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Mostri (I)


Regia:Risi Dino

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Age e Scarpelli, Elio Petri, Dino Risi, Ettore Scola, Ruggero Maccari; fotografia: Alfio Contini; musiche: Armando Trovajoli; montaggio: Maurizio Lucidi; scenografia e costumi: Ugo Pericoli; arredamento: Enrico Breschi; interpreti: Ugo Tognazzi (Padre/Stefano/Battacchi/Onorevole e altri), Vittorio Gassman (Avv. D'Amore/Attore/Mendicante e altri), Ricky Tognazzi (Paoletto in "L'educazione sentimentale"), Franco Castellani (Attore in "La raccomandazione"), Lando Buzzanca (Amico in"Come un padre"), Maria Mannelli (Vecchietta in "Presa dalla vita"), Mario Laurentino (redattore capo in "Il povero soldato"), Yacinto Yaria (Segretario in "La giornata dell'onorevole"), Francesco Caracciolo (Il fraticello in "La giornata dell'onorevole"), Marisa Merlini (Signora Fioravanti in "Testimone volontario"), Daniele Vargas (Il cieco in "I due orfanelli"), Luisa Rispoli (la spettatrice in "Scenda l'oblio"), Michèle Mercier (la moglie in "L'oppio dei popoli"), Marino Masé (l'amante in “L'oppio dei popoli”); produzione: Mario Cecchi Gori per Fair Film-Incei Film-Montflour Film (Roma)-Dicifrance (Parigi); distribuzione: Cineteca Nazionale; origine: Italia, 1963; durata: 118’.

Trama:Il film contiene i seguenti episodi: "L'educazione sentimentale" (7' )- Un padre (Tognazzi) insegna al figlio l'arte dell'essere disonesto. Il giovane impara e, qualche anno dopo, ucciderà il genitore per rubargli i soldi. "La raccomandazione" (7') - Un celebre attore finge di aiutare un collega (Gassman e Castellani). "Il mostro" (1') - Due carabinieri (Gassman e Tognazzi) di brutto aspetto sorridono al fotografo dopo aver arrestato un criminale. "Come un padre" (6'30'') - Stefano (Tognazzi), marito tradito, si confida con il suo migliore amico (Lando Buzzanca) ignorando che questi è l'amante della moglie. "Presa dalla vita" (5') - Un regista intellettuale (Gassman) fa rapire una vecchietta. "Il povero soldato" (9') - Battacchi (Tognazzi), fratello militare e finto ingenuo di una prostituta assassinata, contratta con il direttore di un giornale la vendita del diario della squillo. "Che vitaccia!" (3') - Un baraccato romano (Gassman) con famiglia a carico, che invoca continue sovvenzioni, preferisce la partita allo stadio alla ricerca di un posto di lavoro. "La giornata dell'onorevole" (12') - Un parlamentare democristiano (Tognazzi) moralista a parole, rinvia di ora in ora l'incontro con un generale in pensione in possesso di documenti compromettenti fino a quando questi non muore. "Latin lovers" (2'30'') - Due vitelloni (Gassman e Tognazzi) sulla spiaggia sono vittime di un equivoco. "Testimone volontario" (12') - Pilade Fioravanti (Tognazzi) assiste ad un reato e decide di testimoniare in un processo, viene quasi fatto incriminare da un'avvocato difensore senza scrupoli (Gassman). "I due orfanelli" (2'30'') - Un mendicante (Gassman) rifiuta di far guarire il suo compare cieco fonte principale di guadagno. "L'agguato" (1'30'')- La perfidia e la meschinità di un vigile urbano (Tognazzi) in servizio. "Il sacrificato" (9') - Un uomo (Gassman) decide di disfarsi della sua amante convincendola che lo fa per il suo bene. " Vernissage" (3'30'') - Un capofamiglia (Tognazzi) inaugura la sua nuova conquista, una Fiat 500 nuova fiammante, andando a prostitute. "La Musa" (5') - Come vincere un premio letterario. "Scenda l'oblio" (2') - Nella penombra di un cinema, di fronte ad un film che racconta i massacri nazisti, un uomo (Tognazzi) pensa alla propria villa. "La strada è di tutti" (45'') - Quasi investito da alcuni automobilisti un pedone (Gassman), per vendetta, sale sulla propria auto e diventa a sua volta un pericolo pubblico. "L'oppio dei popoli" (45'') - Mentre il marito (Tognazzi), in salotto, resta incollato alla televisione a guardare telefilm e sceneggiati sull'infedeltà, la moglie, in camera da letto, riceve l'amante. "Il testamento di Francesco" (10') - Un frate vanitoso (Gassman) alle prese con la tv. "La nobile arte" (17') - Un ex manager di pugilato (Gassman) convince un suo vecchio assistito suonato (Tognazzi) a tornare sul ring: ma le illusioni si spengono dopo il primo round. Il pugile resterà su una sedia a rotelle.

