Viaggio alla Mecca - Grand voyage (Le)
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Regia: | Ferroukhi Ismaël |
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Cast e credits: |
Soggetto: Ismaël Ferroukhi; sceneggiatura: Ismaël Ferroukhi; fotografia: Katell Djian; musiche: Fowzi Guerdjou; montaggio: Tina Baz; costumi: Christine Brottes; interpreti: Nicolas Cazalé (Reda), Mohamed Majd (il padre), Jacky Nercessian (Mustapha), Kamel Belghazi (Khalid), Atik Mohamed (Ahmad, il pellegrino), Name Ugantas (moglie di Mustapha), Nihat Nikerel (capo della polizia turca), Sadik Deveci (doganiere turco), Erol Atac (doganiere turco), Kirill Kavadarkov (barman yugoslavo), Malika Mesrar El Hadaoui (la madre), Krassi Kpacu (doganiere serbo), Roxane Mesquida (Lisa); produzione: Humbert Balsan per Ognon Pictures - Arte France Cinema - Soread 2m - Casablanca Films Productions - Les Films Du Passage; distribuzione: Istituto Luce; origine: Francia - Marocco, 2004; durata: 105'. |
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Trama: | Sentendosi forse prossimo alla morte, Mustafà, un anziano marocchino emigrato in Francia, si accinge a realizzare il sogno di un'intera esistenza: recarsi in pellegrinaggio alla Mecca, viaggio che ogni buon musulmano deve compiere almeno una volta nella vita. Non potendo contare su nessun altro, chiede al figlio Reda di essere accompagnato nel lungo viaggio. Reda, assai distante dalle tradizioni e non in buoni rapporti con il genitore, vorrebbe esimersi da questa incombenza, ma non può rifiutarsi... |
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Critica (1): | Non c'è niente di più intimo dell'abitacolo di un'automobile, nel corso di un lungo viaggio. Però si tratta d'intimità forzata per Reda e suo padre, emigrato in Francia dal Marocco: mentre il giovane proietta sul mondo una visione laica, che lo ha allontanato dalle tradizioni religiose della famiglia, l'uomo anziano desidera realizzare l'aspirazione di ogni buon musulmano: andare in pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita.
Rappresentanti esemplari di un conflitto generazionale, padre e figlio salgono in auto a Marsiglia, traversano i Balcani, giungono a Istanbul, quindi proseguono per Damasco e la Mecca, dove sta confluendo un'enorme folla di fedeli.
Gli inizi sono difficili: mentre il giovane pensa al sesso e non disdegna l'alcol, l'altro si raccoglie in preghiera vagheggiando solo la meta.
Se lo schema dell'itinerario on-the-road comporta qualche incontro picaresco (una vecchia donna, un tipo poco raccomadabile), anche per movimentare il racconto, a prevalere è l'evoluzione del rapporto tra i due protagonisti; nel tratteggiare la quale il regista e sceneggiatore Ismael Ferroukhi, pur senza lasciarsi andare al buonismo, usa un tocco benevolo e lieve ad onta delle profonde differenze. Che si attenueranno grazie al contatto prolungato; così che Reda riesca a trovare qualcosa in cui riconoscersi nel tradizionalismo paterno; il vecchio possa cominciare ad accettare la trasformazione rappresentata dal figlio.
Pur peccando di qualche lentezza e discontinuità, Il grande viaggio è un film riuscito, gentile e fatto con amore.
Roberto Nepoti, La Repubblica, 8/5/2006 |
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Critica (2): | Un padre e un figlio partono insieme per un lungo viaggio che segnerà entrambi per sempre. Il padre è un anziano marocchino immigrato in Francia, un uomo devoto che vuole compiere il pellegrinaggio rituale alla Mecca almeno una volta prima che sia troppo tardi. Il figlio un ventenne nato e cresciuto in Occidente che vive l'inappellabile decisione paterna come un'imposizione. Tanto più che il viaggio è lungo, la vecchia auto angusta, e la diffidenza reciproca si taglia col coltello.
Il padre fa di tutto per imporre la sua volontà, con la forza granitica di chi è certo di essere nel giusto. Il figlio occidentalizzato pensa ad altro, chiama continuamente la fidanzata (francese) sul cellulare, tenta disperatamente di visitare Milano o almeno Venezia, mentre il padre vuole tirare diritto...
Così trascorrono le prime sequenze fatte di quasi nulla, gesti scarni, poche parole, paesaggi appena intravisti. Eppure nello spettatore prende forma un'emozione che continuerà a crescere e a raffinarsi fino all'epilogo, quando i due arriveranno finalmente alla Mecca. È forse la prima volta, a memoria di occidentale, che la città sacra dell'Islam appare su grande schermo, e basterebbero quelle scene impressionanti a giustificare la visione di Le grand voyage. Ma i pregi del primo film diretto dal 43enne franco-marocchino Ismaël Ferroukhi sono altrove.
Fra lotte per il potere e incomprensioni reciproche, talvolta perfino buffe, padre e figlio attraversano infatti Francia, Italia, poi ex-Jugoslavia, Bulgaria, Turchia, Siria, Giordania. E accanto al viaggio geografico se ne delinea uno interiore, quasi un percorso iniziatico e insieme quotidiano. Il figlio scopre che quel padre semianalfabeta comunica mille volte meglio di lui con gente di cui non parla la lingua. Comprende, man mano che si avvicinano ai paesi arabi, l'immensa distanza che lo separa dal mondo dei suoi genitori. Afferra, vivendoli sulla sua pelle, i precetti di quella religione così remota, impara il silenzio, la pazienza, il rispetto, la carità.
Ma non si pensi a un film apologetico: nel pellegrinaggio di Réda e di suo padre (così intensi ed autentici che si stenta a credere siano professionisti) il dato religioso è secondario. O meglio discende dalle cose stesse, dagli imprevisti, dagli equivoci (il turco appiccicoso scambiato per un ladro), dagli incontri lungo il cammino. Indimenticabile, fra tutti, la vecchia che sale in auto nell'ex-Jugoslavia, presenza muta e inquietante ma anche perfettamente naturale (come tutto nel film), sorta di fantasma che terrorizza il giovane ma sembra normalissima al padre...
Insomma un grande film "spirituale", uno dei tanti di questi anni: e pensiamo al Grande silenzio di Groning, o a Primavera, estate, autunno etc. di Kim Ki-duk, ma meno esigente, anzi incredibilmente semplice, diretto, fattuale. Come se l'esperienza, per una volta, prevalesse sulle immagini.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 5/5/2006 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Ismaël Ferroukhi |
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