Todo modo
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Regia: | Petri Elio |
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Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo di Leonardo Sciascia; sceneggiatura: Elio Petri, Berto Pelosso; fotografia: Luigi Kuveiller; musiche: Ennio Morricone; montaggio: Ruggero Mastroianni; scenografia: Dante Ferretti; costumi: Franco Carretti; interpreti: Gian Maria Volonté (M., il presidente), Marcello Mastroianni (don Gaetano), Mariangela Melato (Giacinta, moglie di M.), Ciccio Ingrassia (Voltrano), Franco Citti (Autista di M.), Cesare Gelli (Arras, vice questore), Tino Scotti (il cuoco), Adriano Amidei Migliano Capra-Porfiri Giancarlo Badessi (Ventre), Michel Piccoli ('Lui'), Renato Salvatori (Dr. Scalambri), Marcello Di Falco (Saccà), Giulio Donnini (Bastante), Aldo Farina (Restrero), Giuseppe Leone (Martellini), Renato Malavasi (Michelozzi), Riccardo Mangano (Cardinale Beccaris), Piero Mazzinghi (Caprarozza), Lino Murolo (Mozio), Piero Nuti (Schiavò), Loris Pereira Lopez (Lombo Sr.), Mario Bartoli (Primogenito di Lombo), Riccardo Satta (Lomazzo), Luigi Uzzo (Aldo Lombo), Nino Costa (Prete giovane), Guerrino Crivello (Speaker TV a circuito chiuso), Luigi Zerbinati (Caudo); produzione: Daniele Senatore per Cinevera; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Italia, 1976; durata. 130’. |
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Trama: | Mentre nel paese infuria un'epidemia, un centinaio di "notabili" del partito che da trent'anni governa l'Italia si riuniscono in un albergo-convento, costruito nel sottosuolo di una pineta, per eseguirvi un corso di esercizi spirituali condotto da un severo gesuita, don Gaetano. In realtà, indifferenti alle tonanti prediche del sacerdote, che non ha dubbi sulla loro corruzione, ai convenuti preme soltanto concordare una nuova spartizione del potere. Ben presto, mentre un furto sacrilego induce un indignato cardinale ad abbandonare il convento, la riunione si trasforma in rissa, volano parole grosse, si viene alle mani: c'è anche un morto, cui altri seguono nei giorni successivi, gettando il terrore tra i "notabili". Chi è il misterioso assassino? Se lo chiedono il magistrato, venuto per le indagini, e l'uomo che tutti chiamano "presidente" (il solo che abbia condotto con sè la moglie, con la quale s'abbandona, tra una preghiera e l'altra, a torbide effusioni). Rifugiatosi nella cripta del convento, il "presidente" (sul quale, peraltro, gravano i sospetti dei compagni) si convince d'aver trovato la pista per risalire all'assassino. La convinzione diventa certezza quando muore anche don Gaetano: suicida, si afferma, per punire se stesso (si scopre che aveva una doppia vita), dopo avere punito gli altri. Sollevati, i "notabili" superstiti si apprestano a lasciare il convento: fuori li aspetta la morte. |
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Critica (1): | Per Leonardo Sciascia, il film che Elio Petri ha tratto dal suo Todo modo "ha una cupezza biblica cattolica; è l'apocalisse della Dc perchè, in effetti, potremmo anche dirlo in termini religiosi, la Dc ha peccato contro lo spirito". "È un pamphlet – dice a sua volta lo stesso Petri – in cui ho espresso in modo violento i miei, e non solo i miei, trent'anni di rabbia antidemocristiana".
