Nel corso del tempo - Im Lauf der Zeit
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Regia: | Wenders Wim |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Wim Wenders; fotografia: Robby Müller, Martin Schäfer ; musiche: Axel Linstädt - I brani degli Improved Sound Limited sono stati composti da Axel Linstädt e i testi sono di Bernd Linstadt. Le altre canzoni sono di: Chris Montez, Crispian St. Peters, Heinz, Roger Miller; montaggio: Peter Przygodda; scenografia: Heidi Lüdi, Bernd Hirskorn; interpreti: Rüdiger Vogler (Bruno Winter, detto "King of the Road"), Hanns Zischler (Robert Lander, detto "Kamikaze"), Lisa Kreuzer (Pauline), Rudolf Schündler (padre di Robert), Marquard Bohm (uomo dell'incidente), Dieter Traier (Paul, proprietario del garage), Franziska Stommer (padrona del cinema Weisse Wand), Patrick Kreuzer (bambino alla stazione), Peter Kaiser (proiezionista), Michael Wiedemann (insegnante), Wim Wenders (spettatore al teatro); produzione: Wim Wenders Produktion, Wdr; Distribuzione Viggo S.R.L; origine: Germania, 1976; durata: 176'. Riedizione: 2016. V.M. 14 |
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Trama: | Bruno, detto King of the Road, vive sul suo vecchio camion con cui viaggia tra i paesi periferici della RFD, riparando vecchi proiettori cinematografici. Robert, detto Kamikaze, è uno psicolinguista che vorrebbe scappare dal suo passato. Quando tenta invano il suicidio gettandosi con la sua Volswagen nel Reno, incontra Bruno. Insieme cominceranno un percorso di scoperta del confine tra le due Germanie e di se stessi, tra piccoli cinema di provincia, incontri fugaci e paesaggi desolati. |
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Critica (1): | Il significato di Nel corso del tempo è affidato soprattutto all'immagine, e quindi ai gesti, ai movimenti, agli spazi, alla macchina da presa che in crescendo tutto hollywoodiano sta addosso ai personaggi e li interpreta. Il riferimento al muto è quindi insieme un omaggio, ma in primo luogo l'esigenza di ristabilire una colonna visiva che non funga da semplice supporto alla colonna sonora, che non sia "rimando" o "assenza", ma che conservi l'autonomia e la realtà dell'espressività che gli è propria. Il bianco e nero netto, marcato, pulito accresce la forza di denotazione del film, ne rafforza il tono analitico; ciò che vediamo non è metafora, ma significazione diretta e storica, perchè nelle immagini riconosciamo le immagini della nostra esistenza. Robert e Bruno fanno parte della nostra memoria e della nostra angoscia, della nostra razionalità come dei nostri sentimenti e del nostro amore per il cinema. Emanano un fascino intellettuale perchè vivono come rappresentazioni di esperienze e sono figure concettuali, movimenti di pensiero e sguardo sulla concretezza dei bisogni e dei desideri di una generazione. Il cinema di Wenders possiede quindi un valore di inventario, di cosciente viaggio nell'immaginario, nelle sue nuove combinazioni e nelle forme ereditate. E la riscoperta coincide con l'opposizione al cinema come oggi è diventato; il valore restituito all'immagine si contrappone non all'avvento del sonoro come possibilità linguistica, ma all'avvento del sonoro come musica totalizzante, come chiacchiera politica, come spasimo pornografico.
