Opera senza autore - Werk ohne Autor
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Regia: | Donnersmarck von Florian Henckel |
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Cast e credits: |
Ispirato a fatti realmente accaduti, il film racconta tre epoche di storia tedesca attraverso l'intensa vita dell'artista Kurt Barnert, dal suo amore appassionato per Elisabeth, al complicato rapporto con il suocero, l'ambiguo Professor Seeband che, disapprovando la scelta della figlia, cerca di porre fine alla relazione tra Kurt ed Elisabeth. Quello che nessuno sa è che le loro vite sono già legate da un terribile crimine commesso da Seeband decenni prima. |
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Trama: | Sceneggiatura: Florian Henckel von Donnersmarck; fotografia: Caleb Deschanel; musiche: Max Richter; montaggio: Patricia Rommel, Patrick Sanchez Smith; scenografia: Silke Buhr; arredamento: Julia Roeske; costumi: Gabriele Binder, Christoph Von Schönburg; effetti: Claudius Rauch, Goodbye Kansas Studios; suono: Matthias Richter ; interpreti: Tom Schilling -(Kurt Barnert), Sebastian Koch (Prof. Carl Seeband), Paula Beer (Ellie), Saskia Rosendahl (Elisabeth May), Oliver Masucci (Pr. Antonius van Verten), Cai Cohrs (Kurt Barnert a 6 anni), Ina Weisse (Martha Seeband), Evgeniy Sidikhin (NKVD Maggiore Muravyov), Ulrike C. Tscharre (Signora Hellthaler), Bastian Trost (medico Dr. Michaelis), Hans-Uwe Bauer (Professor Horst Grimma), Hanno Koffler (Günter Preusser), David Schütter (Adrian Schimmel), Hinnerk Schönemann (Werner Blaschke), Jeanette Hain (Waltraut Barnert), Jörg Schüttauf (Johann Barnett), Johanna Gastdorf (nonna Malvine), Florian Bartholomäi (Günther May), Jonas Dassler (Ehrenfried May); produzione: Quirin Berg, Florian Henckel Von Donnersmarck, Jan Mojto, Max Wiedemann per Bayerischer Rundfunk, Pergamon Film, Rai Cinema, W.O.A. Film, Wiedemann & Berg Filmproduktion; distribuzione: 01 Distribution; origine: Germania-Italia, 2018; durata: 188’. |
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Critica (1): | C’è un filo sottile fra pancia e cuore che rimane immobile nella stragrande maggioranza dell’esercizio critico (salvo quando si ricorre alla memoria, e allora lì le cose si complicano). Probabilmente è meglio così: la testa, nei casi migliori, fa da paciere. Tuttavia il cinema serve anche a pizzicarlo, quel filo. In questo caso, la critica ha due alternative: accettarne il movimento o forzare la testa affinché prenda il sopravvento. Un pensiero romantico? Sarà, ma se non ci contassi, abdicando agli scenari apocalittici evocati dai più, finirei per indossare le vesti del cicisbeo. Presumo esistano ancora i film-defibrillatori. Sono rarissimi, tanto che ne abbiamo scordato l’effetto. Forse sono addirittura riservati, cioè su misura, indirizzati. Una profilazione personalizzata: valgono per me, non valgono per nessun altro. Quindi addio critica oggettiva, addio fondamentali. Opera senza autore mi ha costretto a rimettere in prospettiva idee e metodo. Mi ha fatto violenza. Ed io, che trovo la violenza repellente (per inciso, anche la voce grossa è una forma di violenza), per una volta ne avrei voluto di più. Ancora. Il cinema, malgrado me stesso, malgrado il critico. Un film decapitato che lavora e travolge il dramma, il feuilleton, il war movie, il film in costume, il mélo, la ricostruzione storica, la soap, l’epica, il women’s film, il weepie, il polpettone, lo sceneggiato a puntate e la televisione e lo fa senza intellettualismi, frontale, scoperto, indipendentemente dalla ragione, dal basso e sempre in basso, più o meno altezza ventre. Nomen omen: un’opera senza l’autore e che nasce e si enuncia da sola; un film che sembra bruciare per autocombustione lenta (tre ore) e che non brucia le tappe, ma anzi si alimenta a poco a poco e sempre più del suo stesso piacere elementare del racconto. Come un romanzo-mondo, come una telenovela o un fotoromanzo, dove però l’innocenza non è contaminata né dal fuoco della vendetta né dalle agnizioni, e soprattutto dove l’amore, a lungo andare, trionfa. Il cinema terso, con dolly che neppure Tornatore e totali da Leone. L’uso della luce artificiale di Caleb Deschanel e della musica enfatica di Max Richter è paradigmatico: un film semplificato ad uso e consumo della pancia, che da principio con imbarazzo ma via via con perseveranza irreprimibile chiama a raccolta tutti i fili che conducono al cuore. Ho riprogrammato così le mie proporzioni di sguardo (e di critico) su ogni genere coinvolto, sulle aspettative e sui presagi (del luogo comune): il film lo chiede, lo implora, non si può far finta di niente, non si può non cedere e appellarsi di nuovo, come sempre, al buon gusto, al buon senso, alla verosimiglianza, alla credibilità, tutte cose che al cinema e alla critica hanno portato più male che bene. Opera senza autore viene da troppo lontano, è fuori posto e fuori previsione, vulnerabile perché senza difese, e da spettatore di un mercato ubbidiente soltanto alle proprie dottrine devo prestargli ascolto. Lo guardo, dunque gli credo.
Pier Maria Bocchi |
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