Critica (1):I "mostri" del nostro tempo ce li ha già descritti Fellini nella Dolce vita: in chiave terribilmente drammatica. Questi di oggi, che ci propone Dino Risi, sono invece in chiave comica o, al massimo, grottesca, visti in una luce che, anche quando indulge al macabro e al cattivo, resta satirica, tendendo non di rado alla caricatura.
Sono molti, questi "mostri" di Dino Risi, sono una vena e propria galleria di tipi d’ogni giorno, non analizzati però nel corso di una vicenda vera e propria, ma isolati al centro di episodi brevi o addirittura brevissimi e costretti, a volte, entro i "limiti" della battuta e della barzelletta.
Non tutti sono convincenti, non tutti sono costruiti con buon gusto; parecchi, anzi, svelano note stridenti, o troppo risapute e prevedibili, o troppo esasperate e fastidiose (in un clima di amara ed aspra polemica che suggerisce a stento la risata e l’allegria); alcuni, però, si fanno lietamente apprezzare per il sapore con cui ci evocano ambienti e cornici tipiche del mondo di oggi e personaggi facilmente reperibili fra le pieghe della realtà di tutti i giorni: l’attore, ad esempio, fatuo e borioso, insincero e sleale, il pugile "suonato" che si ostina a non lasciare il ring, il deputato ipocrita e sorridente capace di insabbiare uno scandalo senza darlo a vedere, il predicatore televisivo fedele alle dottrine del Padre Zappata, il marito due volte adultero, l’organizzatrice di premi letterari, ecc. ecc.
La parodia, qui, è ghiotta e saporita ed anche se a volte accetta strali eccessivamente maliziosi, si fa accogliere con ilare simpatia: soprattutto da quel pubblico cui son cani gli sketches delle riviste umoristiche.
Il merito maggiore del film, però, è l’interpretazione di Vittorio Gassman e di Ugo Tognazzi che, protagonisti assoluti di tutti gli episodi, non lesinano bravura ed effetti per esibirsi in uno show personale di larga efficacia comica: Gassman multiforme e pittoresco, sapientemente padrone d’ogni più colorita sfumatura comica, Tognazzi, raccolto e sottile, soprattutto incline ad un interiore gioco caricaturale.
Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 1/11/1963

