Sleep - Sleep
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Regia: | Warhol Andy |
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Cast e credits: |
Interpreti: John Giorno; prima: a cura della Film-makers’ Cooperative al Gramercy Arts Theater, 138 West 27th Street, New York, il 17 gennaio 1964 (un brano di 3’ è stato trasmesso alla Roundhouse, all’ICA e alla BBC-TV); B&N; origine: USA, 1963; durata: 42’. |
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Trama: | Nel 1965 e nel 1966 Warhol ha realizzato due serigrafie su plexiglas da Sleep (la prima si intitola Large Sleep, 165 X 91,5 cm., edita in 6 copie; la seconda Sleep, 56 X 30,5 cm., edita in 6 copie). |
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Critica (1): | Il film consiste in brani di 10 minuti – ognuno ripetuto due volte – che mostrano un uomo che dorme. La m.d.p. è puntata su varie parti del corpo. «Ho cominciato con qualcuno che dorme e la cosa andava avanti, avanti, avanti. In realtà ho filmato tutte le ore per questo film; ma ho falsificato il film definitivo per ottenere una migliore costruzione.
(A. Warhol, intervista, ottobre 1965) |
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Critica (2): | Quando va a vedere uno spettacolo, la gente non viene più coinvolta oggi. Un film come Sleep la coinvolge di nuovo. (Andy Warhol) |
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Critica (3): | I film di Andy Warhol nascondono la loro essenza artistica, esattamente allo stesso modo dei suoi quadri. Il loro aspetto sciatto e grezzo è affascinante. La continuità della sua opera in entrambi i mezzi di comunicazione è costituita dall’assoluto controllo di Andy Warhol sulla propria sensibilità – gradevole e ispida, infantile e commerciale, innocente e sofisticata come tutto nella nostra cultura. Il suo film Sleep, che dura otto ore, farà imbestialire lo spettatore impaziente o nervoso o coloro che sono troppo occupati per adeguare l’occhio e la mente a una percezione del tempo più lenta e distesa. Ciò che risulta noioso è la soppressione dell’incidente, del caso, della storia, del suono e del movimento della macchina da presa. Come in Vexations di Erik Satie, dove lo stesso brano della durata di venti secondi viene ripetuto per 18 ore, troviamo che quante più cose vengono soppresse tanto maggiore è la concentrazione sulle poche cose essenziali rimaste. La più piccola variazione diviene un evento, qualcosa su cui possiamo focalizzare la nostra attenzione. Quanto meno cose accadono sullo schermo, tanto più proviamo soddisfazione per un nonnulla e troviamo sufficientemente interessante il più piccolo movimento del corpo del dormiente o il minimo spostamento della macchina da presa. Il film non è tanto sul sonno quanto piuttosto sulla nostra capacità di vedere le possibilità di un aspetto del film portato fino alla sua estrema conseguenza logica – reductio ad absurdum per alcuni, indice di una nuova consapevolezza per altri. Andy Warhol vuole limitare il suo intervento al minimo e lascia che la macchina da presa e l’attore facciano l’opera. Ciò ovviamente non sminuisce le particolare qualità della sua personalità; poiché è Andy Warhol che tiene la macchina da presa ed è attraverso i suoi occhi che noi vediamo la scena. Questo intervento minimo spiega la rozzezza (esattamente il contrario dell’abilità tecnica hollywoodiana) e ci ricorda continuamente che stiamo guardando un film. Non corriamo alcun pericolo di perderci in un mondo artificiale. Non vi è, stranamente, alcuna finzione. In pittura, in questi ultimi cinquant’anni, abbiamo sviluppato una consapevolezza sempre maggiore dei limiti e delle caratteristiche peculiari di tale mezzo di comunicazione: trama della tela, bidimensionalità, pennellata e così via. Il film di Andy Warhol, dove siamo costantemente consapevoli del processo di produzione cinematografico, a tal punto che a volte vediamo perfino i fotogrammi terminali delle bobine che qualsiasi cineasta raffinato taglierebbe, ci dà la piena consapevolezza dei limiti e delle qualità del film stesso. Una storia più ricca di eventi distoglierebbe la nostra attenzione dal fatto che stiamo assistendo ad un film. Sleep, uno dei primi film di Andy Warhol, preannuncia il lavoro che egli sarà presto in grado di svolgere: fare film privi di contenuto dove vengono fedelmente riprese nature morte con il minimo di movimento necessario a mantenere desta l’attenzione dello spettatore non prevenuto. (Henry Geldzahler)
Adriano Aprà, Enzo Ungari, Il cinema di Andy Warhol, Arcana, 1971 |
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Critica (4): | |
| Andy Warhol |
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