Effi Briest - Fontane Effi Briest
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Regia: | Fassbinder Rainer Werner |
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Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo omonimo di Theodor Fontane; sceneggiatura: Rainer Werner Fassbinder; fotografia: Dietrich Lohmann, Jürgen Jürges; musiche: Saint Saëns, Beethoven, Spohr; montaggio: Thea Eymèsz ; scenografia: Kurt Raab; costumi: Barbara Baum; interpreti: Hanna Schygulla (Effi Briest), Wolfgang Schenck (Baron Geert von Innstetten), Karlheinz Böhm (Wullersdorf), Ulli Lommel (Maggiore Crampas), Ursula Strätz (Roswitha), Irm Hermann (Johanna), Lilo Pempeit (Luise von Briest, madre di Effi), Herbert Steinmetz (Herr von Briest, padre di Effi), Barbara Valentin (Marietta Tripelli), Karl Scheydt (Kruse), Theo Tecklenburg (Pastore Niemeyer), Eva Mattes (Hulda), Andrea Schober (Annie), Peter Gauhe (Dagobert); produzione: Tango-Film; origine: Germania Occidentale, 1973 ; durata: 141'. |
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Trama: | Effi, sedicenne viene chiesta in sposa dal barone Innstetten assai più anziano di lei, ma che le potrà garantire un avvenire tranquillo ed agiato. I due coniugi vivono in una splendida villa dove Effi avverte gravoso il peso della solitudine, finché non conosce l'affascinante maggiore Crampas con il quale ha una breve relazione. A distanza di sei anni, casualmente, il barone apprende del tradimento e costretto dal rigido codice etico della morale borghese allora imperante impone al maggiore la sia pur tardiva riparazione dovutagli. Così lo uccide in duello e ripudia Effi. |
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Critica (1): | (...), Effi Briest è uno dei più importanti esempi di film "storico-politici" apparsi in questi ultimi anni, ed è anche un esempio eccezionale di come sia possibile operare correttamente, in termini estetico-linguistici, una "trasposizione" dal testo letterario (in questo caso il romanzo popolare dell'epoca bismarkiana scritto da Theodor Fontane nel 1895) al testo filmico senza tradirne la sostanza, anzi rivalutandone la storia in una chiave politico-sociale di grande attualità. Effi Briest, sposa a un uomo di molti anni più anziano di lei che ha la vocazione per la legalità e che considera la giovane moglie un animale domestico, tenta l'evasione sentimentale con il maggiore Crampas che a confronto del consorte le appare un campione di umanità e di spiritualità libertaria. Ma sarà un'evasione breve: l'adulterio sarà scoperto dal marito, Crampas morirà in duello, Effi Briest sarà ripudiata e il marito, dopo il divorzio, otterrà di educare la figlia, frutto di un matrimonio infelice e dove già il padre coltiva il verme dell'indifferenza e dell'ipocrisia. Effi Briest è la lunga ma anche breve storia di una repressione e di un'oppressione condotte senza riserve e con protervia contro una donna giovanissima, appunto Effi Briest, sposa condizionata di un alto funzionario che vegeta nella cupa società di Bismark; la storia anche di una rivolta silenziosa e impotente contro una esistenza miserabile che si trascina senza la luce non solo dell'amore ma anche dell'amicizia. Prima di morire di dolore Effi Briest riuscirà a raggiungere un barlume di coscienza; capirà la vocazione "educatrice" del marito ("non si può cambiare la propria natura" le dirà in un momento di sincerità), la sua meschinità e la sua violenza di uomo, imparerà a odiare la "virtù" di una società borghese più del suo stesso "peccato" di adulterio. Tuttavia, si tratterà di una coscienza fragile, tarlata dalla morale religiosa e dal bovarismo, da quella sua predisposizione al martirio e al perdono. Il film non è soltanto uno splendido saggio sui vuoti scavati da una "educazione" reazionaria e nefasta, ma - come lo si accenna in una didascalia iniziale - è anche un saggio sulla violenza del sistema, sulla sua sua circolarità, sulle azioni e sulle reazioni individuali che si consumano in un contesto sociale che finisce per paralizzare la coscienza e la volontà dell'uomo. Si pensi, per esempio, alle dichiarazioni finali di sconfitta a cui si abbondonano i repressori di Effi Briest, il marito e i suoi genitori. Le influenze culturali di Fassbinder sono evidenti: Dreyer, Bresson, Straub, anche se, di quest'ultimo, coglie soltanto uno stilema, la fissità dell'inquadratura. Ma l'impianto stilistico ha una sua indubbia originalità d'impostazione, un rigore critico oggi assai raro. La "lunghezza" del film, la persistenza e la "lentezza" dell'inquadratura non sono altro che l'immagine metaforica dell'immobilità del tempo e della storia, di una storia che divora se stessa e ogni movimento dialettico al suo interno. Il discorso di Fassbinder sulla violenza - che si fa strada all'interno di un linguaggio unidimensionale dove non hanno spazio sequenze autoritarie "emergenti" - assume una valenza sociale specifica e inesorabile: la rottura della circolarità vittima/carnefice potrà verificarsi soltanto con azioni radicali e tali da infrangere il processo di alienazione per "coinvolgimento". Quasi come in un dramma di Beckett, i personaggi attendono immobili la propria fine, prigionieri di un universo vischioso, incapaci di emanciparsi e da un contesto che ci appare assolutamente determinato, e dalla repressione sociale. Ma il film é anche un atto d'accusa impietoso contro chi evita di assumere senza equivoci le proprie responsabilità, contro chi vuole adagiarsi nel ruolo della vittima: "Effe Briest muore - sottolinea Fassbinder - perché ha vissuto in una situazione sbagliata".