Critica (2):Una piccola enciclopedia della cattiveria dell’intolleranza, dell’ipocrisia e del cinismo: questo vuole essere, senza presunzioni o partigianerie, e senza salire in cattedra, il film I Mostri, di Dino Risi. È composta da una folla di episodi e scenette a se stanti, ciascuno dei quali non supera mai i dieci minuti di durata e, talvolta, si limita ad una annotazione contenuta nel giro di pochi secondi.
Gareggiano, nella galleria di tipi e tipacci Gassmann e Tognazzi, qualche volta assieme, più spesso ognuno per suo conto. Gassmann mette in vista la sua bravura istrionica in una sbellicante telefonata (« la raccomandazione»), nel capitolo del «sacrificato» dove si libera con tartufesca abilità dell’amante per correre tra le braccia dell’ altra ed appare perfino in abiti femminili, nel brano «la musa», che satireggia l’ambiente in cui nascono certi premi letterari. Tognazzi non gli è da meno; è il caso di mettere al suo attivo la figura del soldato che tenta di vendere al migliore offerente le memorie boccaccesche della sorella, una mondana uccisa il giorno prima; o quella dell’onorevole che soffoca con imperturbabile calma un grosso scandalo.
Non tutto fila via con lo stesso ritmo sciolto e garbato; non manca qualche squilibrio di gusto e di tono ( il brano del «testimone volontario»,per esempio, e quello fin troppo facile del «latin lovers»), ma è un film saporito e dispettoso graffia spesso dove graffiare è giovevole. Ed i due attori dimostrano ancora una volta che il loro accoppiamento è perfettamente indovinato.
Il Corriere della Sera, 01/11/1963

Critica (3):I mostri doveva essere un film di Dino De Laurentiis scritto da Age e Scarpelli e per la regia di Elio Petri, con Sordi protagonista assoluto. Diventò invece un film di Cecchi Gori, diretto da Risi, con Gassman e Tognazzi, e alle firme di Age, Scarpelli e dello stesso Petri si aggiunsero quelle di Scola e Maccari che inventarono altri episodi e sketch (ma i due più celebri, e cioè La giornata dell'onorevole e La nobile arte sono di Age e Scarpelli). Petri diresse invece (al posto di Risi) Il maestro di Vigevano scritto anch'esso da Age e Scarpelli e interpretato da Sordi. Ma non fu un film riuscito, al contrario di I mostri. La leggenda vuole che Petri e De Laurentiis litigarono e che il produttore napoletano, conoscendo gli orientamenti politici del regista che probabilmente intendeva secondo lui troppo sbilanciare l'asse del film in senso ad esso affine, lo liquidò esortandolo a farsi produrre il suo film da Togliatti.
Tutto questo lo ricordo non tanto per passione per l'aneddoto e il retroscena in sé, quanto per segnalare e sottolineare come da una combinazione impersonale e farraginosa sia uscito non solo uno dei film capitali di quella stagione e di tutto il cinema italiano, ma anche un'opera così profondamente risiana. Prova della morale artistica risiana: l'importante è fare, andare, macinare ed esserci possibilmente con piacere e con divertimento. L’Opera con la maiuscola non si premedita, se deve venire viene.
Venti storie, le più corte (sono due) durano 30 secondi, la più lunga 17 minuti. Un prodigio di compattezza e di felicità narrativa, un campione di incisività e di rappresentazione della contemporaneità all'insegna della critica più sferzante, della satira più graffiante, senza un filo di forzatura o di compiacimento o di indulgenza o di complicità. I mostri è tutto questo, e sarebbe oltremodo riduttivo parlarne soltanto come del capostipite del cosiddetto genere del film a episodi. Il genere o filone è venuto dopo e ha dato anche pagine pregevoli, ma I mostri è un grande prototipo e s'ingannerebbe chi lo ritenesse un contenitore di scampoli o di resti. La misura non ne fa un'opera minore, il suo respiro è ampio, la sua concezione estremamente originale. (...)
Nello stile di Age e Scarpelli, ideatori dello sketch, la storia racchiude in sé tanti echi. Forse il rimando parodistico - del resto già lo avevano fatto in I soliti ignoti – allo sfondo del cinema pugilistico, con le sue durezze e le sue cattiverie. Ma anche l'ambizione, non velleitaria perché sostenuta da un autentico alito poetico, di comporre e senza troppe preoccupazioni attualistiche (è ciò che solleva l'episodio un po' al di sopra di tutti gli altri, che direttamente si nutrono di attualità) l'apologo di due esistenze disgraziate, vissute non senza un contorto e perfino turpe sentimento di umana solidarietà ai margini di un mondo che sembrerebbe tutto obbligatoriamente appagato e vincente. Ne fa fede anche quello sfondo finale che non possiamo non sospettare "felliniano".
Risi sfodera le unghie affilate del suo "cinismo". Che è solo il cinismo di chi gli occhi li usa per guardare e vedere, e non li copre con il velo della censura o delle buone intenzioni ideologiche. Il cinismo della verità, che non ha riguardi per nessuno. Una vita difficile era un tributo pagato a una nobile causa, anche quella di tirare fuori la commedia dall'angolo del passatempo di poco conto e meritevole di scarso credito. Il sorpasso era l'attacco all'Italia "moderna" e imborghesita. I mostri non salva niente e nessuno e si beffa di tutti, ricchi e poveri, borghesi e sottoproletari, intellettuali e illetterati. Tutti colpevoli, tutti condannati perché accomunati dalla stessa corsa velleitaria mistificatoria e millantatrice all'abbraccio infernale di falsi valori. Tutti mostruosi, e non poi così paradossalmente, prodotti della stessa degenerazione del costume e dello spirito; tutti pronti a svendere l'anima in cambio di una merce: denaro, successo, potere, proprietà, simboli di avanzamento sociale, cose, roba. Nessuna commedia contemporanea è così radicale e così spoglia di alibi. In piena, presunta festa I mostri avverte come una Cassandra che la festa in realtà è già finita, e forse non è mai cominciata. Peccato che la formula diventerà appunto tale, una formula e che i suoi stessi autori non riusciranno a mantenere lo stesso rigore, la stessa ispirata lucidità. L’ltalia ride a crepapelle, quando vede il film che sarà un grande successo, ma mai aveva e mai più avrebbe riso, anche se forse non lo sapeva, con tanta malinconia e tanta amarezza.
Paolo D’Agostini, Dino Risi, Il Castoro Cinema, 1-2/1995

