Specchio (Lo) - Zerkalo
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Regia: | Tarkovskij Andrei |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Andrei Tarkovsky, Aleksandr Misarin; fotografia: Georgij Rerberg; musiche: Eduard Artemyev, con musiche di J.S.Bach, Giovan Battista Pergolesi, Henry Purcell; montaggio: Lyudmila Feiginova; scenografia: Nikolaj Dvigubskij; costumi: Nelly Fomina; effetti: Yuri Potapov; interpreti: Margarita Terekhova (la madre da giovane e Natalja), Oleg Yankovsky (il padre), Filipp Jankovskij Aleksej (bambino), Ignat Danilcev Aleksej (adolescente e Ignat), Anatolij Solonitsyn (il Viandante), Nikolaj Grinko (il capo reparto della tipografia), Jurij Nazarov (l'istruttore Marija), Tarkovskaja (la madre da vecchia), Larisa Tarkovskaja (la signora dello scambio), Tamara Ogorodnikova (la signora del te'), Alla Demidova (Lizaveta Pavlovna), Olga Kilizova (la ragazza dalle labbra spaccate), L. Correcher E. Del Bosque, Tatjana Del Bosque, Teresa Del Bosque, D. Garcia, Alejandro Gutierrez, T. Pames, T. Revsetnikova, Jurij Svetnikov; produzione: Mosfilm (Iv Gruppo Artistico); distribuzione: Lab 80; origine: Urss, 1974; durata: 105’. |
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Trama: | Aleksej, il protagonista del film, è costretto a letto da un misterioso male. Ha così modo di ripercorrere con la memoria episodi della propria infanzia e della propria adolescenza, alcuni realmente accaduti altri soltanto immaginati: le estati nella casa di campagna, quando il padre aveva ormai abbandonato la sua famiglia e la madre sperava invano in un suo ritorno; l'incendio del fienile; il lavoro della madre nella tipografia; la guerra; la scoperta dell'arte di Leonardo da Vinci e del primo amore, quello verso una ragazzina dai capelli rossi; le esercitazioni al poligono di tiro; le liti con la sorellina; il momentaneo ritorno del padre; la visita della madre ad una ricca signora per scambiare alcuni gioielli con un po' di cibo. Gli episodi, alcuni dei quali ospitano poesie di Arsenij Tarkovskij, il padre del regista, sono frammezzati da due colloqui di Aleksej con Natalja, l'ex moglie da cui l'uomo ha avuto il figlio Ignat, e da alcuni brevi filmati di repertorio. Vediamo così immagini della seconda guerra mondiale (festeggiamenti e distruzioni), l'eroismo dei soldati russi, il fanatismo dei seguaci di Mao. Il "viaggio nella memoria" approda ad un'impossibile fusione: Aleksej (di cui finalmente intravediamo il corpo), visitato da un medico, torna ad immaginarsi bambino; lo vediamo accompagnare, assieme alla sorellina, la madre, anziana com'è oggi, lungo il bosco d'infanzia. |
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Critica (1): | "Il protagonista è un uomo sui quarant'anni, che si sforza di fare un bilancio di tutta la vita precedente; cerca cioè di capire che cosa di valido c'è stato nella sua esistenza. Dunque sullo schermo vanno avanti di pari passo tre storie. La prima è costituita dai ricordi dell'infanzia; la seconda è composta dalle cronache di avvenimenti storici "vissuti e compresi" sotto una angolazione prettamente individuale; la terza è formata da ragionamenti filosofici che sono un po' la sintesi di tutto il discorso" (Andrej Tarkovskij). |
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Critica (2): | Combattuto fra le istanze della sua personalità ed i condizionamenti della società, Tarkovskijprocede nella sua attività difficile, contrastata, resa ancor più dura dalla sua tendenza a certe preziosità, alla espressione più puntuale dei momenti, delle pieghe del suo travaglio personale. E in questa sua ansia di esprimersi compiutamente egli non dimentica di essere russo. E in Lo specchio vari e corposi sono i rimandi alla sua specificità nazionale, le testimonianze della sua appartenenza alla cultura russa, della sua partecipazione ad una definita mentalità.
In Lo specchio Tarkovskijindaga su se stesso e sulla realtà, ma alla fine nè conquista se stesso né si pone dialetticamente di fronte alla realtà: sconcertato dal presente, timoroso del futuro, si rifugia nel passato, crede con trasporto nella tradizione familiare, nel calore della casa, lasciandosi invadere dalla nostalgia cechoviana di un tempo perduto. Ma anche questa nostalgia lascia il posto ad uno scoramento abissale: la propria vita ripete quella del padre, gli sembra un insieme di successioni, di risultati, di conseguenze razionalmente incontrollabili, quasi un'eco del fatalismo tolstoiano, di un destino come storia personale di ciascuno di noi vista con occhi "mitologici" ed irrazionali che da una parte si contrappone alla Storia, in quanto sfugge al controllo razionale, e che, dall'altra, si identifica con essa in quanto tolstoianamente intesa come un insieme di particelle infinitesimali". Tarkovskijcerca di far luce sugli avvenimenti della propria esistenza, ma la sua esplorazione guadagna sempre più ciò che è stato, rimontando sino all'atto del concepimento. La dimensione oscura, il momento del mistero trionfano. Egli non si libera dalla aggregazione informe, caotica e si atteggia perciò come il "piccolo uomo" della letteratura russa classica che, non riuscendo a concepire di essere contemporaneamente soggetto ed oggetto rispetto a se stesso e rispetto agli altri, intende miticamente come fatalità la propria storia personale.
