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Tahrir


Regia:Savona Stefano

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Stefano Savona; montaggio: Penelope Bortoluzzi; fotografia: Stefano Savona; suono: Stefano Savona, Jean Mallet; produzione: Picofilms-Dugong Production, in collaborazione con Rai Tre-Alter Ego; origine: Italia-Francia, 2011; durata: 90’.

Trama:Cairo, febbraio 2011. Tahrir è un film scritto con i volti, con le mani, con le voci di chi stava in piazza. La prima cronaca in tempo reale della rivoluzione, a fianco dei suoi protagonisti. Uno spettacolo insieme tragico ed esaltante. Il racconto inedito e appassionato di una scoperta: la forza dirompente dell’agire in comune.
Un ragazzo ferito alla testa si regge su un bastone davanti alle barricate della Piazza assediata; incita i compagni a continuare la lotta, li sprona ad andare là dove i mercenari di Mubarak stanno attaccando. Non grida, parla con la determinazione serena di chi si trova esattamente nel punto dove voleva essere e dove non avrebbe mai pensato di arrivare.
Elsayed, Noha, Ahmed sono giovani egiziani di poco più di vent’anni. Una settimana fa sono scesi a manifestare contro il regime di Mubarak e si sono ritrovati ad essere gli attori di una rivoluzione. Sono venuti da tutto l’Egitto, da Alessandria, da Luxor, da Suez. Occupano la Piazza notte e giorno, parlano, urlano, cantano insieme ad altre migliaia di egiziani tutto quello che non hanno mai potuto dire apertamente. Le repressioni sanguinose del regime rinforzano la protesta; in Piazza Tahrir si resiste, si lotta, si impara a discutere e a lanciare pietre per difendersi, a inventare slogan e a curare i feriti, a sfidare l’esercito e a preservare il territorio appena conquistato: uno spazio di libertà, un centro di democrazia in cui si dorme poco, si discute di politica, si intavolano dibattiti con degli sconosciuti, ci si ubriaca di parole. Diciotto giorni in Piazza Tahrir cambiano la vita a tutti, ma soprattutto ai giovani che questa rivoluzione l’hanno iniziata uscendo dal mondo virtuale di facebook dove per la prima volta si erano riuniti.

Critica (1):Tahrir "è il primo documentario "in tempo reale" della rivoluzione, partita da un gruppo di giovani su Facebook e sfociata poi in una forza dirompente di egiziani di qualsiasi ceto sociale e religioso, determinati nel proclamare il proprio grido di libertà e di rispetto. Per la prima volte, in uno spettacolo allo stesso tempo tragico ed esaltante, il mondo ha visto la potenza incontenibile dell’agire in comune. L’Egitto si è rivoltato cantando ed urlando, cosa che il regime mai gli aveva permesso, senza aver paura degli attacchi della polizia, dei cecchini appostati sui palazzi e del rilascio dei delinquenti dalle prigioni (pagati profumatamente), usati per creare caos e violenza.
Nell'opera di Savona emergono gli individui, eroi improbabili, per la maggior parte giovani ma anche molte donne ed adulti, che vivono una situazione storica forse piu’ grande di loro ma con vero idealismo, realismo e condivisione. Insomma, Tahrir è un film veramente emozionante nel suo scorrere, giorno dopo giorno, fino all’annuncio delle dimissioni di Mubarak.
"sono stato adottato da quella folla, non ero una troupe cinematografica o televisa, filmare diventava un gioco collettivo, la leggerezza e la precarietà hanno giocato a favore e non contro il mio film. A volte il professionismo uccide la libertà. Ancora oggi sono scosso dall’energia, mia e dei manifestanti. Ho cercato di mantenere nel montaggio l’allegria, l’euforia e le sensazioni di quei momenti, creando immagini che uscissero fuori dal metabolismo della società dello spettacolo", ha dichiarato il regista.
Luca Corbellini, cinemaitaliano.info, 6/08/2011

Critica (2):Raramente si è visto filmare una rivoluzione in fieri con una tale empatia tra chi filma e le persone che vengono filmate. Come sei arrivato sulla piazza, come sei stato accettato, come sei giunto a questo risultato?
Ho fatto, nel vero senso del termine, di necessità virtù: in quel periodo ero a Parigi e stavo finendo di montare Palazzo delle Aquile con Penelope Bortoluzzi. Quando é iniziata la rivoluzione in Egitto avevo superato, in un certo senso, il lutto di non essere stato presente a quella successa in Tunisia. La Tunisia è un paese in cui ho lavorato e che mi è caro, ma non come l’Egitto in cui sono stato quasi una volta all’anno negli ultimi vent’anni come egittologo. Durante questo tempo avevo già girato varie cose, ma avevo sempre finito per buttare via tutto, non riuscivo a raccontare nessuna storia inerente a questo posto estremamente affascinante perché ogni elemento narrativo sembrava come compresso dentro gli schemi del regime, tutte le espressioni della vita viravano per forza al conformismo. Quando è iniziata la rivoluzione ho capito che se non fossi andato subito in Egitto per vederla e viverla da vicino il mio rapporto con il paese si sarebbe spezzato, probabilmente, per sempre. Il 29 gennaio, dopo aver passato delle ore davanti alla cronaca on-line di al-Jazeera, ho finalmente deciso di partire per vedere da vicino chi fossero le migliaia di persone che, per la prima volta in 30 anni, sfidavano lo stato di emergenza ed i divieti del regime.