Critica (4):I "mostri" sono personaggi caratteristici del nostro tempo (furbastri, cretini, disonesti, vanesi, arrivisti, ecc.) che o presi dalla cronaca (processo Fenaroli, salotto Bellonci, scandali parlamentari, ragazze-squillo e così via) o inventati nel senso della cronaca, dovrebbero fra molti secoli mettere i paleontologi in grado di stabilire senza troppa fatica
quando e dove vissero. Generalmente le cose migliori sono le più brevi, "istantanee" al lampo di magnesio che bruciano in pochi fotogrammi. Tali l'azzeccatissimo Il mostro, quasi un quadro vivente di due agenti di polizia che hanno appena stanato da un cascinale un famigerato sterminatore; il quale è un ometto da nulla, eclissato dalle spalle e dai ceffi dei suoi catturatori in primo piano; Amanti latini, una geometrica gag sugli invertiti; il caustico Scenda l'oblio, ovvero con che occhi certi italiani del" Miracolo" vedano i film della Resistenza; L'agguato, pantomima d'un vigile tenditrappole, e, ma già con qualche difficoltà di respiro, Il testamento di San Francesco (il teologo della TV) e molti altri, che hanno anche il merito di non lasciare indovinare allo spettatore la conclusione; il che non si può dire di molti degli episodi più lavorati, e specialmente dei due boccacceschi (senza Boccaccio, purtroppo) Come un padre e L'oppio dei popoli. E in questo stesso settore novellistico spunta ora il vieto (Testimone volontario, dove Gassman ritorna col suo "trombone" forense), ora il facile (Che vitaccia), ora il pretenzioso bozzettismo sui suonati del ring (La nobile arte). Ma L'educazione sentimentale, Presa dalla vita e Il povero soldato hanno una allegra cattiveria che graffia il costume dei padri che si credono moderni, dei registi che si credono realistici, e dei furbi che si fanno credere tonti; mentre La musa, satira dei premi letterari, s'impone per una rutilante caricatura di Gassman trasformato in una bas blue fra le più pregnanti e filtrate, anche nel linguaggio registratissimo, che l'attore ci abbia mai dato.
Leo Pestelli La Stampa, 31 ottobre 1963
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