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Draquila - L'Italia che trema


Regia:Guzzanti Sabina

Cast e credits:
Sceneggiatura: Sabina Guzzanti; fotografia: Mario Amura, Clarissa Cappellani; musiche: Riccardo Giagni, Maurizio Rizzuto; montaggio: Clelio Benevento; produzione: Secol Superbo e Sciocco Produzioni-Gruppo Ambra-Alba Produzioni-Bim; distribuzione: Bim; origine: Italia, 2010; durata: 93’.

Trama:Documentario-denuncia realizzato da Sabina Guzzanti per fare luce sui retroscena e gli scandali che hanno caratterizzato la discussa ricostruzione della città e della provincia di L'Aquila dopo il devastante terremoto che l'ha colpita nella notte tra il 5 e il 6 Aprile del 2009.

Critica (1):Il documentario d'intervento politico, almeno nella forma recente che è stata messa a punto dal suo «profeta» Michael Moore, rischia a volte di trasformarsi in un'arma a doppio taglio. Perché l'irruenza e la passione dell'autore possono soverchiare la forza e l'originalità dello sguardo e quello che ne risulta finisce per assomigliare troppo a un comizio. Che è una forma sacrosanta di comunicazione, a volte anche necessaria e benemerita, ma che non dovrebbe mai nascondersi dietro l'«oggettività» che la forza delle immagini porta con sé. Naturalmente, non tutti gli autori cadono in questa trappola. Ci sono finiti dentro spesso Joris Ivens, il già citato Moore e Oliver Stone ( nei lavori che ha fatto su Castro e su Chávez). Hanno saputo evitarla, tanto per fare altri nomi, Depardon, Wiseman e Spike Lee con il suo film sulle devastazioni dell'uragano Katrina in Louisiana.
La evita — la trappola della retorica e la tentazione del comizio — anche Sabina Guzzanti con Draquila. L'italia che trema (da venerdì nei cinema e poi fuori concorso a Cannes, con un titolo «vampiresco» proposto alla regista dai frequentatori del suo blog) dove maneggia con un pudore che però non fa sconti il terremoto dell'Aquila e i problemi della ricostruzione. Di tutti i recenti disastri nazionali, quello dell'Aquila è stato sicuramente il più «coperto» dal punto di vista mediatico. E non solo per le innumerevoli visite del presidente del Consiglio che tra le rovine abruzzesi ha anche ambientato il G8 ospitato dall'Italia. In tanti hanno voluto documentare quello che era avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009 e soprattutto quello che stava succedendo dopo quella data. Sabina Guzzanti non si è mossa certo tra i primi (nel film ironizza su tutti i vip che sono arrivati prima di lei), ma forse è quella che lo ha fatto con un progetto più preciso. O meglio, con la capacità di adattare quello che aveva in mente alla realtà che prendeva forma davanti ai suoi occhi.
Recuperando lo spirito delle inchieste sul campo, il film si trasforma da subito in una specie di diario in pubblico sul dopo-terremoto: le visite ufficiali delle autorità si intrecciano ai commenti dei terremotati, quelli felici dell'attivismo del Governo e quelli critici sui metodi polizieschi messi in campo; le interviste agli esperti scavano dietro le dichiarazioni ufficiali e gli atti pubblici; la vita quotidiana nelle tendopoli e negli alberghi fa i conti con il tempo che passa e le sorprese che riserva la cronaca politica e giudiziaria. Nelle scene iniziali del film, la Guzzanti non nasconde certo le sue idee politiche, ma man mano che questo «diario» filmato procede ha la capacità di mettere da parte le proprie certezze per far parlare i fatti e le persone, utilizzando in abile alternanza la propria (contenuta) presenza in video come intervistatrice e un più «oggettivo» commento fuori campo. E soprattutto lasciando che lo spazio delle riprese sia conquistato soprattutto dalla forza — spesso contraddittoria — delle facce e delle voci degli aquilani. Così che, conoscendo il protagonismo dei nostri comici, si finisce per ammirare ancora di più la capacità di silenzio della Guzzanti, anche davanti a frasi e gesti che avrebbero facilmente innescato repliche ironiche o sarcastiche. Ma è proprio così, lasciando scivolare lo spettatore dentro l'orrore di una situazione che nessuno mette in discussione, tanto meno una balbettante opposizione (perché si pensa solo a costruire nuovi appartamenti e nessuno ha un piano per far rivivere la città lesionata? perché nessuno dice che in quelle case nuove non si può nemmeno appendere un chiodo?), è esattamente così che Draquila assume pian piano una forza che va ben al di là delle pur inquietanti domande a cui le offensive risate dei faccendieri edili e le granitiche certezze dei paladini della ricostruzione si guardano bene dal rispondere. Una forza che nessun comizio può avere e che invece possiede lo sguardo sulla realtà che la Guzzanti ha il coraggio e la forza di mostrare. Soprattutto quando quella realtà assomiglia sempre di più a un incubo orwelliano.
Paolo Mereghetti, Il Corriere della sera, 4 /5/2010

