Demoiselles de Rochefort (Les)
| | | | | | |
Regia: | Demy Jacques |
|
Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Jacques Demy; fotografia: Ghislain Cloquet; musiche: Michel Legrand; montaggio: Jean Hamon; scenografia: Bernard Evein; costumi: Marie-Claude Fouquet; effetti: Louis Seuret; interpreti: Catherine Deneuve (Delphine Garnier), George Chakiris (Etienne), Françoise Dorleac (Solange Garnier), Jacques Perrin (Maxence), Michel Piccoli (Simon Dame), Jacques Riberolles (Guillaume Lancien), Grover Dale (Bill), Geneviève Thénier (Josette), Henri Crémieux (Dutrouz), Pamela Hart (Judith), Leslie North (Esther), Danielle Darieux (Yvonne Garnier), Gene Kelly (Andy Miller), Patrick Jeantet (Boubou), Agnès Varda (infermiera nel negozio); produzione: Gilbert De Goldschmidtper Parc Film-Madeleine Films; distribuzione: Lab80; origine: Francia, 1966; durata: 86'. |
|
Trama: | Le figlie gemelle di Yvonne Garnier, Delphine e Solange, vivono, l'una dando lezioni di danza e l'altra componendo musica, nella piccola città di Rochefort. L'arrivo di una carovana pubblicitaria guidata da due spensierati ed allegri giovani porta lo scompiglio nella vita delle due ragazze le quali, dopo aver accettato di sostituire le ballerine del gruppo, vengono invitate a trasferirsi a Parigi dove hanno sempre desiderato di andare. Nel frattempo, però, Solange incontra nella cittadina un musicista del quale si innamora, mentre sua madre Yvonne ha modo di ritrovare, in occasione della festa organizzata dalla carovana pubblicitaria, il suo ex fidanzato che in realtà è il padre di Delphine e di Solange. Lasciati i suoi familiari a Rochefort per raggiungere Parigi con la carovana, Delphine conosce Maxence, un giovane pittore che l'aveva idealizzata in un suo quadro. Dopo essersi innamorata di questi, la ragazza decide di recarsi con lui nella grande città. |
|
Critica (1): | La storia, scritta dallo stesso Demy, riguarda (ancora una volta) la sorte di un gruppo di persone legate fra di loro, sapendolo o no, da rapporti che fatalmente giungono a maturazione. Delphine (la Deneuve) e Solange (Fran9oise Dorléac) sono due gemelle con del talento musicale le quali sognano l'evasione dalla provincia, la prima per danzare a L'Opera, la seconda per far eseguire a Parigi i suoi concerti. Di Delphine è invaghito Guillaume (Jacques Riberolles) , mercante d'arte e pittore astrattista, ma ella è interessata ad un marinaio sconosciuto che ha affidato alla galleria di Guillaume un ritratto di donna in cui Delphine riconosce se stessa. Il marinaio, Maxence (Jacques Perrin) ha definito in quel quadro il suo ideale femminile senza mai vedere Delphine, pur frequentando regolarmente il bar della madre di costei, Yvonne (Danielle Darrieux), ed è naturalmente alla ricerca della donna viva che corrisponde al suo ideale.
Solange, dal canto suo, è in rapporti con un commerciante di strumenti musicali, Simon Dame (Michel Piccoli), tramite il quale desidera mettersi in contatto con un famoso compositore americano attivo a Parigi che le potrà essere utile; Simon confessa di essersi da poco sistemato a Rochefort perché qui, dieci anni prima, aveva amato una donna che l'aveva improvvisamente piantato. Giova dire, a questo punto, che Yvonne, la madre delle gemelle, a tutti coloro che la vogliono sentire racconta la storia di un suo sfortunato amore di dieci anni prima: insomma Yvonne e Simon sospirano di ritrovarsi, tuttora innamorati, senza sapere di vivere l'una a poca distanza dall'altro (lei aveva convinto lui che si sarebbe imbarcata per il Messico).
Intanto due giovani americani, Etienne (George Chakiris) e Bili (Grover Dale) con la loro carovana d'attrazioni forensi sono giunti a Rochefort per la « kermesse » del tricentenario della città, ma sono in crisi perché le loro compagne li hanno piantati proprio alla vigilia del debutto: i due, convincendo le gemelle ad esibirsi in un numero musicale nel loro spettacolo e promettendo di portarle a Parigi, danno un incentivo alle ambizioni artistiche delle due ragazze. Poi, una dopo l'altra, tutte le cerniere si chiudono. Il musicista americano, Andy Miller (Gene Kelly) viene di sorpresa a Rochefort a trovare l'amico Simon e fortuitamente conosce sia Solange che la sua musica, innamorandosi sia dell'una che dell'altra (Solange lo ricambia) ; Yvonne viene a sapere dell'esistenza di Simon e si ricongiunge a lui; Delphine, che si fa portare a Parigi nel camion dei due americani, accoglie a bordo Maxence che, finito il periodo di leva, dal bordo della strada chiede un passaggio.
