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Ai confini del paradiso - Yasamin kiyisinda


Regia:Akin Fatih

Cast e credits:
Sceneggiatura: Fatih Akin; fotografia: Rainer Klausmann; musiche: Shantel; montaggio: Andrew Bird; scenografia: Tamo Kunz, Sirma Bradley; costumi: Katrin Aschendorf; interpreti: Nurgül Yesilçay (Ayten Öztürk), Baki Davrak (Nejat Aksu), Tuncel Kurtiz (Ali Aksu), Hanna Schygulla (Susanne Staub), Patrycia Ziolkowska (Lotte Staub), Nursel Köse (Yeter Öztürk), Yelda Reynaud (Emine); produzione: Anka Film-Corazón International- Ndr, Dorje Film Ffa; distribuzione: Bim; origine: Germania-Turchia, 2007; durata: 122'.

Trama:Le vite di sei personaggi si incrociano attraverso percorsi esistenziali alla ricerca di perdono, redenzione e riconciliazione. Ali è un vedovo turco che vive in Germania. Stanco della sua vita solitaria, l'uomo decide di prendere in casa Yeter, una conterranea che si guadagna da vivere come prostituta per mantenere se stessa e sua figlia Ayten, che studia a Istanbul. Nejat, il figlio di Ali, inizialmente non è d'accordo con la scelta del padre, ma poi si ricrede e alla morte della donna si reca in Turchia per cercarne la figlia. In realtà, Ayten è un'attivista politica e si trova anche lei in Germania perché ricercata dalla polizia turca e vive in casa di Lotte, una studentessa tedesca, nonostante le rimostranze della madre Susanne, una donna rigida e conservatrice. Giunto in Turchia, Nejat decide di restare e non tornare in Germania. Ayten si vede rifiutata la richiesta di asilo politico e viene estradata in patria. Anche Lotte si reca ad Istanbul per cercare di aiutare l'amica, ma deve fare i conti con l'ostile burocrazia turca. Nel frattempo incontra Nejat che la accoglie in casa sua. Infine arriva anche Susanne, decisa ad aiutare la figlia nella sua missione, ed il suo incontro sarà per Nejat occasione di riscoprire il sentimenti perduti nei confronti del padre, che ora vive sulla costa del Mar Nero.

Critica (1):A film così dovremo abituarci, data la conformazione sempre più interetnica e interrazziale che sta assumendo la nostra società: diretti da cineasti figli di immigrati, che sin dall'infanzia si muovono al confine fra due culture, e privilegiano dunque raccontare storie che le comprendano entrambe. Fatih Akin, cresciuto in Germania in una famiglia turca, ne è un perfetto esempio, e non meno emblematico è il suo film, ambientato tra Amburgo e Istanbul, e incentrato su un quintetto di personaggi le cui esistenze sono destinate ad incrociarsi. Da una parte un anziano signore turco residente ad Amburgo che decide di convivere con una prostituta, per poi, in un eccesso di violenza, ucciderla; dall'altra suo figlio, professore all'università, che, una volta appreso che la donna aveva una figlia, si reca a Istanbul per rintracciarla e finisce per stabilirvisi, senza sospettare che la ragazza, ricercata in patria per terrorismo, si è nel frattempo trasferita in Germania, dove vive una storia d'amore con una coetanea tedesca che le offre ospitalità. Quest'ultima, quando la compagna verrà estradata, la seguirà ad Istanbul, dove verrà uccisa per mano di una banda di teppisti. In Turchia approderà così infine anche la madre, che entrerà in contatto col professore, nel frattempo gestore di una libreria, senza che i due sospettino minimamente che la giovane terrorista turca rappresenta il punto di contatto fra le rispettive vicende familiari. L'abitudine a film simili contempla anche la necessità di abbandonare una valutazione che privilegi esclusivamente il piano tematico: negli ultimi quindici anni parole sin troppo generose sono state spese a favore di innumerevoli film inglesi che raccontavano di amori contesi e osteggiati tra adolescenti britannici e pakistani solo e soltanto perché trattavano argomenti simili. La componente interrazziale non è un valore estetico, ed è per questo che il film di Akin convince solo a metà: se è vero che la complessità della trama rispecchia efficacemente lo spessore di certe questioni, corre sotto traccia alla storia una discriminante sospetta, che vede i personaggi tedeschi (il professore, la madre) essere portatori di valori quali la saggezza e la ragionevolezza, e quelli turchi invece rivelarsi immancabilmente impulsivi, collerici, violenti.
Leonardo Gandini, Cineforum n. 466, 7/2007

Critica (2):Gli andirivieni, geografici e temporali, sono incessanti, ma il film è di una limpidezza cristallina e conferma l'impressionante talento di Akin, un ragazzo di 33 anni che scrive con il polso fermo del narratore di razza. Il personaggio più toccante è affidato a Hanna Schygulla, l'attrice-simbolo di Fassbinder. E per Akin, turco nato in Germania, esistono due pietre angolari sulle quali sta costruendo la casa del suo cinema: il tedesco Rainer Werner Fassbinder e il turco Yilmaz Guney. Con due simili padri, Fatih andrà lontano.
Alberto Crespi, L'Unità, 24/05/2007

Critica (3):

Critica (4):
Fatih Akin
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