Fish Tank - Fish Tank
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Regia: | Arnold Andrea |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Andrea Arnold; fotografia: Robbie Ryan; montaggio: Nicolas Chaudeurge; scenografia: Helen Scott; costumi: Jane Petrie; interpreti: Katie Jarvis (Mia), Michael Fassbender (Connor), Kierston Wareing (Joanne), Rebecca Griffiths (Tyler), Harry Treadaway (Billy), Jason Maza (Liam), Sydney Mary Nash (Keira), Charlotte Collins (Sophie), Brooke Hobby (London), Chelsea Chase (Andree); produzione: Bbc Films, Uk Film Council, Limelight, Kasander Film Company; distribuzione: Onemovie; origine: Gran Bretagna-Olanda, 2009; durata: 124’.
Vietato 14 |
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Trama: | La 15enne Mia, ribelle, problematica e amante della musica hip-hop, viene espulsa dalla scuola e allontanata dai suoi amici, ma la sua esistenza potrebbe migliorare grazie a Connor, il nuovo compagno di sua madre... |
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Critica (1): | Non c'è bisogno di scomodare Harmony Corine o Matteo Garrone. Il «non luogo» maleodorante e tossico da petrolchimico della periferia degradata e subumana, quello che si piazzerà immancabilmente tra i «dieci peggiori posti urbani mai immaginabili in hit parade», dove i pesci dei fiumi rigonfi di scarichi nascono con tre teste e otto occhi sbilenchi, e gli umani presto li copieranno, è diventato il set privilegiato dei film no global con ambizioni d'arte. Basta pensare al decano del «realismo che sa di latrina», a Mike Leigh, nel caso di questo film britannico in gara, Fish Tank (pesce corazzato, appunto), opera seconda di Andrea Arnold, beniamina di Jacob-Fremaux. Qui, oltre al non luogo dei condomini osceni, regna il non corpo, la non lingua, la gesticolazione psicotica e ossessiva, i non vestiti sostituiti da grigie felpe e intimi macchiati, una geografia dinamica degli arti che non segue più il ritmo oppressivo ma regolare della catena di montaggio, ma quello asincronico e asimmetrico della robotica, della disoccupazione, dei tempi vuoti davanti al lavoro o al tele-ipnotizzatore, della rissa o della fuga dai poliziotti e dagli assistenti sociali, perché sei senza permesso di soggiorno o zingaro o freak o disadattato. Dal rock al punk all'hip hop, ritmi black, ma da fuga ai confini della realtà, non più da combattimento. Se non a parole.
È proprio la storia di una rapper in erba, Mia, 15 anni ribelle bianca e ringhiosa (l'attrice esordiente Katie Jarvis ne ha 17, perché la censura europea è più ipocrita e abile di quella iraniana) che, senza amici, tranne quelli che prende a testate, senza scuola, con una piccola sorellastra malefica e una madre quasi coetanea, tutto sesso e gin, senza padre (si scoperà l'uomo di mamma, una notte, per cancellarne l'assenza in un solo, veloce orgasmo ubriaco), ha un unico sogno. Trasformarsi in tigre. Ecco perché la sua scalata alla danza si fermerà, il giorno dell'audizione agognata, di fronte a probabili lapdancer che hanno già sotterrato le loro asce di guerra per regalare pezzi di corpo a occhi banali, senza neanche combattere. Mandando tutti a quel paese, perfino la rielaborazione di «Sognando California», che aveva preparato in un set sensualmente «a levare». E arriverà quasi a divorare la piccola figlia del fidanzato di mamma, quando lo scoprirà sposato e con prole, invece di quel che credeva il suo primo e unico amore, tenero e sexy. E piangerà di disperazione per non essere riuscita a liberare mai dalla catena il malandato ronzino bianco (17 anni...) di un accampamento di vicini di casa rom. Sempre pronta però all'avventura on the road con il padroncino del cavallo, via in Galles, libera e felice perché meglio una fuga zingaresca della minacciata «scuola di rieducazione»...
Roberto Silvestri, Il Manifesto, 15/5/2009 |
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Critica (2): | Squallidi palazzoni in mezzo a sterpaglie desolate nelle periferie cittadine, la televisione sempre accesa su sguaiataggini e lussi volgari, famigliole smembrate dove ognuno è solo e infelice per conto suo. Per i giovani, giornate incattivite dall'inquietudine e dalla paura, con il presentimento di un futuro incatenato al presente, immobile e vuoto. Appassionata di squallori urbani e di vite devastate, Andrea Arnold, una bella signora dai lunghi capelli biondi e con un baschetto nero in testa, porta in concorso il suo secondo lungometraggio, Fish Tank, dopo aver vinto qui nel 2006 il premio della giuria con l'inquietante Red Road. In quel film la vita perduta era quella di una donna che vuole vendicarsi dell'uomo che guidando ubriaco le ha ucciso marito e figlio, qui la vita desolata e rabbiosa è quella di una quindicenne che si dibatte nell'assenza di affetti, tra coetanei che la respingono, nessuna voglia di scuola, birra liquori e pasticche e il solo sogno che ragazze come lei pensano a portata di mano: diventare una ballerina di hip hop, come le adolescenti italiane sognano di diventare veline.
Mia, l'attrice esordiente Katie Jarvis, vive con la sorellina e la giovane madre avida di vita (Kierston Wareing, la bionda nervosa di "In questo mondo libero" di Loach), rapporti villani e duri: è un piccolo mondo di sole donne inquiete e infelici, fino a quando arriva il nuovo uomo della mamma, (Michael Fassbender) bello, gentile, paterno: basta una presenza maschile e tutto sembra possibile. Ma la vita è dura per le quindicenni abbandonate a se stesse, ferite dall'insicurezza e da un mondo che aspetta solo di distruggerle. Con grande talento, la regista ci porta nei luoghi dove la vita stessa è periferia, fa di Mia il ritratto di tante adolescenti irregolari e fastidiose, di cui, ovunque, gli adulti non vedono la sofferenza, il bisogno di affetto, la voglia di felicità e di normalità.
Natalia Aspesi, La Repubblica, 15/5/2009 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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