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Lulù - Il vaso di Pandora - Büchse der Pandora (Die)


Regia:Pabst Georg Wilhelm

Cast e credits:
Soggetto: dai drammi Lo spirito della terra e Il vaso di Pandora di Frank Wedekind; sceneggiatura: Ladislaus Vajda; fotografia: Günther Krampf; interpreti: Louise Brooks, Fritz Kortner, Carl Goetz, Gustav Diessl, Franz Lederer, Michael von Newlinsky, Alice Roberts; produzione: Nero Film; origine: Germania, 1928; durata: 109'.
Dal Münchner Filmmuseum, Monaco; partitura per pianoforte composta per l'occasione ed eseguita dal maestro Aljoscha Zimmermann.

Trama:La storia di Lulù, fioraia ambulante, giovane e bella, innocente e perversa. Figlia di un mendicante, ma forse l'uomo è colui che per primo l'ha sedotta, Lulù intrattiene rapporti altalenanti con diversi uomini: lo speculatore altoborghese Schön, il primo marito Goll, il secondo, Schwarz, che fa il pittore, l'atleta e saltimbanco Rodrigo, Alwa, il giovane figlio di Schön. Tutti non possono fare a meno di lei, e per lei sono pronti a morire o a uccidere. Dopo drammatiche peripezie, la vita sempre in fuga di Lulù termina a Londra dove, ridotta ad adescare clienti per strada, la ragazza cadrà sotto i colpi di Jack lo Squartatore.

Critica (1):La versione che presentiamo è stata restaurata dal Münchner Filmmuseum partendo da un negativo con intertitoli flash francesi e svedesi, depositato presso la Cinémathèque Française. Sulla base del visto di censura tedesco si è potuto ricostruire il testo delle didascalie originali. Il film venne selvaggiamente censurato praticamente ovunque: così, ad esempio, scrive Variety dell'11/12/29:
"Gli esercenti del cinema si lamentano che i censori di New York abbiano fatto finire il film con Pandora e il ragazzo che si uniscono all'Esercito della Salvezza". E così si lamenta J. Bouissounouse su La Révue du Cinéma del 1 maggio 1930 (che pubblica in copertina una inquadratura tagliata dalla versione francese): "Il film ispirato a Pabst da Wedekind è stato vergognosamente rimaneggiato dai montatori francesi; ciò che ne è rimasto è senza dubbio magnifico, ma non ha più alcun senso e gli spettatori non prevenuti si stupiranno non poco di un finale tanto edificante quanto imprevisto: Lulù si arruola, la notte di Natale, nell'Esercito della Salvezza, simbolo sacro che tocca il suo cuore fino ad allora insensibile. Non è vero. Pabst non c'entra per niente. (...) Si è pensato bene di sopprimere Jack lo Squartatore dalla versione purgata, non ne resta che un'ombra che erra nella nebbia lungo il Tamigi, un povero individuo senza nome che compra un ramoscello di vischio portafortuna da una graziosa Soldatessa che raccoglie denaro per i poveri. (...) Ma che cosa ne pensa il pubblico? Si è dunque riusciti ad ingannarlo? Accetta questo inimmaginabile travestimento? Dovrebbe sapere che questa sorta di "abracadabra" è stata tratta da un'opera splendida".
"Sarebbe stato meglio che Louise Brooks si fosse accontentata di mostrarsi nella forma "leggera" delle comiche di due rulli a delle commedie della Paramount. Il vaso di Pandora è un film incoerente che non la aiuta, benché provi che la signorina Brooks non è una attrice drammatica".
Variety, 11/12/29

Critica (2):Una delle punte alte del cinema di Pabst (1885-1967) che diede il meglio di sé fino al '32, questo film muto fu oggetto di molte approfondite analisi e di disparate interpretazioni (Lotte Eisner, Ado Kyrou, Borde-Courtade-Buache) per il complesso equilibrio tra realismo critico, stilizzazione che evita le trappole del formalismo, immoralismo eversivo, esaltazione della sensualità, sostrato di pietà per i personaggi. Non c'è dubbio, però che la sua forza nasca dall'incontro del talento di G. W. Pabst con la presenza magica di Louise Brooks, ex ballerina americana: "Nel tetro e vischioso magma pabstiano, la mobilità "fisica" di Lulu fa lampeggiare agguati, trasalimenti, scocchi. Tutto il film ne riceve come una sollecitazione dinamica, una vibrazione contagiosa" (Francesco Savio). Il miracolo si ripetè l'anno dopo con Il diario di una donna perduta. Ai due drammi di Wedekind sono ispirati un film (1919) di Arzn Crerepy con Asta Nielsen, Lulu (1962) di Thiele con Nadja Tiller e quello (1980) di Borowczyk.
Morando Morandini

