Mucchio selvaggio (Il) - Wild Bunch (The)
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Regia: | Peckinpah Sam |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Walon Green, Roy N. Sickner, Sam Peckinpah; fotografia: Lucien Ballare; musiche: Jerry Fielding; montaggio: Lou Lombardo; effetti: Bud Hulburd; interpreti: Sonia Amelio (Teresa), Alfonso Arau (Herrera), Ernest Borgnine (Dutch), Elsa Cardenas (Elsa), Almeida Chavez, Aurora Clavell (Aurora), Albert Dekker (Harrigan), Emilio Fernandez (Mapache), William Holden (Pike Bishop), Bo Hopkins (Crazy Lee), Ben Johnson (Tector Gorch), Strother Martin (Coffer), Edmond O'Brien (Sykes), Warren Oates (Lyle Gorch), Jorge Russek (Zamorra), Robert Ryan (Deke Thorton), Jaime Sanchez (Angel), Bud Taylor (Wainscoat), Chano Urueta (Don José); produzione: Phil Feldman per Warner Brothers; distribuzione: Istituto Luce; origine: Usa, 1969; durata: 145'. |
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Trama: | Rapinato un ufficio postale, Pike Bishop e la sua banda si accorgono di essere caduti in un tranello assoldati da Hurrigan, a cui preme, per i suoi interessi, liberare la zona dai banditi, un gruppo di ex-galeotti, capeggiato da Dick Thornton, ha cominciato a sparare usi fuorilegge, decimandoli. Riuscito a salvarsi, Pike raggiunge, con cinquanta uomini, la città messicana di Aguaverde, base delle truppe regolari in lotta contro Pancho Villa. Le comanda un ex killer, Mapachi, proclamatosi, da solo, generale. Con lui, Pike si accorda per assaltare, in cambio di diecimila dollari, un treno statunitense carico d'armi. L'impresa nonostante l'intervento di Thornton e dei sui - che non hanno mai messo di inseguire Pike - ha pieno successo, ma quando Mapachi si accorge che uno dei banditi, Angelo, si è tenuta una cassa per sé, allo scopo di consegnarla agli indios in rivolta, lo sottopone a terribili torture e, infine, lo uccide sotto gli occhi dei suoi compagni. Per vendicarlo, Pike e gli altri ingaggiano una furiosa sparatoria, durante la quale uccidono Mapachi e gran parte di "regolari" finendo però col soccombere. Thornton, a cui non resta che constatare la morte di banditi, si unisce all'unico sopravvissuto per raggiungere, con lui, i rivoluzionari messicani. |
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Critica (1): | I film "western" degli ultimi tempi si segnalano per la tendenza a situare le vicende nei primi anni del nostro secolo e ad ambientarle in territori prossimi al confine fra gli Stati Uniti ed il Messico e per la propensione a presentare personaggi non tanto sconvolti e dibattutti da dilemmi esistenziali o in lotta con la loro coscienza, interrogantisi sulla liceità di soluzioni individuali, quanto uomini, votati ancora una volta all'azione, ma in una situazione crepuscolare che ne fa dei sopravvissuti quasi. Lo stesso schema tradizionale non è poche volte abbandonato, anche se all'interno della nuova struttura vengono conservati momenti ed elementi tipici del "western" classico.
In altre parole, vengono proposti personaggi del tutto inattesi nel contesto abitualmente manicheista e, di conseguenza, drammaticamente congegnato, del genere. L'azione, lungi dal progredire con regolare determinazione verso un esito già preciso in partenza, si muove con irregolarità, in una progressione discontinua, spezzata da incidenti fortuiti, in modo che l'"iter" drammatico e la fisionomia dei personaggi si caricano di significati "altri", ambigui nel recupero di una realtà indefinita, indefinibile, sfuggente. Già altre volte e per opere del tutto diverse (...) abbiamo sottolineato come qualsiasi semplificazione tradisca la realtà e l'immagine che di essa si vuol esprimere: anche nei film "western" degli ultimi anni tacitamente si ammette la complessità dell'elemento umano, l'ambiguità del reale, poiché non esistono classificazioni o regole, ma solo l'uomo ed il mondo nelle loro innumerevoli espressioni.
