Ritratti: Mario Rigoni Stern
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Regia: | Mazzacurati Carlo |
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Cast e credits: |
Fotografia: Alessandro Pesci; montaggio: Paolo Cottignola; interpreti: Marco Paolini, Mario Rigoni Stern; produzione: Regione del Veneto, Vesna Film; origine: Italia, 1999; durata: 55'. |
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Trama: | Nell’arco di tre giornate Mario Rigoni Stern narra a Marco Paolini la sua vita. La prima giornata, dopo una breve introduzione che ci racconta la formazione sentimentale di un bambino cresciuto tra le montagne, è totalmente dedicata al racconto della giovinezza, tra il trentotto e il quarantacinque, come soldato nella seconda guerra mondiale. La seconda giornata è dedicata al tempo del ritorno e al difficile reinserimento nella vita normale. Si parla anche dell’altopiano di Asiago come luogo emblematico, microcosmo totale, di cui Rigoni Stern è voce e coscienza. Nella terza giornata, rispondendo alle domande di Marco Paolini, Mario Rigoni Stern riflette su questo presente, parla di natura, memoria e responsabilità. Della gioia che dà un lavoro ben fatto, sia esso manuale che intellettuale. Questo ritratto è anche la storia di un incontro tra un uomo, che ha tanta vita dietro le spalle, e un uomo più giovane, che vive nel presente ma ha bisogno di capire ciò che prima è stato. |
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Critica (1): | È il primo di un trittico di «Ritratti» ideati da Mazzacurati e da Marco Paolini (una delle figure più originali e stimolanti di quella parte, quantitativamente non rilevante, del teatro italiano capace di dare attualità culturale e impegno civile alla nostra storia recente e non) e prodotti dalla Regione Veneto che comprenderà anche quelli del poeta Andrea Zanzotto e dello scrittore Luigi Meneghello. Il progetto, nato «dal bisogno di incontrare uomini abitualmente appartati, lontani dal clamore dei media», è importante perché mantiene viva una tradizione, sia del cinema che della televisione, che è una vera e propria missione strategica nello sviluppo dei sistemi conoscitivi contemporanei. La missione di contribuire, con la propria peculiarità espressiva e comunicativa, a porre le basi per la creazione di ideali potenziali archivi della memoria, un concetto che ha gradualmente assunto dimensioni sempre più estese e articolate in modo da garantire la costruzione di percorsi di studio e di comprensione non sempre prevedibili nel momento in cui gli archivi stessi vengono formati.
I «Ritratti» sono stati concepiti in pellicola «perché ci sembra che così la vita sia più intrappolabile, le parole non sfuggano via, e l’aria che passa tra chi fa la domanda e chi risponde sia piena di luce» ha chiarito l’autore. Il primo è stato girato in bianco e nero, centrando la macchina da presa sul volto del personaggio senza aggredirlo, confondendolo con i paesaggi (gli splendidi boschi dell’Altipiano dei Sette Comuni, le valli e le malghe, le tracce ancora visibilissime della Grande guerra, l’orizzonte lungo sulla pianura veneta e quello fantastico verso il Lagorai e le Dolomiti trentine e bellunesi), e rendendo discreto il ruolo di Paolini-intervistatore (la sua saggia gentilezza, il suo rispetto per l’intervistato, il suo colto understatement nello scavare per scoprire e fare scoprire). È Rigoni Stern con la sua personalità, la sua vicenda umana, la sua percezione del mondo e la sua sensibilità psicologica che si fa emergere e che diviene al contempo lettura dei legami fra storia personale e storia della comunità di cui è partecipe testimone.
Rigoni Stern (che vive ad Asiago, nella casa che sta accanto a quella di Ermanno Olmi) è uno scrittore molto stimato e letto da chi è attento alla storia della gente della montagna, che si è intimamente intrecciata ad alcuni eventi fondamentali della storia europea e nazionale di questo secolo (le due guerre mondiali e la lotta partigiana), e agli effetti della modernizzazione sulla civiltà alpina. Paolini si è fatto narrare, con qualche iniziale scaramuccia relazionale (l’intervistato ha fatto presto, con naturalezza, a vincere i pudori e il disagio dell’intervistatore), la sua vita in tre giorni d’inizio inverno. Nel primo Rigoni Stern rammenta la propria infanzia di piccolo borghese in una realtà contadina povera (che nei suoi libri ha raccontato con intensa emotività), sconvolta dalla Grande guerra e dal fascismo con la sue guerre d’aggressione in Grecia, in Albania e soprattutto in Russia, dove migliaia di alpini lasciarono disperatamente la propria vita sognando la valle natia e la casa, dove i sopravvissuti maturarono il loro rifiuto della dittatura. Nel secondo vi è tutta la memoria del lager e del ritorno, il complicato reinserimento nella vita normale, la comunità e la cultura dell’Altopiano che viene rapidamente stravolta dalla nascita dell’Italia industriale, la sua decisione di divenire voce e coscienza di un microcosmo che si trasforma con sofferenza. Nel terzo si lascia andare alle sue considerazioni sul presente, sulle sue follie, sulla leggerezza nel trattare la natura, nel considerare il lavoro e nel coltivare un senso di appartenenza che è stato tramandato per generazioni e che sta scomparendo.
Gianluigi Bozza, Cineforum n. 388, ottobre 1999 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Carlo Mazzacurati |
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