Critica (3):Profondamente innovatore non solo per tecnica e linguaggio ma per originale ripensamento del dittico wedekindiano, il film sfugge fin dalle prime inquadrature alla trappola convenzionale dell'adattamento teatrale. Immediatamente e di scena Lulù, capricciosa e infantile, istinto calcolato e tenerezza filiale. Louise Brooks pare non faccia nulla per dare voce, corpo, credibilità a un personaggio tanto complesso e
contradditorio da sfiorare l'astrazione del simbolo. Si limita ad essere. e questa l'assoluta sconcertante novità del film. In questo consiste l'apporto fondamentale della regia. Pabst ha ripensato la disperata dialettica di Wedekind (autore i cui dialoghi non hanno mai la funzione di collegare un personaggio all'altro ma di eludere perfidamente qualsiasi possibilità di comunione reciproca) in termini implicitamente esistenziali ed ha con ciò liberato il film muto da qualunque arbitrario condizionamento negativo nei confronti dell'opera letteraria. Anzichè essere una banale testimonianza visiva, incolore registrazione in immagini di un capolavoro di palcoscenico, il film ambisce a realizzarsi come oggetto separato: mirabile lettura, insieme univoca e polivalente delle molteplici chiavi sollecitate da un testo che vuole restaurare nel ventesimo secolo la Tragedia e ci riesce proprio perchè, a differenza dei moduli classici, non addita soluzioni nè reclama vendette. La terna dei dati che presiedono alla sanguinosa conclusione (l'occasione che collega la vittima al carnefice) non serve più a identificare uno stereotipo negativo ma ad eliminare l'intero ordine sociale adombrato da quelle sinistre figurine. Lulu entra nel film con l'impeto di una folata d'aria pura: il suo approccio a Schigolch e quanto di meno morboso si possa immaginare. I due si rincorrono come un girotondo infantile, è la "figlia" ad allontanarsi per lasciare libero il "padre" di frugarle nella borsetta alla ricerca del denaro, è lei a portargli la bottiglia del liquore preferito ed è lei infine a rivelarlo a Schön quando, dopo l'intervento del cagnolino che continua ad abbaiare all'indirizzo del vecchio, decide di uscire sul balcone causando la sorpresa dell'uno e la sdegnosa irritazione dell'altro. Non una donna-vittima e neppure un'ambigua donna-bambina fuori stagione: la Lulu di Pabst e semplicemente la donna allo stato puro, che si crede libera da qualunque condizionamento sociale. Al momento cruciale della fuga, prima di lasciare Berlino in treno, fa una rapida sosta nell'appartamento ed entra nella stanza dove e stato ucciso Schön. Ad Alwa che le chiede, dolorosamente stupito, come abbia trovato il coraggio per ritornare, la Lulù di Lousie Brooks non può che obiettare "Dove dovrei andare se non a casa mia?" Eva moderna e insieme epitome involontaria della mitica figurazione biblica incerta tra la mela e il serpente, tra la seduzione che ne libera la soggettività e l'inclinazione verso un caos originario che minaccia di perderla, Lulu' non può rassegnarsi a un generico ossequio alle leggi del microcosmo sociale. Per lei e naturalissimo rispondere a Schön con una battuta che, su ogni labbro ad eccezione del suo suonerebbe, espressione di spietato cinismo ("per sbarazzarti di me" gli mormora alle prime inquadrature quando l'uomo le annuncia l'intenzione di sposarsi e troncare la relazione - "dovrai uccidermi" e la didascalia conferma il breve, crudo muoversi delle labbra). Per lei il sesso non e un mezzo ma un fine: concedersi significa essere amata ed essere amata esige come prova tangibile il luccichio del denaro. Sono due concetti inscindibili nell'universo fantastico del bambino (che continua a esigere doni) e dell'adulto che il gioco incessante della ripulsa e dell'offerta fa pericolosamente inclinare verso la ripetizione di quel cliché psicologico che sembra connaturato all'infanzia. Dopo che Schtfn irritato lascia l'appartamento, Lulù non manifesta la minima inquietudine. Accetta, felice, che Schigolch chiami con un cenno Rodrigo che sta in vigile attesa sull'altro lato del marciapiede. Anche la presentazione e il primo timido accenno a quello che, in altre condizioni e con una protagonista caratterizzata in senso realistico, diverrebbe il nucleo di una futura associazione a delinquere, acquista sotto l'obiettivo "radente" di Pabst valenza di gioco. Lo stile adottato e significativo: a) l'apertura a iride introduce un piano americano di Lulu appoggiata al muro in attesa; b) Schigolch apre la porta per far passare l'amico e i due, insieme, attraversano l'immagine a destra per raggiungere Lulu; c) un raccordo sul movimento permette di inquadrare, ancora in piano americano, tutti i presenti. La cellula della miserabile 'Familia humana" degli esclusi si richiede su se stessa. Ora Lulu, dopo la proposta di Schigolch di tornare a danzare (formando con Quast la coppia che dovrebbe unire la prestanza fisica dell'atleta alla pudica grazia esclusiva della languida fanciulla-fiore), può appendersi al braccio di Rodrigo, tastarne i muscoli e stupirsi della loro consistenza. In questa breve sequenza, mantenuta su un impeccabile ritmo giocato tra la commedia borghese e il vaudeville, e già contenuta in nuce la forma dell'oggettofilm, del "progetto Lulu" secondo Pabst. Eterna animatrice di situazioni che fanno sempre pensare all'infanzia (perché di quella hanno conservato la meccanica spontaneità di riflessi) Lulu appare vittima di se stessa persino in quello che dovrebbe configurarsi - all'occhio dello spettatore, ancora ignaro dell'esito della storia - come un solidale rapporto tra emarginati, tutti provenienti dallo stesso milieu, tutti agitati da analoghe rivendicazioni, tutti pronti a respingere il ruolo subalterno di complici del Grande Capitale, tutti in frenetica attesa di una promozione che li innalzi al rango di consumatori. Ma Lulu non e, nonostante le apparenze, un film realistico e la cellula non esige di essere interpretata a senso unico come la sede primitiva di una alleanza intesa a rovesciare il patto sociale. I due miserabili relitti della cui compagnia Lulu si compiace desiderano solo spendere (e non "accumulare'). Mentre, per quanto riguarda lei, di una sola cosa Lulu e consapevole: l'andare incessantemente alla ricerca di un piacere che ha lo stesso volto di un gioco (sia pur debitamente aggiornato sui canoni di un individuo adulto che ormai agisce il sesso senza alcuna mediazione). Non il cinismo ma un ironico sadismo sembra la nota dominante della sua psicologia.

Enrico Groppali, Pabst, Il Castoro Cinema 1983

Critica (4):
Georg Wilhelm Pabst
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