I due più diretti interessati, come si vede, non sembrano molto accordo nel dare l'identità di Todo modo, stante il fatto che tra le pagine bibliche e quelle dei pamphlets c'è una certa differenza. Non c'è da stupirsi, quindi, se ancor più profonde discordanze di pareri si sono registrate tra il pubblico e tra la critica alle prime uscite del film. Né sorprende la divisione che è venuta manifestandosi, una volta di più, fra quanti hanno preso in considerazione il film esclusivamente dal punto di vista della sua utilità politica e quanti, invece, se ne sono occupati solo sotto il profilo estetico, liquidandosi a vicenda cori le immancabili accuse di intellettualismo da una parte e di rozzo opportunismo dall'altra: contrapposizioni polemiche di questo genere, probabilmente, continueremo a tirarcele dietro finchè dovremo fare i conti, volenti o nolenti, con la divisione del lavoro che è alla base stessa del sistema in cui ci troviamo ad operare e che condiziona anche il rapporto tra militanza politica ed esercizio critico. Ciò non toglie che valga la pena di fare qualche sforzo per non ricadere regolarmente in quella sorta di dialogo tra sordi che si instaura attorno ad ogni film del genere e che, nel caso specifico, è reso ancor più schematico dagli inevitabili riferimenti alla prova elettorale in corso. Ridotta all'osso, infatti, la questione sta tutta nel decidere se abbia senso l'usare il metro del "bello" e del "brutto" con un film che, per quanto fa vedere e per il momento in cui lo fa vedere, sembra destinato senz'altro ad esercitare una certa influenza sulle scelte degli spettatori-elettori.
Diciamo subito, allora, che a noi Todo modo interessa soprattutto per questo, per l'apporto che può (o non può) dare alla crescita di coscienza da cui dipende anche il voto del 20 giugno: che è, molto semplicemente, il criterio con cui siamo soliti occuparci di qualsiasi film, considerando come prioritario il fatto che il cinema contribuisca o meno ad aprire gli occhi sulla realtà ed a stimolare nel pubblico l’impegno a trasformarla.
Proprio per questo, però, ci sembra che il film di Petri, uscendo in piena campagna elettorale, si presti in modo particolare a favorire il piccolo sforzo di cui si diceva prima. Non si può restar sordi, infatti, alle voci dei compagni che fanno più o meno questo ragionamento: "Noi non c'intenderemo molto di cinema, se volete, ma qui il problema è un altro: si tratta di convincere il maggior numero di persone a votare contro la Dc. E Todo modo ci piace perchè ha il merito di mettere a nudo il vero volto del regime democristiano e di servire perciò ottimamente a tale scopo". E appunto partendo da considerazioni del genere, e non ignorandole o snobbandole come frutto di grossolane esigenze
propagandistiche, che si può avviare un utile riflessione al riguardo, andando a vedere se e fino a che punto si possa attribuire effettivamente al film quel valore di denuncia e di demistificazione sulla cui importanza, in un momento come questo, non si può non essere più che mai d'accordo. Incominciamo col ricordare che la vicenda si svolge in una casa per esercizi spirituali, a metà fra l'albergo di lusso e il rifugio antiatomico. Vi si raccolgono, mentre all'esterno infuria un'epidemia, esponenti di altissimo rango del regime – ministri, parlamentari, managers delle aziende di stato, finanzieri, ecc. – sotto la guida di una pastore spirituale, don Gaetano, che non si trattiene dal fustigare aspramente questo suo gregge di eletti. Prediche, meditazioni e preghiere si intrecciano a scontri e conciliaboli tra le varie fazioni, sotto l'incubo dell'inesorabile approssimarsi del crollo del regime. L'incubo, del resto, si fa quasi subito realtà: uno ad uno, i partecipanti al ritiro cadono sotto i colpi di un misterioso assassino e il sospetto che questi si celi all'interno del bel gruppo di "amici" porta all'esasperazione le rivalità e gli odii fin qui coperti dall'omertà del potere, trasformando l'albergo-rifugio in una gabbia di belve impazzite, che si sbranano tra loro. Mentre il magistrato e il poliziotto incaricati delle indagini annaspano in questo nodo di vipere, l'unico che sembri in grado di prendere in mano la situazione è il personaggio che tutti chiamano "presidente", gran maestro nell'arte della mediazione, a cui si è sempre fatto ricorso ogni volta che la complessa trama degli equilibri interni ha rischiato di rompersi. Anche in questa occasione il Presidente dà a vedere di muoversi a suo agio tra l'infuriare delle reciproche accuse, giocando sulla spietata messa a nudo delle malefatte di ognuno dei presenti per far valere la propria autorità e aureolarsi, al tempo stesso, di spirito di sacrificio: per apparire, in parole povere, come un cireneo costretto a portare la croce del potere, con tutta la sofferenza di chi rinuncerebbe volentieri a quel peso tremendo, ma non può sottrarsi al dovere morale di farsene carico, per la salvezza comune. Quando il gioco sembra fatto, però,. la situazione precipita: grazie al suicidio di don Gaetano, il Presidente è appena riuscito a mettere tutti d'accordo (è stato il prete ad uccidere, si preparava a fuggire in abiti borghesi con i dossiers ricattatori accumulati a carico dei partecipanti al ritiro, ognuno si prenda il suo e torni a casa tranquillo), che la catena degli ammazzamenti riprende, a ritmo travolgente, assumendo in breve tempo le dimensioni di una carneficina senza scampo per nessuno. L'ultimo a cadere sarà il Presidente stesso, sotto i colpi del suo enigmatico segretario.