Nel corso del tempo non è la storia di un'amicizia, ma la rappresentazione di un confronto tra individualità. Nessun atto di sangue unisce e consacra Bruno a Robert, nessun amore li destina ad un reciproco soccorso. La loro "unione" nasce dalla concretezza di una condizione di vita affine. Simili a due molecole vaganti che casualmente e provvisoriamente vengono ad interagire, per poi dividere i loro destini già divisi, Robert e Bruno stabiliscono una convivenza, nei momenti di maggior avvicinamento "entrano in contatto", ma automaticamente separano i loro destini quando hanno esaurito lo scambio vitale. La simpatia che li avvicina è occasionale e quasi forzata, la loro unione è agitata, litigiosa, fatta di saltuarie gentilezze, ma per lo più indispettita, con atteggiamenti differenti. Quella di Bruno è una solitudine più pragmatica, meno intellettuale, priva di sussulti appariscenti. Comunica più con gesti che con parole, aderisce alle situazioni con immediatezza, ha l'aria di chi non vuole scoprire nulla, ma preferisce ricevere. L'esterno è un dramma che non va toccato, cui risponde col proprio nomadismo, quasi a sfuggire un urto troppo diretto, troppo traumatico. Il camion è tutto il suo mondo, fatto di oggetti desueti, reperti di un passato che è sembrato rapido, di un tempo trascorso velocemente di una storia che sembra aver accelerato il proprio decorso. I luoghi della sua esistenza sono le cabine, quella del camion, stanza nella quale Bruno si organizza l'esistenza elementare e quella di proiezione, dove scambia con vecchi gestori discorsi sul passato, il presente e il futuro del cinema. Ma dove c'è anche, tra siringhe e immagini pornografiche, tutta la frustrazione e l'alienazione dell'oggi. Non si sfugge al movimento dell'imbecillità e dell'immedesimazione in un cinema volgare, che sfrutta le insufficienze del vivere. La provincia, che Bruno attraversa è certo lo spazio dello squallore e della stupidità, è l'humus del consumo di certo cinema, la degradazione di un mercato chiuso in una mediocre uniformità, ma è pure un luogo di ricerca, dove il passato di tanto in tanto riemerge, dove certe cose stentano a morire, dove i ricordi riaffiorano, seppure avvolti da un'ingenuità un po' colpevole. Il lavoro costringe Bruno a misurarsi con se stesso, a confrontare l'ieri all'oggi: due spettacolarità diverse, due modi di essere cinematografici, due immagini contrapposte. Quella antica una produzione di miti una fonte di emozioni; quella moderna uno sfruttamento di desideri, una produzione pianificata di falsi piaceri. Quando Bruno incontra Lisa, la ragazza del luna park, è un mondo di "perdizioni" che si apre all'obiettivo e che coinvolge ogni manifestazione, senza distinzioni di luoghi e di funzioni. (…) Schermo e realtà si confondono indistintamente, in un reciproco rispecchiamento di falsità. II coinvolgimento è completo e l'immagine è funzionale allo sfogo, all'appagamento della frustrazione indotta, che continua a sussistere come tale. Al cinema si può godere, lo spettatore può entrare col proprio corpo nel film, che diventa sempre più "reale". Non c'è la distanza tra lo sguardo dello spettatore e ciò che viene rappresentato, non c'è il piacere che si prova nell'assistere alla costruzione della scena, non c'è la meraviglia che nasce dal gioco tra ciò che è esplicito, visibile e ciò che è sottinteso, invisibile; non c'è il sentimento razionale che deriva dal gusto dell'intelligenza compositiva, dalla tensione di un discorso aperto alla riflessione. Tutto è mostrato, in una dovizia di particolari che nasconde solo l'insufficienza intellettuale e l'ignoranza assoluta del mondo e delle persone. (…)
Nel corso del tempo è come un documentario di finzione; quanto viene mostrato si fa espressivo, si compone secondo un nuovo ordine che partecipa con la datità di un rapporto dialettico di rispondenza e alterità, di verosimiglianza e astrazione. Questo doppio movimento di riflessione e di rifrazione consente quell'andirivieni di realtà e rappresentazione, quel procedere ambiguamente che dà al prodotto densità riflessiva, profondità di analisi e problematicità teorica.
