Salvo
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Regia: | Grassadonia Fabio, Piazza Antonio |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Fabio Grassadonia, Antonio Piazza; fotografia: Daniele Ciprì; montaggio: Desideria Reyner; scenografia: Marco Dentici; effetti: Franco Galiano, Paolo Galiano, Tiberio Angeloni, M.A.G. Special Effects; suono: Guillaume Sciama; interpreti: Saleh Bakri (Salvo), Sara Serraiocco (Rita), Luigi Lo Cascio (Enzo Puleo), Giuditta Perriera (Mimma Puleo), Mario Pupella (boss), Redouane Behache (picciotto), Jacopo Menicagli (picciotto); produzione: Massimo Cristaldi per Cristaldi Pictures-Fabrizio Mosca per Acaba Produzioni, in co-produzione con Antoine De Clermont-Tonerre per Mact Productions, Raphael Berdugo per Cité Films, Arte France Cinema, con la partecipazione di Cofinova 9 in associazione con Mimis e Mangusta Productions; distribuzione: Good Films; origine: Italia-Francia, 2013; durata: 104’. |
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Trama: | Salvo, killer di mafia a Palermo, uccide il fratello di Rita davanti a lei. La ragazza è cieca dalla nascita, ma il drammatico evento è causa di un miracolo: Salvo, disturbato dagli occhi di Rita che lo fissano senza vederlo, li chiude con le mani coperte di sangue e quando lei li riapre vede per la prima volta. Da quel momento i due vivranno isolati in un magazzino abbandonato, ma la nuova situazione li renderà consapevoli del bisogno di una vita diversa e libera per entrambi. Ma niente potrebbe essere più pericoloso... |
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Critica (1): | Il film comincia con una sequenza d'azione che potrebbe essere uscita da una delle tante Piovre, o da un poliziesco di John Woo; prosegue con un tono da realismo magico, ha momenti di commedia grottesca e finisce con uno «showdown» alla Sergio Leone. Troppa roba? Forse. Se 'Salvo' ha un difetto, è la discontinuità: ma le tante anime che in esso coesistono sono altrettante scommesse stilistiche che alla fine Piazza e Grassadonia riescono a chiudere, e quindi a vincere. Il titolo è bello perché ambiguo: «Salvo» è un nome, ma è anche un aggettivo e, volendo, un verbo (prima persona singolare di «salvare»). Salvo è un killer di mafia che in un certo senso «salva» Rita, la sorella delle sue vittime, e quindi rende «salvo» anche se stesso. (...) Film sulla mafia fuori da ogni cliché, magari imperfetto ma estremamente vivo e stimolante.
Alberto Crespi, L'Unità, 27/6/2013) |
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Critica (2): | Una coppia di giovani palermitani col desiderio di fare un film, allenati dal lavoro su sceneggiature e progetti altrui, vince il Solinas con una storia di mafia che piace a due produttori, tra cui Fabrizio Mosca (sì, il produttore de I cento passi), trova interlocutori nazionali (il Torino FilmLab) e internazionali (tra gli altri Arte), riesce a girare il film che arriva a Cannes, nel cartellone della Semaine de la Critique, senza distribuzione conquista il Gran Prix. (…) Salvo non è un film «di» mafia, magari è un film dentro la mafia o con la mafia, senza riferimenti cinefili o di citazione del genere. Non siamo nel Padrino o in Good Fellas, Grassadonia e Piazza provano a ricreare l'universo mafioso fuori da questi codici, affidandolo a una partitura sonora costruita sui rumori degli ambienti, e alla performance più che alle psicologie dei protagonisti, i cui corpi attraversano spazi fisici e emotivi interni e esterni. Saleh Bakri, un po' Schwarzenegger e moltissimo il padre, il grande attore palestinese Mohamed Bakri, che al mondo e ai malavitosi oppone una sola rigida espressione, e Sara Serraiocco, che forse esagera un po' nello strabuzzare occhi e mani quando recita la cieca, nel corpo a corpo invisibile in piano sequenza col killer. Entrambi animaleschi, senza parole, solo un sentirsi reciproco di paura, diffidenza e attrazione che li fa esplodere dall'interno. Intorno a questo nucleo i registi costruiscono la loro trama, orchestrata dal montaggio di Desideria Rayner, che procede per sottrazione. Una Palermo anonima e volutamente straniata, di cui la fotografia (molto felice) di Daniele Ciprì illumina i lati degradati e marginali, quasi un paesaggio da western all'italiana (…), fiabesco e surreale. Come il teatrino familiare, di complicità ribelle maschia-omoerotica tra Salvo e il suo padrone di casa, marito silenzioso e succube (Luigi Lo Cascio) di una donna (l'unica altra presenza femminile in quell'universo di uomini) megera. Dalla violenza al miracolo, passando per il melò d'autore di un amore inconfessabile, la scommessa dei registi è quella di spostare l'iconografia «mafiosa», e il racconto della realtà, su un altro piano, dove dal gesto eclatante (lo hanno definito anche «l'anti-Gomorra») si passa al quotidiano di complicità e accettazione, di piccoli favori e ipocrisie, di occhi che non vedono come quelli di Rita perché non vogliono vedere, e se vedono finisce il mondo. È la realtà, attuale, dentro e fuori lo schermo, conflitto di sussulti e di consapevolezze necessarie, che molto dice sul mondo a cui i due registi fanno riferimento, assai poco letterario, e così «vero» nella sua dimensione magica. Mare e cielo qui non hanno niente di poetico, sono inquinati come le apocalissi che Ciprì ai tempi di Cinico tv distillava nelle immagini di un'umanità non più umana, post apocalittica forse, o sopra la quale l'apocalisse era passata nell'indifferenza e nell'apatia. Lì però c'era un fondo disperato e viscerale che qui si ha l'impressione che manchi. Non solo per impacci narrativi o di messinscena, che anzi sono vitali in un «oggetto» eccentrico come è questo nel nostro cinema. (…)
Cristina Piccino, Il Manifesto, 27/6/2013 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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