Non è ancora domani-La pivellina
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Regia: | Covi Tizza, Frimmel Reiner |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Tizza Covi; fotografia: Rainer Frimmel; montaggio: Tizza Covi; interpreti: Patrizia Gerardi, Walter Saabel, Tairo Caroli, Asia Crippa; produzione: Vento Film; distribuzione: Officine Ubu; origine: Austria-Italia, 2009; durata: 100’. |
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Trama: | Patrizia, cinquantenne dai capelli rosso fuoco, cercando il suo cane Ercole in un parco della periferia di Roma, trova una bambina piccolissima lasciata sola su un’altalena, con in tasca un messaggio della mamma che promette di tornare, un giorno. La bimba, che dice di chiamarsi Aia (Asia), è accolta in un campo abitato da artisti di circo nel quartiere di San Basilio. Con l'aiuto del tredicenne Tairo, Patti inizia a cercare la madre della bambina e, nel frattempo, le dona affetto e una nuova casa. È un mondo povero e precario, ma ricco di calore umano, affetto e allegria. Sono vecchi, giovani e ragazzi, con i loro adorati animali. Un toccante racconto di coraggio e discriminazione, di perdita e di umanità, uno sguardo all’interno di una comunità spesso emarginata dai pregiudizi. |
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Critica (1): | La Pivellina lo firmano Tizza Covi di Bolzano e Rainer Frimmel di Vienna, che il circuito festivaliero (e non solo) ha scoperto col precedente e molto applaudito Babooska, girato in Italia, nella famiglia di un piccolo circo condannato a sparire. La Pivellina riprende lo stesso ambiente e gli stessi luoghi, anche qui i protagonisti lavorano in un circo disastrato. Patti, Walter e gli altri, come la nonna di Tairo, un adolescente che ama giocare a pallone e poco lo studio, sono una piccola comunità, abitare nelle roulotte, luce e acqua «presi» al comune di Roma, e anche una scelta di sopravvivenza. Siamo a San Basilio, periferia di occupazioni e lotta per la casa che i due registi filmano senza mai uscire dallo spazio dei personaggi, senza panoramiche «narrative»oltre al racconto dei loro movimenti. Un giorno la vita del gruppo, di Patti specialmente, è sconvolta dall'arrivo di Asia, «La Pivellina» una bimbetta di due anni appena, che la mamma ha lasciato sull'altalena dei giardinetti. È Patti a trovarla, conquistata al primo sguardo, infatti contro il parere di Walter non chiama la polizia dicendo che la mamma verrà a riprenderla. La donna si affeziona, e la bimba pure, coccolata in quell'universo di persone mai stressate, disponibili, che giocano insieme a lei. Babooska aveva mostrato nei due cineasti la capacità di filmare il quotidiano, a cominciare da una messinscena fondata sulla naturalezza seppure mai casuale. Lì eravamo in un documentario, qui lo spunto narrativo è di finzione anche se in questo cinema l'uno e l'altro piano convivono nella scelta di attori non professionisti, e di un'immagine «diretta». Ma anche del rischio, come il confronto con la bambina, i piccoli non sono facili da filmare mantenendo un equilibrio del «vero». Covi e Frimmel raccontano con fluidità, il «vero» intuiamo arriva da una dettagliata preparazione, come la la migliore improvvisazione vuole, e da un lavoro coi protagonisti complice e sensibile, che utilizza al meglio la leggerezza digitale e con necessità. A misura cioè di una storia intima, e dei suoi personaggi, che respirano intensi, commoventi, con umorismo e dolcezza. Al ritmo della vita.
Cristina Piccino, Il Manifesto, 21/5/2009 |
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Critica (2): | (...) un piccolo preziosissimo film è passato nella rigorosa ed esigente Quinzaine des Realisateurs, La pivellina di Tizza Covi e Rainer Frimmel. Italiana lei, di Bolzano, austriaco lui, i loro 100 minuti scorrono in una piazza di San Basilio, disagiato quartiere romano oggetto di conflitti interni e pregiudizi esterni, uno delle tante terre di mezzo create da quartieri invivibili e da una condizione sociale difficile. Con la loro super l6 Tizza e Rainer hanno girato per sei settimane (budget sui 150.000 euro), in una famiglia allargata di un campo di stanziali in cui si mischiano accenti, condizioni di vita, modi di pensare. Una comunità a parte in cui, elemento di finzione straordinario, i registi inseriscono Asia Crippa (da tempo non si vedeva una bambina così magnetica al cinema), pargoletta di due anni abbandonata su un'altalena e trovata da Patrizia Gerardi, donna dai tratti decisi come i suoi comportamenti, dura e dolce, tinta di un rosso acceso. Una convivenza forzata e poi necessaria a tutti, alla zia Patty come a suo marito o al piccolo vicino Tairo, tutti accomunati dall'essere dei circensi e dei precari. «Ma non c'è nessuna volontà di fare un film preconfezionato – raccontano – noi vogliamo la verità, anche quando andiamo al cinema a vedere i film degli altri. Volevamo mostrare queste persone, che conoscevamo per un nostro documentario precedente, togliere il velo di preconcetto su come sono e quello che fanno. Chissà, se riuscissimo a proiettare il film nella Piazza, magari in occasione di quella bella iniziativa che è "Passeggiate romane", magari potrebbe cominciare un atteggiamento di maggiore apertura».