Nel corso del tempo è un film conteso tra staticità e moto, tra fotografia e cinema, tra riposo e azione, tra rassegnazione e cambiamento. A un momento attivo segue un momento passivo, a un momento drammatico un momento di semplice osservazione. Bruno e Robert effettuano degli spostamenti interrotti da soste prolungate. Il movimento ha uno spazio ridotto nel film, la dinamicità suggerita dai mezzi di trasporto è solo apparente. Robert nella macchina, Bruno nel camion, Robert e Bruno nel camion insieme danno l'idea di una chiusura, di un legame vizioso col proprio isolamento. La macchina da presa è con loro, fissa sui rispettivi veicoli. I movimenti che essa compie sono lenti, riflessivi, e sembrano seguire quelli dei personaggi, come nel dolly che accompagna come in controcampo Bruno mentre sale sul camion, dove c'è tutta la difficoltà che nasce dallo slancio e dalla successiva delusione, o come nella panoramica che accompagna Robert sul bordo della cava, rimanendo distante a leggerne l'ansia, ma anche l'impotenza. Essa è un osservatore ora partecipe, ora puramente contemplativo, ora presente nell'azione, come nell'ultima, già citata, corsa sul sidecar. È un costante entrare e uscire dalla rappresentazione, un abbandonarsi al fascino che riproduce e un guardare con distacco il corso degli eventi. Anche i miti che attraversa cambiano di segno: le strade non sono senza fine come nei film on the road dell'ultima, ma non meno artificiale e produttiva, cinematografia americana, l'amicizia ha perso i caratteri di virilità e di "eroismo", l'automobile finisce in un elemento che non gli è proprio. Il grosso camion, goffo e simpatico, non ha nulla di violentemente liberatorio, ha più le sembianze di un relitto che va alla deriva, col suo carico di antichità e di ricordi, e di bellezze non scoperte. La fotografia stessa, intensa e morbida, trasmette una sensazione di materialità, di rispettoso ma lucido contatto con i fenomeni. Nel corso del tempo è un film sugli ideali privo di idealismo, un film dove il realismo è connotativamente funzionale alla riduzione "terrena" dell'eredità mitico-intellettuale. Un film di superficie quindi, "bidimensionale", che disegna una geometria di linee spezzate, un film alterno che ricostruisce una temporalità fenomenica, con l'intima interazione di passato e presente, di continuo e discontinuo. Così il mito, i modelli, le credenze rivivono la loro "intensità ma corretta dalla lontananza delle origini, dalla coscienza del tempo che solo consente la comprensione del vissuto e del vivente. Wenders interviene nella storia, soggettiva e oggettiva, manipolando oltretutto la temporalità cinematografica, dilatando e comprimendo, in un montaggio alternato di narrazione e di osservazione documentaristica. Il film è anche una ricerca di luoghi perchè è stato girato durante un viaggio, come indicano le didascalie iniziali, e quindi è dentro la storia: così le immagini vengono trovate e lasciate, perchè dopo c'è ancora qualcosa. Nulla viene distrutto, poichè la rivoluzione è improbabile, ma qualcosa viene abbandonato nel corso dei tempo.
Angelo Signorelli, Cineforum n. 180, 12/1978 |
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Critica (2): | Per Nel corso del tempo è possibile raggruppare la musica (e le sue citazioni) in tre insiemi abbastanza netti: la musica originale del film, le canzoni suonate al mangiadischi di Bruno, le frasi derivate da brani famosi e inserite nel dialogo dei due personaggi. Proprio attraverso una di queste citazioni avviene il primo effettivo riconoscimento tra i due: nel bar della stazione, dopo che Robert ha potuto di nuovo indossare i suoi abiti e non c'è più alcun concreto motivo perchè Robert stesso rimanga con Bruno, il disagio del momento è risolto attraverso la scoperta di una possibilità di comunicazione (intesa come effettiva "messa in comune" di una conoscenza) per mezzo del codice/rock'n'roll. Vedendo il treno arrivare Bruno annuisce pronunciando una frase tratta da Love in vain dei Rolling Stones: "When the train comes in the station" – codice che viene subito assunto sorridendo da Robert che continua con il verso successivo immedesimandosi nel personaggio della canzone: "With a suitcase in my hand". (…) Ma c'è un'altra funzione fondamentale che viene svolta da questo semplice scambio di battute. È quella che in termini jakobsoniani si definisce funzione "fatica" cioè quella che permette di iniziare o continuare un dialogo senza che il contenuto di quanto viene detto determini il senso profondo del discorso. Infatti fino a quel momento Bruno e Robert si sono sì scambiati il nome, ma sono rimasti due estranei: la possibilità di conoscere reciprocamente alcuni elementi decisivi della storia di entrambi nasce proprio dal varco aperto dalla verifica della comune esperienza del fenomeno rock.