Il mucchio selvaggio è un'opera impensabile solo alcuni anni fa e che prova, con altre pellicole, l'evoluzione decisiva della produzione americana sotto l'influenza anche del cinema europeo: immagini splendide, elaborate, un linguaggio vario, preciso, ponderato, significante. Il "western" nelle ultime produzioni non disdegna una sostenuta avventurosa parodia come non si trattiene dall'intaccare la propria mitologia sprofondandosi nell'autoannientamento, in una visione tragica della vita, corrosa dell'autoironia.
In Il mucchio selvaggio la demistificazione dello "westerner" tradizionale, del superuomo è radicale: i suoi personaggi sono moderni, stanchi, sfiancati; sentono di essere giunti tardi in un mondo dove non v'è posto per una vita tramata di ideali romantici (il cimento dell'uomo con la natura, con un mondo sconosciuto ed ostile; la concezione della realtà come specchio del proprio essere, come materiale esterno da plasmare secondo i dettami del proprio "élan" creativo), dove l'individualismo è destinato a scomparire, dove i fuorilegge stanno per essere rimpiazzati dai "sindacati" del crimine, assoldati dai contrastanti interessi del capitale di varia origine, e vengono perseguiti da una polizia (dalla società) scientificamente organizzata.
Il West di Sam Peckinpah non gode del clima romantico, integralmente sano, tipico delle opere di John Ford, e si avvicina piuttosto all'atmosfera cruda, di durezza quotidiana che distingue Il fiume rosso (Red River - 1948) di Howard Hawks, un'atmosfera resa più cupa e da apporti personali e da stimoli originati dal presente.
Peckinpah rinunzia al quadro avventuroso tradizionale: i personaggi di Il mucchio selvaggio non si muovono per vendicare torti subiti o per compiere giuste vendette. Egli racconta di atti criminosi (una rapina che fallisce; l'assalto ad un convoglio militare per impossessarsi di armi da vendere) e se ad un certo momento i suoi personaggi sembrano rientrare nello schema consacrato dalla tradizione (la volontà di vendicare l'atroce morte di un loro compagno), la loro azione non viene intrapresa per ristabilire nella realtà l'ordine sovvertito da un crimine e quindi per assicurare un futuro alla comunità, ma unicamente per impulso personale (i personaggi esistono solo come "gruppo", come organismo e la morte di un membro genera una reazione propriamente vitale: moltiplica nell'organismo offeso tutte le possibilità di difesa), per ragioni che non vanno oltre la necessità organica di esistere. Il West dipinto da Peckinpah è rapina, violenza, massacro; la parabola dell'esistenza vi si conclude nell'annientamento di vite, nella distruzione di valori.
Dalle opere precedenti e da Il mucchio selvaggio emerge una personalità distinta, la fisionomia di un autore il quale, venuto a situarsi in quello che potrebbe essere un momento particolare della storia del "film americano per eccellenza", nel medesimo tempo trascrive nei suoi lavori una propria concezione dell'esistenza ed avanza delle proprie opinioni intorno al mondo statunitense, ai fasti della civiltà del dollaro, alle forze che ne hanno governato lo svolgersi. Nei confronti del "western" Peckinpah distrugge la classica mitologia del West, rifiutandone il tipico manicheismo in base al quale nella Primavera delle Nuove Terre si riproponeva la secolare lotta dei due principi che si asseriva reggessero l'esistenza, il Bene (la legge, la giustizia, l'operosità) ed il Male (il disordine, il delitto). Per Peckinpah gli uomini vantano caratteri contrastanti, sono un amalgama di generosità e di ignomia, sono capaci di istinti bestiali e di sublimi idealtà ed egli concepisce l'agire umano al di fuori di ogni dettame legalitario o moralistico: i personaggi di Il mucchio selvaggio agiscono in una sfera dove la sopraffazione è l'unica legge. Pertanto per Peckinpah la resa dei conti, la risolutoria tenzone a fuoco non hanno ragione di esistere: non v'è stato alcun sconvolgimento dell'ordinato incedere sociale, la violenza non è un'eccezione da cancellare, uno strappo nel tessuto sociale da sistemare; la violenza è la regola, è il nume tutelare dell'esistenza. Viene a mancare il carattere liberatorio che lo scatenarsi della violenza possedeva nel "western": non quindi una salutare sortita dalla legalità poiché questa possa continuare ad informare il procedere della realtà, ma solo un dibattersi disperato in una morsa fatale all'interno della quale qualsiasi rapporto fra gli uomini ha manifestazioni beluine. Per i personaggi di Il mucchio selvaggio non si annuncia un futuro avvincente, un mondo da costruire, delle città da fondare; non si schiude l'orizzonte di infinita possibile operosità come per il pioniere autosufficiente: il loro scopo è quello di poter vivere un giorno di più. Non importa né come, né dove: conta solo rimandare l'incontro con la morte.
