry lavora sulla difficoltà delle relazioni, sulla necessità di mettere in contatto il proprio mondo interiore, la propria natura, con il mondo esterno. In una parola sulla comunicazione. Nulla di stupefacente, dunque, se ora s’inventa questo (a lungo desiderato) documentario animato trovandolo tra le parole di un’intervista a Noam Chomsky, il padre della linguistica moderna: Is the Man Who Is Tall Happy? al culmine della sua carriera, mentre sta scomponendo meravigliosamente il suo cinema in tutto il cinema possibile, tra io & noi incapsulati in scuolabus da laboratorio, supereroi hollywoodiani in cerca di personalità.
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