È, rappresentativamente, una ambiguità felicissima, che consente il sottile gioco tra logica (le necessità del racconto) e nonsense (come ne parla Wenders a proposito del rock in inglese). La complessità delle citazioni (apparentemente trascurabili) di versi tratti da canzoni si articola diversamente in altre due occasioni, sia l'una che l'altra con citazioni da Dylan. La seconda – in ordine di tempo– è molto vicina alla forma e al processo messi in atto dai versi dei Rolling Stones. Robert, davanti al crocefisso, cita Idiot wind: "I've been double-crossed for the last time", giocando ironicamente sul senso di 'cross' e di 'double-cross', ma la seconda parte del verso potrebbe riferirsi letteralmente alla vicenda che Robert sta attraversando: "...but now l'm finally free". Dal canto suo Bruno prosegue il sottile gioco di equivoci e di doppi sensi impostato dal codice rock sussurrando a proposito delle braccia alzate del compagno: "Die Weltmeister" (il campione del mondo). L'altro verso di Dylan che appare nel film si inserisce in uno spazio più indeterminato: è Robert che dice "There was a wicked messenger from eli he did come" da The Wicked Messenger. Il 'messaggero malvagio' non si riferisce a nulla in particolare, ma suggerisce una certa atmosfera indecifrabile e perplessa, come quella con cui è costruita la scena in cui il verso viene pronunciato; ma il richiamo avviene più a livello del ritmo interno del verso che del senso del testo.
La seconda serie di elementi musicali omogenei – le canzoni del mangiadischi – svolge una funzione altrettanto importante. Una nota sulla provenienza di queste canzoni: pressochè sconosciute al pubblico pop e rock italiano (e credo anche a quello europeo in generale) hanno invece una dimensione completamente diversa per i tedeschi. Wenders ha detto che la loro notorietà deriva dal fatto che in Germania le si ascolta comunemente all'American Forces Network, la radio dell'esercito americano di stanza in Germania. Quindi, ancora più che musica di 'esportazione', come altri tipi di rock, questi pezzi sono vera e propria musica di 'occupazione', che trapianta senza mediazioni i gusti e le abitudini dei soldati americani nella colonia tedesca. È dunque quella musica che ha stabilito la dipendenza ideologico/culturale di una larga parte dei giovani tedeschi, condizionando di conseguenza anche le forme della loro liberazione. Il rapporto che Bruno e Robert stabiliscono con esse è estremamente ambiguo e, talvolta, paradossale: uno dei punti di maggior avvicinamento tra i due, uno dei pochi momenti in cui il viaggio è vissuto come esperienza gioiosa, oltre che come progresso, è la scena in cui i due cantano, sulle note del disco, Just like Eddie. L'impatto emotivo che ne deriva è, anche per lo spettatore, molto forte; ma quale sarebbe la delusione se – dimenticando la ricchezza del contesto in cui viene a porsi la canzone – si facesse riferimento al pauroso, "nashvilliano" semplicismo delle parole del pezzo, che pure coincide con una pausa di estrema serenità della narrazione: "Whenever l'm sad, whenever l'm blue, whenever my troubles are heavy - beneath the stars I play my guitar - just like Eddie". La colonizzazione ideologica americana determina un universo di segni lungo le cui relazioni avviene il movimento di liberazione dei personaggi: ai margini, non attraverso (così come tutto il viaggio si dipana lungo una frontiera che non viene mai varcata). La frattura culturale delle generazioni postbelliche con il passato è data come ineliminabile. Il rock è l'alfabeto degli anni dell' “apprendistato": quello che definisce alcune delle più importanti forme di comunicazione tra gli individui che a quelle generazioni appartengono. È indicativo che il proiezionista del cinema C&C, di fronte al funzionamento della croce di malta magnificato da Bruno, si interessi alla provenienza del juke-box.