I protagonisti di Il mucchio selvaggio non sono degli esseri eccezionali, fuori dalla norma, alla fine imbattibili, dal coraggio leggendario; non sono dei giustizieri, degli "Ercoli della Colt 45", ma degli esseri in declino, dei sopravvissuti alla "grande epoca", i quali, nel momento in cui il Far West si civilizza, si organizza cioè sugli schemi della città dell'Est, si reputano ancora ai giorni in cui la Colt dettava legge. Sono pertanto dei sorpassati, sopravvivendo a se stessi e al loro tempo: la turbolenta "conquista del West" ha avuto fine, ma essi continuano a vivere in quel clima, affidandosi alle loro risorse individuali in un ambiente dove ogni cosa ha la sua collocazione, dove le comunità umane osservano noprme trascendenti il singolo: alla Colt 45 e ai "gunfighter" si sono avvicendate armi meno fascinose ed anonimi individui. (...)
Il tema di Il mucchio selvaggio è la violenza, il sopruso, la sopraffazione dell'individuo sull'individuo, del gruppo su un altro gruppo: il racconto permane in parte legato alla tradizione nei suoi elementi che però vengono trascesi in una visione superiore, "seconda": come i protagonisti muoiono, così il personaggio femminile non esiste come posta in gioco fra i rivali, ma è metaforicamente presente nella loro competizione sotto le vesti di una quiete sempre ricercata, agognata continuamente e sempre sfuggente e per la quale vengono compiute le azioni più disperate. Ciò che preme a Peckinpah è un discorso che vuole recuperare tutta una tradizione per una configurazione nuova, attuale. Attraverso dei personaggi (un gruppo di banditi incalzati da una banda di cacciatori di taglie, che agisce sotto la protezione ed in nome della Legge, di una Legge diventata qualcosa di privato, attraverso la quale si esprimono gli interessi di una classe volta alla conservazione e alla crescita dei propri privilegi), alla luce dei moventi della loro azione (tutti bramano il denaro per mezzo del quale vogliono assicurarsi il successo, grazie al quale l'individuo può esistere, poiché vale quell'uomo che agisce, ha successo ed ha potere, mentre non ha diritto all'esistenza chi, pur impegnandosi nell'azione, non riesce a possedere alcunché), grazie ad alcune situazioni (la fornitura di armi che altro non è se non vendere strumenti di morte a chi opprime i propri connazionali), Peckinpab si muove in una prospettiva polemica, di denuncia, pone interrogativi, avanza giudizi, dimostra dubbi: per lui il discorso sulla violenza genera ripensamenti, riflessioni ("bisogna cominciare a ragionare, le pistole non bastano più" - dice un membro del "mucchio"; "noi non siamo come lui, il generale, non impicchiamo la gente" - asserisce un giovane messicano) e fornisce l'occasione per una diversa resa plastica dell'evento cruento con la finalità di sottolineare il sangue che si sprigiona dai corpi degli uomini colpiti e fissare l'immagine terrificante di un macello condotto a colpi di arma da fuoco e, infine, rende più marcata una condizione di solitudine, di incapacità o di impossibilità di introdursi attivamente nel procedere degli eventi.