Lo specchio è la multiforme e quasi aforistica enciclopedia di un'esistenza nutrita da una specifica cultura che cerca di raggiungere la sintesi fra natura e spirito, fra mondo e pensiero. Si affida non al rigore della dimostrazione logica, ma all'illuminazione intuitiva. Il film è il frutto del quotidiano confronto con una realtà ed una condizione umana atte a stimolare una presa di coscienza, critica e poetica, nuova: Tarkovskijvi narra la propria vita consegnandosi liberamente ad un processo di associazioni e di analogie governate da scelte del tutto soggettive. Vi coesistono alcuni nuclei tematici: quello che riguarda lui stesso ed è riconducibile ai suoi rapporti con la madre, con la moglie, con il figlio, con il padre (quasi assente come presenza drammatica, egli l'incalza a tal punto che il regista ha trasferito in immagini alcune sue visioni poetiche ed ha accompagnato alcuni momenti del film con le sue poesie); quello che spazia nell'immaginazione del protagonista - autore e include incubi e sogni dell'infanzia; quello composto da brani di repertorio che, pur scelti nel rispetto dell'immaginazione del protagonista nei diversi momenti dell'esistenza, situano un materiale tanto soggettivamente biografico in un preciso contesto storico, in una definita area culturale. (...)
Lo specchio è un "opus compositum". Alla solennità di un'apertura biblica su uno spazio esteso (una natura agitata dal vento, ricettacolo di forze cosmiche benigne e terribili, nella quale vivono uomini fragili e pure partecipi dell'energia universale, grandi nelle loro contraddizioni) si accompagnano note elegiache, tonalità nostalgiche nella evocazione della casa e dell'infanzia, a cui seguono rimembranze dolorose legate ai tempi calamitosi della storia sovietica. Il film è una congerie di fatti personali, di ricordi, di ripensamenti delle vicende dei genitori e della vita autonoma dell'autore, da adulto, nella constatazione che quanto è accaduto a chi l'ha generato sta accadendo a lui e che le proprie traversie e gioie popolano la vita del figlio in una ripetizione sconcertante, chiusa alla speranza.
Tutto questo non è separato dalla storia e tuttavia il "privato" non si risolve nell'ambito nazionale e storico: i fatti della storia hanno una cadenza da incubo e o si dipanano attraverso immagini gioiose che nulla lasciano trasparire dell'intrinseca violenza, o occupano pagine in cui il duro mestiere della vita e della morte si esprime nel rifiuto della retorica, o appaiono, infine, come inspiegabili nella loro potenza distruggitrice, indecifrabili per quanto liberatori, incomprensibili nella loro trascrizione di isteriche rivendicazioni.
In Lo specchio si affiancano due tendenze: una lirica, riferita alla sfera del proprio focolare, e una cronachistica, riguardante gli eventi storici accaduti nell'arco dell'esistenza dell'autore. La dolorante confessione di una condizione intima, ferita dalla asprezza dei tempi, non è staccata dagli avvenimenti che hanno pesato e pesano sulla società in cui Tarkovskijha vissuto e vive. Dapprima, egli rappresenta e trasmette l'atmosfera di insicurezza abbattutasi per più di un decennio sulla vita sovietica. Non inventa nulla: negli anni in cui alle pareti si appendevano i ritratti di Michail I. Kalinin, presidente del Presidium del Consiglio supremo dell'URSS, e del segretario del partito losif V. Stalin, accadde che tutti gli addetti di una tipografia finissero nei campi di concentramento perché ad un correttore di bozze era sfuggito un piccolo refuso che storpiava il nome del "piccolo padre' (si era stampato "sralin' – merda – al posto di "Stalin") o perché ad un impaginatore, il grafico addetto alla disposizione delle "voci' di una enciclopedia, era capitato di iniziare due colonne adiacenti con "Stalin' e "svinia' (belaia) - porco (bianco). In un secondo tempo memore della formazione e delle manifestazioni del culto della personalità di Stalin, Tarkovskijillustra quello cresciuto attorno a Mao Zedong e, denunciando le mire espansionistiche cinesi (appalesatesi attraverso la richiesta di una revisione dei trattati stipulati dall'impero cinese con l'autocrazia zarista), egli si rivela un assertore della missione storica della Russia e dell'Unione sovietica. Egli è una nazionalista che intende la funzione della sua patria come confusamente "salvifica" per il resto dell'umanità e di questa convinzione egli testimonia con la scelta di rendere consapevole il figlio Ignat del "destino" che la Storia ha assegnato al popolo russo, facendogli leggere ad alta voce un brano della lettera inviata dal poeta Aleksandr S. Pusckin, il 19 ottobre 1936, a Piotr I. Ciaadaev (1794 – 1856) in risposta e a commento di quanto questo pensatore aveva affermato nella prima delle sue "Lettere filosofiche": "Noi russi non apparteniamo a nessuna delle grandi famiglie dell'umanità, nè all'Occidente, nè all'Oriente, non abbiamo la tradizione nè dell'uno nè dell'altro. Esistiamo come se fossimo fuori del tempo e la cultura universale del genere umano non ci toccato". (...)
Achille Frezzato, Cineforum n. 193, 4-1980 |
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