Rosetta - Rosetta
| | | | | | |
Regia: | Dardenne Jean-Pierre, Dardenne Luc |
|
Cast e credits: |
Sceneggiatura: Jean-Pierre Dardenne, Jean-Luc Dardenne; fotografia: Alain Marcoen; montaggio: Marie-Helène Dozo; interpreti: Emilie Duquenne (Rosetta), Olivier Gourmet (il padrone), Fabrizio Rongione (Piquet), Anne Yernaux (la madre); produzione: Luc e Jean-Pierre Dardenne, Michele & Laurent Petin per Les Films de Fleuve/RTBF/ARP selection; distribuzione: Key Films; origine: Belgio/Francia, 1999; durata: 96’. |
|
Trama: | Rosetta, che vive in un campeggio della periferia con la madre, donna dedita all'alcol e ad occaionali prestazioni sessuali, combatte ogni giorno per riuscire ad avere una vita dignitosa. Inizialmente licenziata dal posto di lavoro deve vendere vestiti per mettere insieme qualche soldo fino a quando non trova un altro lavoro in un panificio. Ma anche questa occupazione non è destinata a durare ed inoltre la madre è fuggita dalla roulotte... |
|
Critica (1): | [...] Rosetta non ha bisogno di presentazioni, d’antefatti. La sua omonima protagonista entra correndo, “in medias res”, come una scheggia furente, nel pieno di una traiettoria che la condurrà alla passione. Il film di Luc e Jean-Pierre Dardenne, vincitore a sorpresa del 52° Festival di Cannes, è come uno schiaffo in pieno volto, un colpo che costringe la coscienza benpensante dei media a riposizionarsi, abbandonando l’edonismo consumista delle sue comunicazioni e prendendo atto di uno status di sopravvivenza troppo spesso sradicato dal nostro campo visivo. [...] I Dardenne sono stati scoperti dalla critica non più di tre anni fa, quando La promesse, passato in sordina attraverso le cronache festivaliere della Croisette [...] si fece strada nel circuito ristretto della programmazione culturale, imponendosi al pubblico dei cineclub per l’essenziale messa a fuoco del concetto di forza lavoro nell’epoca dell’emigrazione clandestina e del sottosviluppo. I loro più recenti risultati affondano tuttavia le radici in un lavoro decennale, molto più antico, risalente agli anni Settanta, quando i due fratelli, nati rispettivamente nel 1951 e nel 1954, realizzavano video militanti nei centri operai della Wallonie, documentando problemi d’integrazione, d’urbanistica sociale, di disoccupazione. Questa loro attenzione al presente [...] si è concretizzata nelle loro due prime fiction (entrambe inedite in Italia): Falsch (1986), che raccontava i tempi e i modi di uno scomodo confronto fra un’esule ebrea negli Stati Uniti e un sopravvissuto ai campi di sterminio, e Je pense à vous (1992), dove, sull’impulso di un imprinting rosselliniano, si tracciava l’odissea di un operaio che, insieme all’occupazione, perdeva ragione e famiglia. Da quei due primi lungometraggi a Rosetta, il loro cinema ha peraltro subito una mutazione, un travaglio che li ha portati a rielaborare, più che i contenuti del film, le forme con cui essi erano rappresentati. La loro regia, attraverso un uso particolare della macchina da presa, del montaggio e del sonoro (oltre che di una singolare direzione d’attori) si è fatta più disseccata, togliendo alla sceneggiatura e ai dialoghi un ruolo puramente didascalico; e lasciando invece al rapporto stretto fra macchina da presa, spazi e corpi il compito di mostrare l’evidenza del reale. Per chi fa una scelta del genere, non c’è infatti bisogno di molte parole [...] per impressionare sulla pellicola il disastro della condizione umana di fine millennio. Non è necessario “dire” il rumore del mondo, il disgusto di un iniquo profitto, il disagio dell’uguale declassato a diverso. Basta aderire al soggetto con una prossimità che impedisce di scorgere le strategie di messa in scena, tanto esse si identificano col personaggio, con i suoi atti, con le sue urla mute di ribellione. Rosetta, figlia di un dio minore, ha le radici troncate e una traiettoria vitalistica che assomiglia agli ultimi guizzi di un corpo in agonia. Non sappiamo niente di lei, se non che vive con la madre (un’alcolista che si prostituisce per una bottiglia) in un campeggio squallido pieno di roulottes, alla periferia di un centro abitato. Guerrigliera del quotidiano – ogni giorno per recarsi in città segue percorsi clandestini, pescando di frodo, superando recinzioni, attraversando autostrade – essa emerge dal nulla con una precisa richiesta, il minimo possibile per vivere con dignità: una casa, un lavoro, degli amici. Ma le leggi della domanda e dell’offerta non obbediscono alla morale. Così la sua corsa disperata, verso un’occupazione che la faccia esistere agli occhi del mondo, si scontra con un cinismo legale che la ferisce e la trasforma. Tanto che, novello Giuda, denuncia proprio l’unico che le tende una mano e, rigettato il frutto del tradimento, corre a farla finita. Anche se qui, i Dardenne, che l’hanno braccata per un’ora e mezza senza mai mollare la presa, si fermano, per pudore e per pietà. E lasciano che la mano dell’offeso – il ragazzo che lei ha tradito –l’aiuti a rialzarsi. Per raccontarci tutto questo, i due registi optano per una messa in scena ossessiva e affannosa (in un’intervista parlano de Il castello di Kafka, come punto di partenza della storia): una sorta di movimento impossibile all’interno di una gabbia mentale, con la steady-cam che segue passo passo la protagonista, Emilie Duquenne. Quest’ultima, uscita direttamente da un casting di volti sconosciuti (eccetto quello di Olivier Gourmet, già “padre diabolico” di La promesse), è stata “allenata” per settimane a ripetere meccanicamente i gesti del suo personaggio (come raccontano i Dardenne nel press-book del film). Anche il montaggio delle scene, l’una incalzante sull’altra, va nel senso del respiro affannato, con un’anticipazione dei tempi che nega – agli autori come allo spettatore – qualsiasi compiacimento estetico. Il sonoro ambiente, senza musiche sovrapposte, gioca poi nella direzione di una spoliazione degli effetti, che impedisce la distrazione e concentra l’attenzione sui dettagli comportamentali, sui rumori di fondo. Infine la sceneggiatura, che non si concede alcun coup de théâtre, è finalizzata a registrare il presente, nient’altro che il presente. Nulla sappiamo di quello che Rosetta era, nulla sappiamo di quello che essa diverrà. [...] Ciò che conta è ciò che è. Ciò che dovrebbe essere serve solo a consolare gli illusi. E loro non vogliono una Rosetta possibile. Vogliono che esista. [...]
Luciano Barisone, Cineforum n. 385, giugno 1999 |
|
Critica (2): | |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| Jean-Pierre / Luc Dardenne |
| |
|