In definitiva Sam Peckinpah si avvale del West, della tradizione cinematografica "western", in senso vivacemente strumentale: i suoi ricordi legati all'ambiente familiare, le sue esperienze di spettatore e di autore lo stimolano a procedere controcorrente e nel medesimo tempo lo inducono ad una revisione che frena ogni procedere troppo inventivo. Egli è lontano dall'angustia decorativa, meccanica, ripetitoria delle normali produzioni: il West diventa un espediente culturale attraverso il quale egli si ripromette di smuovere una consuetudine mortificante introdotta ed acutizzata dal successo del "western europeo". La letteratura cinematografica contemporanea si muove fra la violenza e l'ironia, vuol essere profetica e disincantata, cerca di essere impegnata. E' chiara l'intenzione di Sam Peckinpah di partecipare di questi diversi contrastanti umori, ma, mancando di una dorsale ideologia discriminante, le sue puntate polemiche o innovatrici svelano il loro fondo provvisorio. La meta non è mai raggiunta: egli muove da una insoddisfazione etica (il circolo chiuso delle cose, la violenza che si colora poi di fatalità) e da una presunzione assolutoria-educativa (la denuncia di una realtà che sopravanza gli individui, fagocitandoli, facendoli sentire uomini in ritardo) ed approda ad un recupero più che ad un'innovante demolizione. Egli cercava un punto fermo d'equilibrio nella sua conciata, distesa, turbinosa, estatica interpretazione di una situazione rovinante e di questa ricerca è spia il linguaggio che "erompe dai vieti e rigidi schemi" di una inveterata tradizione.
La dimensione tradizionale dell'inquadratura, della sequenza rimane una misura di equilibrio, ma in una progressiva tensione che dell'equilibrio, di volta in volta raggiunto, fa il punto provvisorio di una linea dinamica edificante. C'è quindi una convergenza fra condizione etica, spirituale, e soluzione poetica, linguistica: da una parte il sincero zelo di un innovatore, dall'altra l'intenso amore per il mezzo cinematografico, due sollecitazioni ben armonizzate nelle sequenze dedicate ai massacri e in quelle d'azione, ma che coabitano con certa difficoltà in quelle liriche, di annotazione sentimentale e ambientale, in quanto in queste circostanze una tradizione austera non riesce ad essere valutata criticamente e inglobata insieme ad inserti realistici, a riflessioni ed argomentazioni etiche, ad invettive polemiche, a cronache che rimandano ai tempi presenti. Ma questa pluralità di elementi si svolge verso una conciliazione che solo l'attività futura di Peckinpah potrà documentare: la tradizione "western" è continuamente da lui scavata, incisa, stravolta in quella tensione verso un equilibrio nel quale il dato rivelato, accolto dal passato, non sia qualcosa di passivamente sussunto, ma diventi un modello operante.
Il mucchio selvaggio (...) passa dalla più grande vivacità spettacolare (le inquadrature molto brevi che moltiplicano la visione degli scontri elencandone i molteplici aspetti) ad un'atmosfera calma, distesa, in cui la "camera" inquadra con attenzione descrittivamente lirica un uomo, una donna, un comportamento, un gesto, un paesaggio; ad una illustrazione realista succedono visioni soggettive, ad insistenze ed accentuazioni espressionistiche, quali la deformazione densa di significati dei movimenti, descrizioni lineari improntate dei caratteri della cronaca, del "reportage". Questa varietà di atmosfera, di scrittura, l'interpretazione incisiva, la regia sottile e ricca di significati sono il chiaro segno della personalità di Peckinpah, un autore completo, comunque capace di dominare, senza alcun cedimento, la realizzazione di una pellicola spettacolare, di una superproduzione.
Achille Frezzato, Cineforum n. 94, 9/1970 |
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| Sam Peckinpah |
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