Come hai fatto per prendere contatto con le persone che hai filmato e guadagnarti la loro fiducia? Come hai fatto in seguito per seguire questo gruppo in particolare?
Ho conosciuto questi ragazzi subito al mio arrivo e non li ho più lasciati, sono stati molto pazienti con me. Hanno sentito subito che c’era una complicità, non posso dire che io fossi uno di loro, però sentivano che ero al livello del suolo, come loro: dormivo insieme a loro, stavo con loro, vivevo con loro e tutto ciò mi ha aiutato. Ad ogni modo avevano una grande voglia di venire mostrati così come realmente erano ed una grande paura di essere mal rappresentati, sopratutto da parte dei mezzi d’informazione più strutturati. Io, al contrario, ho passato tantissime ore a parlare con loro con la telecamera spenta, probabilmente hanno capito che la mia era una curiosità genuina. (...)

Si è molto parlato dell’importanza di Facebook e di internet come strumenti di convocazione. nel tuo documentario al contrario si vedono soprattutto dei telefonini. Tu che percezione hai avuto in loco, come avveniva lo scambio d’informazioni?
L’uso di Facebook era molto limitato in Piazza perché nessuno disponeva di Smartphone, l’unico mezzo di comunicazione veramente in uso fra i manifestanti erano i telefonini. Sicuramente il ruolo di Facebook è stato fondamentale a monte, cioè nel permettere alle persone di convocarsi e quindi di essere poi tantissime in Piazza. La rivoluzione è stata qualcosa di molto più concreto; gli individui che si erano dapprima contattati online si sono in seguito conosciuti di persona per strada, sotto condizioni completamente eccezionali. Nel momento in cui si viene attaccati da dei poliziotti o da gente armata di pietre Facebook diventa un mero ricordo, da quel momento in poi le persone condividono lo spazio in maniera assolutamente ‘carnale’. Si dormiva tutti nello stesso posto, ci si faceva calore l’uno con l’altro, ci si dava da mangiare, si tratta una situazione molto più materiale, fisica, mentre quando si parla di rivoluzione attraverso Facebook si ha l’impressione di qualcosa di più astratto, asettico.

Come faceva la gente a coordinasi, senza un leader, per andare sempre nella stessa direzione, senza che magari qualcuno potesse agitare le cose e quindi potesse scomporre tutto il movimento?
Questo, a dire il vero, è un qualcosa che non so; per uno strano fenomeno di sinergia funzionava così, non c’era nessuno che dicesse agli altri cosa bisognava fare. A questo proposito posso raccontarti l’episodio molto indicativo del ragazzo che mi ha portato in prima linea. Questo ragazzo sembrava un leader assoluto dettava ordini a destra e a sinistra, ad un certo punto mi ha messo in testa un cartello stradale piegato per non farmi prendere pietrate e mi ha detto: “Vieni, ti ci porto io in prima linea!” L’ho seguito dicendomi che sicuramente lui era il capo, mi ha fatto fare tutto questo giro, poi ad un certo punto siamo tornati indietro. Evidentemente eravamo tutti e due stanchissimi perché era già un giorno e mezzo che c’era la battaglia vicino al ponte, ci siamo seduti un attimo e lui mi ha detto: “Io non ho mai fatto una cosa del genere in vita mia! Ieri ero a casa, ho visto in televisione cosa hanno fatto al vecchio, ho preso e sono venuto in Piazza. Se mia madre scopre che sono qui mi ammazza. Io faccio il professore di scuola media, i miei allievi mi prendono in giro perché non riesco mai ad imporre la disciplina in classe….” “Io -gli ho risposto- ho invece avuto fiducia in te quando mi hai detto di seguirti in prima linea, nonostante lì si stessero tirando delle molotov!” Poi ci siamo salutati e non ci siamo più rivisti, però lui mi ha lasciato le sue coordinate di Facebook. Due settimane fa ci siamo messi a chattare e lui mi ha confidato che quello era stato l'unico giorno in cui era sceso in Piazza, poi non era neanche più uscito di casa…

In Tahrir hai filmato il momento rivoluzionario eppure il film non termina con l’entusiasmo della vittoria ma con un dubbio, un’ombra che s’insinua proprio nell’ultima inquadratura…
Il finale del film stabilisce in qualche modo un ponte con il futuro, ma anche con il presente. Un finale in cui io avessi lasciato da parte questo ‘giorno dopo’ sarebbe stato più pessimista; con questo finale si capisce come le persone nonostante siano molto naïv stanno scoprendo, giorno dopo giorno, come fare politica, ma allo stesso tempo, sin dal primo momento direi, sono assolutamente coscienti del fatto che qualcuno possa rubare loro quanto hanno raggiunto. La coscienza di questo pericolo, presente peraltro durante tutti i giorni precedenti, è restata ben tangibile anche nell’entusiasmo assoluto della vittoria e della cacciata di Mubarak. Nel momento del festeggiamento c’era chi diceva: ‘No! Non andiamo via, dobbiamo avere prima delle garanzie!” Cioè la garanzia che, qualsiasi cosa succeda, non si possa più tornare indietro e perdere quanto si é acquisito. Detto in altre parole: le persone in piazza erano consapevoli del fatto che non si può delegare il proprio destino ad altri. (...)
(da un’intervista al regista di Maria Giovanna Vagenas in schermaglie.it)

Critica (3):

Critica (4):
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