Critica (2):Ed ecco Draquila: un film che non fa ridere nonostante la nota e feroce capacità di satira della regista e il titolo apparentemente ironico. Un film che non fa piangere nonostante il tema e il sottotitolo 'L'Italia che trema'. Un film sul potere e non sul dolore. Un film duro, a volte sarcastico, ma strettamente logico che porta avanti come un treno la sua tesi. Ovvero: l'Aquila è un laboratorio; un test che dimostra come si possano cambiare i patti sociali, alterare i principi costituzionali e di fatto sparare allo Stato col silenziatore, in modo che i cittadini non se ne accorgano. Il tutto spiegato stavolta senza urli faziosi, ma con raggelata pacatezza. Ed è piaciuto ai selezionatori di Cannes questo linguaggio secco a ciglio asciutto, con una punta acida, da sana scuola Michael Moore: stessa voce fuori campo, stesse domande tanto pertinenti da diventare impertinenti, stessi siparietti grafici con fatti e numeri, stesso montaggio serrato di testimonianze, opinioni e facce diverse, ma tutte travolte dal soffio della storia.
Uomini e donne in tendopoli militarizzate costretti a seguire la dieta dell''attendato' (no alcol, né caffè, né Coca-Cola); i senzatetto con nuova casa assegnata dal premier innamorati persi di Berlusconi; il vecchio professore che fa resistenza barricandosi nel suo appartamento: "Se quelli ti pigliano sei finito"; l'urbanista, teorico delle newtown, che spiega come un centro commerciale è molto meglio di un centro storico e una feroce sequenza sulla tenda del Pd vuota di uomini ma con molta spazzatura e avanzo marcito di panino con frittata.

Niente sinistra, Protezione civile militarizzata e un premier che spopola. Cominciamo dalla solitudine del panino?
"Troppo splatter, tutto verde e muffo. Questo è un film rigoroso, il panino non l'abbiamo inquadrato".

Rigoroso e spietato. J'accuse di 93 minuti che va ben oltre L'Aquila...
"Questa è l'intenzione. L'Aquila è una cartina di tornasole del malessere del Paese intero. Ho visto tutti gli ingredienti della nostra crisi: l'assenza di un'opposizione; il dilagare della propaganda; la speculazione; la criminalità organizzata; l'indifferenza della gente; l'impotenza di chi cerca di far qualcosa e resta solo; lo Stato parallelo che nasce mentre quello vero neanche se ne rende conto. È un film su come si costruisce una dittatura".

Anche Viva Zapatero era un film sull'arroganza del potere. Cosa cambia qui?
"Noi: popolo italiano. In cinque anni siamo cambiati molto. Non si vede più una capacità di reazione, si è affievolito il ricordo della vita democratica, se ne è persa finanche la nostalgia. Si reagisce all'indignazione adattandosi, ci si costruisce una vita parallela, piccole strategie di resistenza. È così che se all'Aquila ti dicono 'questo lo decide il capocampo', non ti viene da rispondere: 'Ma chi è il capocampo? Chi lo ha nominato? Che rappresenta? In base a cosa è pubblico ufficiale?'. Si obbedisce come se fossimo finiti tutti nel club di Topolino".

Che cosa le fa più paura in Berlusconi?
"A me non fa nessuna paura Berlusconi. Penso che sia uno squalo che come tale mangia tutto ciò che trova intorno. Non ho niente contro gli squali, sono creature come le altre, basta che stiano al loro posto in fondo all'Oceano. Se invece uno squalo passeggia in via del Corso, mi preoccupo".

Spiegazione della metafora?
"Berlusconi non è arrivato al potere con strumenti democratici, perché in democrazia non si può fare il premier controllando tv e giornali e gestendo in prima persona la propaganda. La cosa che più mi ha colpito all'Aquila è quanto la televisione sia stata più forte del terremoto. La gente non distingue più tra realtà e finzione, anzi la realtà televisiva è spesso più forte di quel che vedono e sentono. Donne raccontavano di aver imparato dai loro nonni a fuggire alla prima scossa, ma il 6 aprile sono rimaste nelle loro case, solo perché il telegiornale le aveva rassicurate. Un uomo ha perso due figli perché quella notte li ha rimessi nei loro lettini, convinto dai media che non ci fosse alcun pericolo. Terribile dirlo, ma la propaganda all'Aquila è stata più forte degli antenati e persino dell'istinto di sopravvivenza. Quando sono le gambe prima ancora del pensiero a farti scappare se la terra trema. È chiaro adesso di che potere sto parlando?".

Chiaro. Ma allora come mai nel film ha fatto parlare tanti berlusconiani pazzi del premier che mostravano la meraviglia della casa assegnata con tanto di pentole e spumante in frigo?
"Perché non sono faziosa come si dice. E volevo capire e ascoltare. Capire come si possa rinunciare a una bellissima città, fatta di persone e monumenti, di vita e memoria per sostituirla con diciannove quartieri senz'anima, spuntati dal nulla, ai bordi di una strada statale, lontani fra loro che aspettano solo un centro commerciale. Un tempo mi era impossibile anche pensare di parlare con uno che vota Berlusconi. L'Aquila mi ha cambiato, voglio parlare con tutti. E tutti avevano una gran voglia di parlare. Nessuna intervista è durata meno di un'ora. Spesso si dilungavano fino a tre, quattro ore. Ancor più spesso me ne andavo io, se no si faceva notte. È così che sono arrivata a 700 ore di girato".

Ma non la riconoscevano? Non la identificavano come un nemico?
"Non mi riconosceva quasi nessuno. Non apparendo su Canale 5, ho questo vantaggio. Mi chiedevano solo: 'Lei di che televisione è?'. Io rispondevo: 'Nessuna, stiamo facendo cinema'. E loro: 'Brava! E quando va in onda?'. Non c'era verso. Persino ai posti di blocco i militari insistevano: 'Va bene cinema, ma cinema di che rete?'".

Nelle note di regia però lei ha scritto: "Ho scoperto di amare questo Paese". Perché?
"Perché come l'Aquila questo Paese lo stiamo distruggendo. E come spesso accade, ti accorgi di quanto ami qualcuno e di quanto sia prezioso, solo quando lo stai perdendo. Oddio, non sarò mica diventata patriottica!".
(Intervista a Sabrina Guzzanti di Alessandra Mammì, L’Espresso, 29/4/2010)

Critica (3):

Critica (4):
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