La storia è semplice: la bimba viene trovata con un foglietto in cui la madre dice che se la verrà a riprendere. Patrizia (bravissima) sceglie di crederle, forse perché Asia – e sarebbe impossibile altrimenti – l'ha conquistata subito. Si ride, ci si commuove, si fa il tifo perché questa piccola peste rimanga lì dove nessuno l'avrebbe mai portata. Senza un briciolo di retorica o furbizia. E si sente infine il profondo rispetto che incutono queste persone, che vivono le difficoltà con il sorriso e la solidarietà, che si parlano a muso duro ma cercano l'integrazione che la società benpensante gli nega. «Anche per l'ignoranza: nomadi, Rom, loro per l'opinione pubblica e i governi sono tutti uguali». (...)
Boris Sollazzo, Liberazione, 21/5/2009 |
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Critica (3): | In un certo senso c'è da ringraziare il calando stagionale, quello che malgrado le stentoree dichiarazioni di inversione di tendenza in Italia si rinnova puntualmente in questo periodo dell'anno. Ringraziare perché ciò permette a piccoli o minuscoli film di qualità di trovare il loro avventuroso e precario varco di accesso – meglio di niente – al mercato in via di smobilitazione estiva. Questa settimana trova la sua occasione Non è ancora domani (la pivellina). Incredibilmente carico di premi e onori festivalieri. In particolare ne è stato l'anno scorso riconosciuto il valore dalla molto selettiva Quinzaine des réalisateurs di Cannes e subito dopo dalla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro. Un po' quello che accadde all'opera prima di Giorgio Diritti Il vento fa il suo giro. Tutto di questo film è particolare e inusuale. L'ambientazione. I personaggi. L'andatura. Tanto per cominciare ha un aspetto ibrido: non sembra finzione, i personaggi e le situazioni hanno un'aria di assoluta verità e naturalezza. Sembrano presi dalla vita. Ma non è così, è una storia costruita.
Estrema periferia romana. Intorno a un accampamento di artisti del circo. Patrizia, una donna sulla cinquantina dagli eccentrici capelli rosso fiamma che contrastano con le sue maniere da sbrigativa massaia emiliana o romagnola, si sta svociando alla ricerca del suo cagnetto Ercole, sparito. È un nuvoloso crepuscolo invernale. Sull'altalena di un misero giardinetto, in mezzo al deserto, c'è una bimbetta. Patrizia s'insospettisce, si preoccupa, la prende con sé. Solo dopo trova nella giacchetta un messaggio: è della mamma di Aia (la bimba, poco più di due anni, dice di chiamarsi così), che dice: tornerò a prenderla. Ecco, già queste primissime battute, senza introduzione né niente, creano immediatamente la temperatura del film. Angoscia per un verso di fronte all'assurda irresponsabilità dell'abbandono; per l'altro semplicità e naturalezza nel farsi carico da parte della donna, poi assecondata da tutta la sua comunità a partire da Tairo. Un ragazzino per nulla sofferente di "diversità", fiero di appartenere a questa famiglia allargata e irregolare.
Solo che questo "farsi carico" potrebbe esporre Patrizia e i suoi a seri problemi. La donna rifiuta il suggerimento del suo compagno lanciatore di coltelli (lui stesso però poi pronto come tutti all'accoglienza e preso dall'accudire la pupetta ribattezzatala “la pivellina"), quello di andare subito dai carabinieri. Non importa tanto come andrà a finire: finisce come è iniziato, probabilmente sarà stata solo una parentesi e la mamma tornerà. Importa la delicata osservazione di questo piccolo mondo povero, precario e marginale. Nel quale è molto saldo il codice degli affetti, della solidarietà, del calore umano. Della libertà e del coraggio di affermarla nei gesti di tutti i giorni, in definitiva. Mondo peraltro, contro gli stereotipi, tutt'altro che malinconico. L'impresa, all'insegna della più totale indipendenza, porta la firma di due fotografi, lei nata a Bolzano e lui a Vienna.
Paolo D’Agostini, La Repubblica, 15/5/2010 |
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