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Uno, due, tre! - One, Two, Three


Regia:Wilder Billy

Cast e credits:
Soggetto: da un testo teatrale di Ferenc Molnár; sceneggiatura: I.A.L. Diamone, Billy Wilder; fotografia: Daniel L. Fapp; musiche: André Previn; montaggio: Daniel Mandell; scenografia: Heinrich Weidemann, Robert Stratil; effetti: Milt Rice; interpreti: James Cagney (Mac Namara), Horst Buchholz (Otto), Pamela Tiffin (Scarlett), Arlene Francis (Phylis), Howard Saint John (Wendell P. Hazeltine), Liselotte Pulver (Ingeborg); produzione: Mirisch Company Pyramid Productions; distribuzione: Lab80; origine: Usa, 1961; durata: 115'.

Trama:Il signor MacNamara, direttore della Coca Cola di Berlino Ovest, viene avvertito dal suo direttore generale dell'arrivo della figlia Rossella, che si tratterrà a Berlino con i MacNamara un paio di settimane. In realtà, la ragazza si ferma due mesi e proprio quando stanno per giungere i suoi genitori che vengono a riprenderla, sparisce inspiegabilmente mettendo in orgasmo MacNamara. Questi trova la ragazza ma scopre anche che si è segretamente sposata con un insopportabile comunista di Berlino Est e che sta per partire con lui alla volta di Mosca. MacNamara riesce ad impedire questo viaggio facendo sparire Otto (il comunista); ma quando apprende che Rossella è in attesa di un figlio, si deve affrettare a farlo tornare e cercare di trasformarlo in perfetto gentiluomo per poterlo presentare, come genero ideale, al suo direttore generale. Ha cosi' inizio l'operazione "trasformazione" di Otto: il ragazzo viene sbarbato, rivestito e persino adottato da un conte decaduto per dargli nobili origini. Otto si oppone energicamente a tutte queste iniziative, ma si rende conto ben presto, però, che la vita dei "capitalisti" non è poi così spiacevole...

Critica (1):Non certo di lentezza (...) può essere accusato One, two, three , del '61, che è forse una delle piú folgoranti riuscite della coppia Diamone/Wilder sul piano dell'intensità ritmica dei gag e dei dialoghi. La vertiginosa girandola di battute, di botte e risposte fulminee, rientra, certo, nella tradizione dei migliori prodotti dell'umorismo hollywoodiano (basta pensare a certe commedie di Hawks), ma sempre all'interno di quel discorso (psicologico) sulla coppia, o meglio ancora sulla difficile armonizzazione delle due metà, che un cinema dell'individualismo e della competizione non poteva non privilegiare. Qui, invece, del discorso sulla coppia, che anche Wilder ha sviluppato altrove (magari sotto la specie di "strana" coppia), non rimangono che traccie, labili accenni (p.e., nel rapporto tra la figlia di Mac Namara e il genero comunista), mentre tutte le batterie sono puntate sulle radici stesse del comportamento individualistico-competitivo, sull'eterno homo aeconomicus le cui motivazioni (cauzionate da un egoismo "naturale") Wilder scorge alla base dei comportamenti "capitalistici" cosí come di quelli "comunisti": ma non si tratta di qualunquismo o di "volgarità intellettuale", quanto di misurare spregiudicatamente la distanza che intercorre tra le dichiarazioni ideologiche e la loro applicazione all'interno di quella logica dei blocchi (particolarmente virulenta ancora agli inizi degli anni '60) che sembra rispondere ai piú rigidi dettami del "sacro egoismo" da grandi potenze. Ciò che qui viene messo in scena è dunque lo sfasamento (marxiano) tra ideologia e struttura economico-produttiva, e nello spazio di questo sfasamento si affrontano il capitalismo individualista e nevrotico di Mac Namara (James Cagney) e quello burocratico, di Stato, dei suoi interlocutori di Berlino Est. (...) La regola cinica di Mac Namara, boss della Cola-Cola, intenzionato a conquistare il mercato tedesco orientale, e quella dei suoi corrompibili antagonisti "rossi", trovano la loro consonanza nella falsa coscienza ideologica; ma certo, a questo livello, le simpatie di Wilder vanno piú allo sfrontato capitalista senza ipocrisie, che al falso comunista ammantato di moralismo. Per il giovane Otto (Horst Buchholz), che potremmo definire comunista a-marxista, per cui il discorso moraleggiante, benché fatto in buona fede, prevarica sul realismo strutturale, Wilder ha invece una compassione divertita venata d'impazienza, espressa in quel famoso scambio di battute, di cui abbiamo già parlato all'inizio di questo lavoro: lo scandalizzato Otto prorompe nella domanda appassionata "Crede che tutti siano corrotti?!", e la risposta del suo interlocutore, cinica e puntuale, è: "Non lo so, non conosco mica tutti".
Abbiamo già detto che la battuta si basa sul principio di interferenza, tra una domanda (o stimolo) prefigurante un campo determinato di risposte, e l'evasione della risposta effettiva dal campo prefissatole, secondo un procedimento di presa alla lettera dello stimolo. Questo procedimento è senza dubbio, e l'abbiamo visto, abituale in Wilder, ma giunge qui ad effetti di particolare efficacia, proprio perché alla base della lettera del segno c'è un'amarezza senza illusioni, un porsi davanti all'uomo con la disperata convinzione che non c'è altro da fare che riderne. Di fatto, qui non si salva nessuno, e Berlino stessa non è piú "luogo dell'anima", città sottilmente rimpianta, nobilitata da una Marlene Dietrich, come era ancora in Foreign Affair e nei flash-back di Witness for the Prosecution: la nuova Berlino esplosa col neo-capitalismo sembra ormai profondamente estranea a Wilder, tanto che questa di One, Two, Three sarà l'ultima sua escursione tedesca. Non per questo viene lasciato il terreno europeo, che tornerà invece, abbastanza nostalgicamente, nella Francia di Irma la douce, nell'Inghilterra di Sherlock Holmes , nell'Italia di Avanti!
Alessandro Cappabianca, Billy Wilder, Il Castoro Cinema, 1976

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Billy Wilder
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