Reportero
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Regia: | Ruiz Bernardo |
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Cast e credits: |
Origine: USA/Messico, 2012; durata: 72’ |
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Trama: | A Tijuana il giornalismo è un mestiere in cui si rischia seriamente la vita, ma è quello che hanno scelto il reporter Sergio Haro e suoi colleghi della redazione di Zeta, settimanale indipendente che, sfidando i boss del narcotraffico e la corruzione ad ogni livello, da 32 anni propone un’informazione senza timori e compromessi, in uno dei luoghi più pericolosi al mondo. Dal dicembre 2006, quando l’ex-presidente Felipe Calderón lanciò la sua offensiva ai narcos, in Messico più di 40 reporter sono scomparsi o stati assassinati. Ma se, malgrado la repressione, il traffico di stupefacenti e le efferate violenze tra i cartelli non smettono di aumentare, i rischi per i giornalisti crescono ancora, e anche l’ultima voce libera rischia di dover tacere. |
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Critica (1): | Come molti film sul Messico, o come quasi tutti i film sul Messico, Reportero inizia con lunghe e desolanti vedute della frontiera messicana. Deserto, arbusti, autostrade semivuote. Queste vedute continueranno a essere presenti durante tutto il film: lente, prive di colonna sonora o di voci di sottofondo. Questi paesaggi pieni di cielo sono il primo e più evidente tributo che Reportero, documentario scritto per un pubblico internazionale eppure così intimamente messicano, rende al Messico.
(...) Reportero è un documentario del 2012 diretto da Bernardo Ruiz. Parla di Zeta, un settimanale con sede a Tijuana fondato nel 1980 e diretto fino al giorno della sua morte da Jesús Blancornelas. Zeta più di ogni altro giornale è stato precursore del giornalismo d’inchiesta in Messico: quando ancora il regime del PRI controllava gran parte della stampa messicana, Zeta pubblicava inchieste scomode, pestava piedi, metteva in pagina quello che gli altri giornali non volevano o non potevano mettere in pagina.
Partendo dalla testimonianza di Sergio Haro, giornalista e fotografo al lavoro a Zeta fin quasi dalla fondazione, il documentario mostra la difficoltà e l’eccezionalità del lavoro di reporter in una città come Tijuana. I colleghi ammazzati, due dei quali giornalisti di Zeta, l’attentato contro Jesús Blancorelas, scampato per un soffio alla morte, il passaggio dalla cronaca politica al narcotraffico, le difficoltà di resistere in un mercato saturato di sangue, dove si vende solo se c’è il morto in copertina sono i temi che Bernardo Ruiz ha deciso di trattare, dando un’idea perfetta di cosa voglia dire essere giornalista nel paese che secondo Reporter senza Frontiere è il più pericoloso al mondo per chi fa questo mestiere.
La scelta di entrare dentro Zeta consente a Ruiz di descrivere il mondo del giornalismo in Messico attraverso lo sguardo di Sergio Haro e dei suoi colleghi, usando anche materiale d’archivio come vecchie interviste al defunto Blancornelas. L’insistenza sul dato umano è uno dei maggiori pregi del documentario: Ruiz descrive bene come fare il giornalista in un luogo come il Messico possa essere un’esperienza totalizzante, e come al tempo stesso sia necessario imparare a convivere con la paura. Proprio la paura è uno dei protagonisti di Reportero: più volte i giornalisti di Zeta descrivono di come le loro mani tremino davanti a un documento scottante, o di come firmare un articolo scomodo possa diventare una condanna a morte. Imparare a fare il giornalista in Messico significa imparare a sconfiggere questo tipo di paure.
Reportero ha la rara qualità di raccontare tutto questo con precisione, dando il giusto peso agli elementi in gioco, senza premere troppo il piede sull’acceleratore del sangue e dei morti ammazzati. Reportero tratta la storia di Zeta come una storia genuinamente messicana dove, al contrario di quanto avviene con molti altri documenti simili, il lavoro del reporter nel Messico dilaniato dalla guerra contro il narco è presentato nella sua unicità, che differenzia il Messico da tutti gli altri scenari di guerra.
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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