L'ultimo gruppo di composizioni è quello che comprende le musiche originali del film; di queste, due hanno un titolo (e sono quelle più ricorrenti) mentre le altre, anche se composte dallo stesso autore (Axel Linstadt), restano senza nome. I due pezzi sono Im Lauf dei Zeit e If you take the key out. Il primo è quello dei titoli di testa e ricompare nella colonna sonora altre due volte: dopo il primo litigio tra Bruno e Robert (quello che avviene presso il camion trasformato in bar) accompagnando una delle frasi chiave del film: "lo sono la mia storia" (Robert); poi segue il ritorno dei due dall'isola sul sidecar. E un pezzo suonato alla steel guitar, con uno stile a metà tra alcune cose dei Rolling Stones e Leo Kottke. La steel guitar, con il suo suono 'scivolato', si introduce perfettamente in situazioni di "passaggio" o di "movimento". If you take the key out appare più spesso: nella scena della defecazione e del salto di Robert, sulla riva bianca; in una versione molto lunga quando accompagna le scene che vanno dalla partenza di Robert verso la casa del padre fino al suo arrivo; poco dopo la scena del cinema C&C; alla fine, sullo Schermo Bianco, in versione cantata. È forse il tema musicale che sorregge principalmente il film, quello più duttile: suonato alla chitarra acustica è un tema molto dolce ma non svenevole, alla chitarra elettrica (con qualche reminescenza blues) dà un malinconico effetto di allontanamento; cantato acquista una sua autonomia che reagisce ai significati della sequenza finale. Il testo cantato (per quello che se ne può capire attraverso la distorsione data dal forte accento tedesco del cantante) riguarda Bruno e la sua vita sul camion offrendone delle immagini sintetiche che agiscono da flashback verbale nei confronti della fine del film: "If you take the key out the truck won't move... Sometimes I get tired of these coffee shops and fast-foods". Le altre composizioni, pur mantenendo ben chiara la loro appartenenza al filone rock (sempre inteso nell'ampiezza datagli da Wenders), non rifiutano un dimensione descrittiva, di accompagnamento alle emozioni dei personaggi: è il caso del pezzo suonato prima all'organo, e poi dal gruppo, che sottolinea gli stati emotivi più intensi (l'uomo che ha perso la moglie, l'incubo della cassiera) senza riferirsi però mai ai due protagonisti. Ancora, del pezzo per chitarra che segna l'addio di Bruno e della cassiera. Infine, del trascinante assolo al sax alto prima e alla chitarra elettrica poi che accompagna la scorribanda in sidecar. Pare che qui Wenders proceda ad applicare all'inverso il metodo adottato per i cortometraggi; qui costruisce delle possibili canzoni a partire dalle scene e dalle esigenze del film. Anche per questi brani le influenze e i richiami non sono intellettualistici, ma chiaramente di massa: il primo pezzo citato rimanda ai più tipici Pink Floyd; il secondo, compositivamente e per la base ritmica, fa trasparire i temi scritti da Dylan per Pat Garrett e Bily the Kid di Peckinpah. Ma tutto questo materiale non è mai sfruttato banalmente: quella di Nel corso del tempo rimane una delle colonne sonore più belle, più complesse e più consapevoli degli ultimi anni.
Davide Ferrario, Cineforum n. 180, 12/1978 |
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