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Quo vadis Aida?


Regia:Zbanic Jasmila

Cast e credits:
Sceneggiatura: Jasmila Zbanic; fotografia: Christine A. Maier; musiche: Antoni Komasa-Lazarkiewicz; montaggio: Jaroslaw Kaminski; scenografia: Hannes Salat; costumi: Malgorzata Karpiuk, Ellen Lens; suono: Igor Camo; interpreti: Jasna Djuricic, Izudin Bajrovic, Boris Isakovic, Johan Heldenbergh, Raymond Thiry, Boris Ler, Dino Bajrovic, Emir Hadzihafizbegovic, Edita Malovcic; produzione: Deblokada, Coop99 Filmproduktion; distribuzione: Lucky Red; origine: Bosnia-Erzegovina, Austria, Romania, 2020; durata: 103'.

Trama:Bosnia, 11 luglio 1995. Aida lavora come interprete alle Nazioni Unite nella città di Srebrenica. Quando l'esercito serbo prende il controllo della città, la sua famiglia è tra le migliaia di cittadini che cercano rifugio nell'accampamento delle Nazioni Unite. Per il suo ruolo, Aida ha accesso a informazioni cruciali che necessitano di traduzione. Inizia così a domandarsi se la sua famiglia e le altre persone si salveranno e quali mosse mettere in atto...

Critica (1):Ogni film su Srebrenica è un film importante. Perché assolve il compito di tramandare la memoria e in parte (piccolissima, infinitesimale) di risarcire in qualche modo le vittime e i loro familiari. Lo choc e lo sgomento che il massacro perpetrato nel luglio 1995 suscitano ancora oggi sarebbero ancora più profondi se ne venisse smarrito il ricordo. E come dimostra il poco spazio riservato dai media internazionali alla condanna definitiva all’ergastolo del generale serbo Ratko Mladić – principale responsabile della strage – poco meno di due anni fa, tenere viva la memoria, e il racconto, di Srebrenica è ogni giorno sempre più fondamentale.
Jasmila Žbanić, che è nata a Sarajevo e ci ha vissuto durante l’assedio, osserva da anni attraverso il suo cinema i segni che la guerra nei Balcani ha lasciato sulla Bosnia di oggi e come la sua generazione (e non solo) continua a fare i conti con un ricordo ancora troppo vivo. Con Quo vadis Aida? però affronta per la prima volta il racconto storico, scegliendo di ricostruire l’evento più rappresentativo e insieme quello più spaventoso dell’intero conflitto. Senza dubbio il più difficile da raccontare.
Il film è ambientato nei giorni successivi al 9 luglio 1995, quando l’esercito serbo guidato da Mladić conquistò la cittadina bosniaca di Srebrenica. Aida, un’insegnante di inglese del liceo cittadino lavora come interprete per i caschi blu dell’Onu e aiuta il contingente olandese, in quel momento a capo della milizia internazionale, a comunicare con i rifugiati che affollano il quartier generale. Al precipitare degli eventi Aida cerca di mettere in salvo la propria famiglia, il marito e i due figli maschi, dai rastrellamenti dell’esercito serbo, che nonostante le rassicurazioni sta assembrando e uccidendo tutti i cittadini maschi fra i 12 e i 77 anni.
La ricostruzione storica nel film è meticolosa, accurata. La regista ha studiato la storia di Srebrenica per tutta la vita e si è documentata per anni su ogni particolare. Se Aida e la sua famiglia sono personaggi di fantasia, ogni altra cosa è descritta esattamente come si è svolta. Come i tentennamenti e l’incapacità degli olandesi di gestire la situazione e la messa in evidenza delle conseguenze catastrofiche dovute al totale fallimento dell’Onu nei Balcani. O come l’arroganza di Mladić e dei suoi attendenti, convinti di poter fare qualsiasi cosa del tutto impunemente. E di quanto in fondo il massacro sia stato soprattutto uno strumento: il modo attraverso cui i serbi hanno dimostrato al mondo che nessuno era in grado di fermarli.
Eppure tutta questa esattezza ed evidenza diventano i limiti principali del film. Davanti a una materia così incandescente come quella che la regista si trova fra le mani, il rischio di confezionare un racconto troppo manicheo, mancante del giusto grado di metaforizzazione e delle necessarie sfumature è altissimo. E Žbanić non sembra riuscire a sottrarsi a un racconto classico in cui l’azione si fonda principalmente un’opposizione fra buoni e cattivi che ricorda il registro di un cinema piuttosto datato o di una buona fiction televisiva.
Ed è un peccato perché le possibilità di costruire, anche attraverso il cinema, la memoria di Srebrenica – soprattutto per mezzo dello sguardo di una regista che è allo stesso tempo anche una testimone – erano (e sono) infinite. Seguendo la lezione lanzmanniana per esempio – e del resto una certa assonanza, anche estetica, con il cinema che ha raccontato la Shoah, il film la esplicita – o magari cercando di marcare maggiormente i rimandi al presente. Niente come la guerra civile nei Balcani – che, è bene ricordarlo, si è combattuta meno di trent’anni fa e solo qualche centinaio di chilometri di distanza dalle nostre case – è in grado di mostrare i pericoli delle derive sovraniste, del suprematismo etnico e delle politiche razziste quando arrivano a gestire il potere. E niente ci mette di fronte alla fragilità dei sistemi sovranazionali, della democrazia e dell’idea di pace faticosamente costruita nella seconda parte del Novecento.
Per questi motivi, nonostante tutto, Quo vadis Aida? è un film importante. E per questi motivi soprattutto quella di Srebrenica è una storia che non bisogna mai smettere di raccontare.
Lorenzo Rossi, cineforum.it, 3/9/3/2020

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