Qui rido io
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Regia: | Martone Mario |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Mario Martone, Ippolita di Majo; fotografia: Renato Berta; montaggio: Jacopo Quadri; scenografia: Giancarlo Muselli, Carlo Rescigno; costumi: Ursula Patzak; suono: Alessandro Zanon; interpreti:Toni Servillo (Eduardo Scarpetta), Maria Nazionale (Rosa De Filippo Scarpetta), Cristiana Dell'Anna (Luisa De Filippo), Eduardo Scarpetta (II) (Vincenzo Scarpetta), Roberto De Francesco (Salvatore Di Giacomo), Lino Musella (Benedetto Croce), Paolo Pierobon (Gabriele D'Annunzio), Chiara Baffi (Anna De Filippo detta Nennella), Iaia Forte (Rosa Gagliardi), Roberto Caccioppoli (Domenico Scarpetta detto Mimì), Lucrezia Guidone (Irma Gramatica), Elena Ghiaurov (Lyda Borelli), Greta Esposito (Maria Scarpetta), Alessandro Manna (Eduardo De Filippo), Marzia Onorato (Titina De Filippo), Salvatore Battista (Peppino De Filippo); produzione: INDIGO FILM con RAI CINEMA; distribuzione: 01 DISTRIBUTION; origine: Italia-Spagna, 2021; durata: 132'. |
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Trama: | Agli inizi del '900, nella Napoli della Belle Époque, splendono i teatri e il cinematografo. Il grande attore comico Eduardo Scarpetta è il re del botteghino. Il successo lo ha reso un uomo ricchissimo: di umili origini si è affermato grazie alle sue commedie e alla maschera di Felice Sciosciammocca che nel cuore del pubblico napoletano ha soppiantato Pulcinella. Il teatro è la sua vita e attorno al teatro gravita anche tutto il suo complesso nucleo familiare, composto da mogli, compagne, amanti, figli legittimi e illegittimi tra cui Titina, Eduardo e Peppino De Filippo. Al culmine del successo Scarpetta si concede quello che si rivelerà un pericoloso azzardo. Decide di realizzare la parodia de La figlia di Iorio, tragedia del più grande poeta italiano del tempo, Gabriele D'Annunzio. La sera del debutto in teatro si scatena un putiferio: la commedia viene interrotta tra urla, fischi e improperi sollevati dai poeti e drammaturghi della nuova generazione che gridano allo scandalo e Scarpetta finisce con l'essere denunciato per plagio dallo stesso D'Annunzio. Inizia, così, la prima storica causa sul diritto d'autore in Italia. Gli anni del processo saranno logoranti per lui e per tutta la famiglia tanto che il delicato equilibrio che la teneva insieme pare sul punto di dissolversi. Tutto nella vita di Scarpetta sembra andare in frantumi, ma con un numero da grande attore saprà sfidare il destino che lo voleva perduto e vincerà la sua ultima partita. |
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Critica (1): | Dietro la maschera. Ad inizio ‘900 il re incontrastato del teatro napoletano (e italiano) è Eduardo Scarpetta. Inventore del teatro dialettale, attore e commediografo, sbanca il botteghino grazie al personaggio di Felice Sciosciammocca (Miseria e nobiltà), personaggio capace di far dimenticare Pulcinella al pubblico partenopeo.
Arrivista e ambizioso, il successo lo ha trasformato in un uomo ricchissimo: la simbiosi tra vita e teatro è massima, al punto che tanto sul palcoscenico quanto nel dietro le quinte gravita tutto il suo nutrito e complesso nucleo familiare.
Moglie, compagne, amanti, figli legittimi e illegittimi (tra i quali i mai riconosciuti Titina, Eduardo e Peppino De Filippo…), Scarpetta domina la scena e il focolare.
Fino a quando non decide di imbarcarsi in un azzardo, la parodia de La figlia di Iorio, tragedia firmata dall’allora vate Gabriele D’Annunzio: denunciato per plagio (prima causa sul diritto d’autore in Italia), dovrà far fronte ad un periodo in cui quel delicato equilibrio creato fino ad allora rischia di andare in frantumi.
Attraverso la ricostruzione d’epoca di un periodo storico cruciale del nostro paese, dal punto di vista politico culturale e sociale (decisiva in tal senso l’auto-arringa conclusiva del protagonista – nel 1908 – in cui si profetizzano i prodromi di quanto avverrà da lì a un decennio), Mario Martone prende in prestito dallo stesso Scarpetta la frase che fece apporre sulla facciata della sua Villa La Santarella: Qui rido io diventa allora “epigrafe” doppiamente simbolica con cui provare a rimettere ordine nell’infinito disordine entro il quale si muoveva l’artista e l’uomo.
Toni Servillo giganteggia nel restituire la dimensione di una maschera capace di sedurre le folle e governare il sempre più ingovernabile apparato del dietro le quinte, mentre intorno a lui uno stuolo di ben più che dignitosi comprimari (da Maria Nazionale a Cristiana Dell’Anna, da Gianfelice Imparato ad Antonia Truppo, da Eduardo Scarpetta – che interpreta Vincenzo, di fatto il suo bisnonno – a Roberto De Francesco e Lino Musella, rispettivamente Salvatore di Giacomo e Benedetto Croce) fornisce il necessario e ineludibile apporto per l’indispensabile impalcatura destinata a sorreggere l’intero impianto.