Cherbourg è all'estremo nord della Francia e — come a Brest — ci piove spesso. Gli ombrelli e la melanconia la-sciano il posto al sole e ali'« happy end » concatenati) di Rochefort, città che, essendo all'altezza di Lione — sia pure sul versante atlantico — si può considerare al sud. In un succedersi di brani in prosa, di canzoni e di danze, nel tipico abbandono melodico-ironico di Michel Legrand, attraverso l'uso di colori rosa, blu, bianco, giallo e « mauve », il film, secondo una frase di lancio, mette in scena due « ravissantes jumelles qui dansent et solfient au milieu d'un tourbillon de couleurs, de bonheur, de chaleur ». Pubblicità o no, proprio questa è l'intenzione di Demy: quella di costruirsi — e di proporre — un universo particolare, per-sonale, che non è poi tanto strano, visto che è quello che tutti vorrebbero avere come universo concreto (si tratta di «préférer au pire le meilleur... et le plaisir à la douleur», come cantano Bill e Etienne) .
Per Demy questo non è un sogno, è semplicemente il suo Paradiso. Proprio nel senso del credente: questo autore, che è un « naif », non rifiuta il Meraviglioso, anzi lo elegge a sua dimensione specifica, necessaria. La sua originalità, in questo nostro presente di furiosa smitizzazione, è quella di eleggere il mito a sua misura costante: la Mitologia (del cinema, dell'avventura, dell'amore, del «musical», dell'illusione, del destino) uguale alla vita, ossia al suo cinema. In lui come in pochi altri registi della « nouvelle vague » la « trasparenza » dello schermo è assoluta, l'immedesimazione tra spessore della realtà e peculiarità del fotogramma è continua. I citati Carlini e Marchesini definiscono efficacemente Demy « un abitante di Brigadoon precipitato incidentalmente nella poltrona di una sala cinematografica » (Brigadoon, nel « musical » di Minnelli, è un fantastico villaggio che vien fuori dal nulla una volta ogni cento anni: il Luogo Felice, il Paradiso da cui Demy è sceso e a cui tende) ; anche se poi compiono un'indebita azione riduttiva ritenendo questo regista « specializzato nella messa in scena di una danza », ciò che definirebbe la sua «vocazione di erotomane perpetuo».
L'amore, si sa, ma anche il caso, e soprattutto i giochi dell'amore e del caso. Si potrebbe tracciare un grafico dei rapporti tra i personaggi di Les demoiselles de Rochefort e dei loro movimenti, sempre sul punto di incrociarsi, senza riuscire mai (se non nell'ultima bobina). Continuando a traversare la realtà (quella quotidiana, la « nostra » realtà) al di qua e al di là della sua linea artatamente tracciata, Demy cammina candidamente, come Charlot in The Pilgrim, a cavallo di questo confine, costruendo la «sua» realtà — euforica, non fantastica — come un gioco, appunto.
Gioco sono la simmetria delle azioni, l'agnizione, il ricorso alla musica e al balletto (che non ha una dimensione metaforica, ma, come il canto in Les parapluies de Cherbourg, è la dimensione normale per tutti i personaggi, compresi quelli di sfondo, compresa Rochefort: West Side Story non è passato invano); gioco è l'intrecciarsi delle «fatalità», che giunge fino al virtuosismo di mettere in scena contemporaneamente, in una bellissima sequenza tutta cantata, la passione respinta di Guillaume, il rimpianto di Yvonne, la esaltazione di Andy, la melanconia di Simon, l'idealismo dì Maxence e infine la giovinezza e la disponibilità delle due gemelle che, insieme ai due giovani americani, prima di concludere il loro intervento in una specie di delirio panico-musicale, cantano (le maiuscole sono nei dialoghi originali del film, pubblicati da Raoul Salar):
« De l'Ardeur, de l'Esprit, de 1'Amour, Des Folies, du Bonheur, du Génie, De la Joie, de la Vie ». (...)
Senza parlare poi dei numerosi «calembours», delle «plaisanteries» — insomma dei giochi di parole — sparsi nei dialoghi. Demy non rifugge, a questo proposito, dal grottesco (o dall'ingenuità: direi meglio che non rifugge dall'essere se stesso, regista della «neo-naiveté»).
Ermanno Comuzio, Cineforum n. 124-125, 7-8/1973 |
|
Critica (2): | |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| |
| |
|