Bene, non c'è chi non abbia visto nei personaggi di questa vicenda la classe dirigente democristiana (e Moro, in particolare, in quello del Presidente), la "razza padrona" che, stravolgendo anche il senso dell'insegnamento di sant'Ignazio di Loyola, si è servita di ogni mezzo (todo modo) non per ricercare e mettere in pratica la volontà divina, ma per affermare e conservare il potere, riducendo anzi la stessa fede in Dio ad uno dei mezzi più cinicamente impiegati a questo fine. D'accordo, quindi, nel riconoscere che Todo modo smaschera la strumentalizzazione della fede su cui si è per tanta parte basato il dominio della Dc, mettendo allo scoperto la sporca o, quantomeno, meschina realtà degli interessi nascosti sotto lo sbandieramento dei grandi ideali. E d'accordo, ancora, nel rilevare che il film pone in altrettanta evidenza lo stato di sfacelo in cui versa il regime. Fino a questo punto, però, siamo alla semplice constatazione dei temi affrontati da Petri e del suo atteggiamento duramente critico nei riguardi della Dc, constatazione non dissimile da quella che si può fare scorrendo larga parte della stampa italiana (anche di quella borghese, in vari casi) o ascoltando i discorsi più correnti da qualche tempo a questa parte, nei comizi dell'opposizione come nei commenti della gente comune: lo sfruttamento che la Dc ha fatto della religione, la corruzione di cui si è alimentata, la spartizione delle poltrone che è stata la sua sola ragion d'essere, l'omertà mafiosa con cui ha coperto le lotte intestine scatenatesi a tale riguardo, ma anche il processo di decomposizione nel quale questo modo di gestire il potere ha finito col precipitarla, sono argomenti che ormai molti hanno il merito di trattare con un ampiezza e una spregiudicatezza abbastanza impensabili sino a pochi anni fa.
Il cinema, in verità, non si è sbilanciato troppo in questo senso, neanche in tempi recenti. Negli stessi film "politici" è rimasto, diremmo, più sulle generali, come in passato, occupandosi di storia e di ideologia, di rapporti sociali e di strutture economiche, di ceti e di istituzioni, in qualche caso
con risultati di tutto rispetto, ma arrivando solo raramente e parzialmente (Il sasso in bocca e Il caso Mattei sono due dei non molti esempi citabili al riguardo) a parlare del regime democristiano in termini diretti ed espliciti. Ben vengano, dunque, dei discorsi di questo tipo affidati anche allo schermo ed alla sua larghissima udienza, tanto più nel momento in cui la sconfitta elettorale della Dc rappresenta uno degli obiettivi – necessario, anche se non sufficiente – attraverso i
quali passa ogni prospettiva di reale e radicale trasformazione della società italiana. (...)
Sandro Zambetti, Cineforum n. 154, 5/1976 |
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