Teatralizzando inevitabilmente, ma non per questo togliendo smalto all’intreccio di dinamiche familiari disfunzionali e malinconiche, Martone regala momenti di grande spessore filologico e filosofico (la bagarre al Teatro Mercadante quando gli infervorati dannunziani si scagliarono contro la parodia messa in atto da Scarpetta, oppure l’incontro con Benedetto Croce, la cui perizia fu decisiva nel riconoscere quanto “la parodia fosse nell’arte perché già presente nella vita”, pur riconoscendo mediocre l’opera di Scarpetta) ma, soprattutto, ragiona sulle varie declinazioni del potere: quello delle nuove mode che impongono l’affermarsi di tendenze affini allo “spirito del tempo”, contrapposto a quello del capocomico-padrone che pretende di instradare la sterminata figliolanza a portare avanti il frutto del suo genio (senza però mai riconoscerne ufficialmente il legame di sangue).
Un’eredità che la storia poi non ha potuto far altro che riconoscere, e celebrare, proprio grazie alla successiva affermazione di uno dei più grandi e importanti autori teatrali del Novecento italiano, Eduardo (De Filippo). Che da bambino trascorreva le nottate a ricopiare le commedie di quel padre “non ufficiale”, e a scriverne di proprie.
Valerio Sammarco, cinematografo.it |
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Critica (2): | Teatro e cinema. Storia e commedia umana. Musica... e Napoli.
Qui rido io, «romanzo immaginario di Scarpetta e della sua tribù» è una colorata, umorosa e ben sorvegliata sintesi degli interessi e del mestiere di un cineasta colto, polivalente e soprattutto in ancor costante evoluzione.
Con la biografia di Eduardo Scarpetta, miscela di cronache vere e di fatti immaginari ma possibili, Mario Martone non mette solo in scena la vita di un leggendario teatrante, con tutte le tensioni e gli equilibri precari dell'esibizione sul palco, ma ci trasporta, senza peccati filologici e intellettualistici, nella Napoli di fine '800, effervescente di stimoli culturali (qui compaiono e con ragione narrativa, personaggi di un pantheon di giganti, da Salvatore Di Giacomo a Libero Bovio a, su tutti, Gabriele D'Annunzio e Benedetto Croce).
Scarpetta è stato uno dei sommi del Teatro comico italiano. Il suo personaggio di Felice Sciosciammocca è il punto mediano di congiunzione di una triade popolare che comprende Pulcinella e Totò. Ma non solo per quello lo vediamo qui inizialmente sul palco in quel Miseria e Nobiltà che sarà in futuro reinventato e regalato ai posteri nella versione cinematografica con Totò... quella battuta su cui Martone giustamente si sofferma, quella del «Vincenzo mi è padre a me...», serve per inquadrare anche l'altro lato, quello casalingo dell'artista. Perché Scarpetta è una sorta di Califfo, circondato da moglie ed amanti più o meno “ufficiali”, 3 figli legittimi e 6 no, tra cui spiccano, in scala, i tre nati da Luisa, nipote della “vera” moglie Rosa: Titina, Eduardo e il ribelle Peppino, ovvero i futuri De Filippo.
Padre padrone adorato e odiato, dispotico capocomico fiducioso solo in se stesso (ma anche bisognoso di riconoscimenti), Scarpetta, oltre all'affetto e al successo clamoroso, attirerà livori intestini e rancori pronti ad esplodere. Cosa che succederà con la sua parodia de La figlia di Iorio di D’Annunzio, Il figlio di Iorio, 1904. Il poeta finge entusiasmo ma in sostanza si rifiuta di concedergli i diritti sul testo e la sera della prima, una gazzarra organizzata da letterati, fautori del Teatro d'Arte, la boicotterà sino a un processo clamoroso. Amareggiato dal comportamento del Vate (“rapagnetta!”), verrà fortunatamente difeso nientemeno che da Benedetto Croce («È una brutta parodia, non è una contraffazione») e l'audizione finale in aula, con una geniale scelta registica di Martone, si trasformerà in una sorta di clamoroso spettacolo farsesco con chiusura teatrale in stile d'epoca.
È l'apoteosi nella finzione del “teatro leggero”, in cui, come recita la scritta sulla prestigiosa Villa Santarella dove Scarpetta ha trasferito tutto il suo caravanserraglio familiare, “qui rido io”. Ma a ridere è anche la ragione stessa dello spettacolo “basso”, come esplosione collettiva e liberatoria di umori.
La riuscita potenza del film che mette così, narrativamente, in scena anche una seria questione critica, esige un lavoro collettivo di artisti e tecnici di prim'ordine. Così, del cast tecnico, citiamo Ippolita Di Maio, moglie di Mario e coautrice della sceneggiatura; il direttore della fotografia, il sommo Renato Berta che gestisce magistralmente luci e toni cromatici, in un film coloratissimo e per questo anche un po' magico e poi l'autore del montaggio Jacopo Quadri, per non tacere della struggente colonna sonora, con il suo repertorio di sceneggiate, brani tradizionali e numeri da cafè chantant, a sottolineare una storia privata ma non troppo.
Massimo Lastrucci, cineforum.it, 11/9/2021 |
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Critica (3): | |
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