Fino a prova contraria - True Crime
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Regia: | Eastwood Clint |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Larry Gross, Paul Brickman, Stephen Schiff, dal romanzo "Prima di mezzanotte" di Andrew Klavan; fotografia: Jack N. Green; musiche: Lennie Niehaus; montaggio: Joel Cox ; interpreti: Clint Eastwood (Steve Everett), James Woods (Alan Mann), Denis Leary (Bob Findley), Isaiah Washington (Frank Beachum), DianeVenora (Barbara Everett), Sydney Tamiia Poitier (Jane March), Lisa Gay Hamilton (Bonnie Beechum), Bernard Hill (Luther Plunkitt), Michael McKean (Padre Shillerman), Michael Jeter (Dale Porterhouse), Mary McCormack (Michelle Ziegler); produzione: Richard Zanuck & Lili Fini Zanuck; distribuzione: Warner Bros Italia; origine: Usa, 1998; durata: 115'. |
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Trama: | Steve Everett è un giornalista che è già stato cacciato dal New York Times per la sua incapacità di tacere di fronte ai potenti. È stato un alcolista e ha una famiglia di cui si occupa poco. È questo tipo d'uomo che si trova ad affrontare il caso di un condannato a morte accusato di aver ucciso una donna incinta. A partire da un'intervista, Everett comincia a riflettere sul caso e scopre una serie di incongruenze che lo porteranno a scagionare all'ultimo momento il condannato. |
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Critica (1): | A un certo punto di Fino a prova contraria, il regista-protagonista Clint Eastwood è nel bagno, sta a torso nudo davanti allo specchio, e si vede che nel Duemila avrà settant'anni: le spalle sono un poco arrotondate, la pelle sciupata ricade in pieghe sull'addome, la testa piccola e sguernita pare quella d'un uccello spiumato sopra il collo rugoso. È un tocco in più dell'ironia e autoironia con cui è costruito il personaggio, giornalista invecchiato e fallimentare, bevitore, donnaiolo, superfumatore, adultero, cattivo padre, eppure grandioso, seducente. L'unico ancora abbastanza intelligente, intuitivo e umano da accorgersi, quando gli viene affidato il reportage sull'esecuzione d'un giovane nero accusato d'aver ucciso una cassiera bianca durante una rapina, che il condannato è innocente; l'unico che senta il dovere di salvargli in poche ore la vita, di opporsi alla giustizia ufficiale e di ripristinare la verità. La corsa contro il tempo è parallela: in prigione, con grande dignità e religiosità, il condannato si prepara alla morte rivelando quanto anche l'esecuzione di Stato, ritmata da regole e riti, sia un dispositivo spettacolare; per le vie della città, con affanno e disordine, il giornalista compie la sua inchiesta-lampo, scopre la prova dell'innocenza, la esibisce al Governatore. (...) I due caratteri sono contrastanti, nella penombra che domina il film: il condannato nero è legatissimo alla moglie e alla figlia piccola che lo amano, il giornalista bianco è considerato dalla moglie con amara considerazione e delude costantemente la figlia piccola; l'uno è nobilmente patetico, l'altro ha continui comici scontri al giornale col suo direttore e col redattore capo; il morituro ostenta la propria innocenza, il reporter ha un perenne senso di colpa. Tra gli interpreti figurano la moglie, una ex moglie e la figlia bambina di Eastwood. Gran film, bello. Tra classicismo e sperimentazione, energia e romanticismo, il cinema di Clint Eastwood ha assunto una singolarità subito riconoscibile all'interno del sistema hollywoodiano. Fino a prova contraria, pur andando oltre, ne condensa benissimo le caratteristiche: suspense, problema sociale, ironia, e una regìa forte, controllata, che vuol negare il caos della realtà.
Lietta Tornabuoni, La Stampa, 5/1/1999 |
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Critica (2): | (...) È chiaro a chiunque abbia visto il film che (...) il bersaglio è piuttosto un intero sistema di rapporti sociale ed economici, di cui anche la pena capitale fa parte in modo funzionale alla sua autoriproduzione e alla sua prosperità. In particolare, sono nel mirino l'industria dell'informazione giornalistica, che nel ripetersi delle esecuzioni vede soltanto la periodica occasione di articoli "di colore" destinati ad alzare le vendite, e gli apparati religiosi istituzionali con il loro sfacciato cinismo, moralistico-vendicativo.
Una considerazione a parte merita la cruda freddezza con cui viene invece tratteggiato il sistema carcerario: la cupa asetticità con cui "protegge" i suoi `assistiti negli ultimi momenti che precedono l'esecuzione; la pseudo-partecipazione quasi famigliare con cui i carcerieri trattano Frank, contrapposta alla volgarità che sanno mostrare quando non sono in sua presenza. Un mondo perfetto per dare senso alla pena di morte come normale strumento del potere giudiziario: tutto vi si svolge secondo tempi e raccordi previsti, "oggettivi", collaudati, ripetibili a memoria e a volontà. Fuori, i movimenti di Everett si susseguono secondo un tempo della narrazione totalmente in soggettiva, magmatico, incontornabile, a tratti incalzante e spasmodico, a tratti spossato e quasi lacunoso; la continua giustapposizione fra le due dimensioni temporali imposta la prospettiva della rappresentazione sulla figura dell'incommensurabilità, e dunque di una necessaria incomunicabilità. Assolutamente giusto, perciò, il tocco conclusivo: la tortuosa rincorsa di Steve Everett si conclude con un telefono che squilla, a fianco della camera della morte, a cui segue una sospensione narrativa, un'ellissi che conferma la scissione fra il dentro e il fuori e che rimanda la conclusione del lungo montaggio alternato, su cui il film è costruito, ad un momento successivo. Non si tratta soltanto di mantenere intatta la tensione per preparare il secondo finale, ma di scegliere fra due scenari, e di schierarsi a favore di uno di essi, escludendo automaticamente l'altro, come unico luogo possibile d'incontro (l'accenno di un saluto, nella proverbiale laconicità eastwoodiana, è già un incontro): non sarà la salvezza per nessuno, ma è già qualcosa.
Adriano Piccardi, Cineforum n. 384, 5/1999 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Clint Eastwood |
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