Roberto Alemanno, Cinema Nuovo n. 245 gennaio-febbraio 1977 |
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Critica (2): | [...]Trasposizione sullo schermo del romanzo di Theodore Fontane "Effi Briest", pubblicato nel 1895. Un romanzo di cui Thomas Mann disse: "Una biblioteca della letteratura romanzesca basata sulla scelta più rigorosa - dovesse anche restringersi a una dozzina di volumi, a dieci, a sei - non potrebbe essere priva di "Effi Briest"". È una di quelle opere classiche che rimangono perennemente moderne e vitali. Al regista, poi, non potevano sfuggire le molteplici affinità che legavano il suo stile e la sua ispirazione al lavoro di Fontane.
Anzitutto, la trama, che presenta un tipico "caso di vita" melodrammatico: una donna infelicemente sposata, un tradimento, un divorzio e la morte dell'eroina per crepacuore dottoforma di "mal sottile". In secondo luogo, il tono della narrazione: ironico, ma di una ironia olimpica e saggia, che non si fa beffe di alcun personaggio, con uno stile privo di grandi colpi di scena e di momenti forti. In terzo luogo, l'atteggiamento verso i protagonisti, che non sono espressioni di una idea, ma di una ambiguità riconducibile ai vari processi sociali: a cominciare dalla stessa Effi, sconfitta e insieme vittoriosa, convinta della necessità di appartenere a qualcuno ma sempre sfuggente al suo marito-padrone (si tratta di personaggi inventati dal loro autore con un amore profondo e composto).
E ancora, il rapporto tra scrittura e pubblico: Effi Briest è un testo "perfetto" (come sosteneva Thomas Mann) perché provoca la commozione del lettore attraverso la contemplazione intellettuale del suo significato; è un testo "libero" perché consente un gioco aperto tra il punto di vista dell'autore, quello dei personaggi e quello (da inventare) del lettore; è un testo popolare, capace di stimolare anche l'adesione sentimentale del pubblico, come testimonia la fama di cui il libro gode da quasi un secolo in tutta Europa.
Come si vede, Fassbinder non poteva non intuire l'esistenza di un profondo rapporto tra ciò che stava tentando al cinema e ciò che Fontane aveva realizzato in letteratura con Effi Briest. Perciò la sua dichiarata intenzione nel compiere la trasposizione del romanzo in immagini era di "filmare il romanzo" (non la storia) cosicché il pubblico del cinema "potesse leggere il film". La conseguenza è che Fontane Effi Briest (come suona il titolo originale del film) è eccezionalmente interessante anzitutto come esperimento linguistico. Quanto al contenuto, lo riassume direttamente la didascalia iniziale: "Fontane Effi Briest, ovvero: molti che intuiscono le loro possibilità e i loro bisogni nondimeno accettano mentalmente l'ordine esistente attraverso le loro azioni, e di conseguenza lo rafforzano e lo confermano completamente".
Il punto è: a parte i nudi fatti, come restituire nel film la ricchezza del romanzo che è una ricchezza letteraria di atmosfere e di progressione psicologica? "Quando si legge un libro, si creano - come lettori - le proprie immagini, ma quando una storia viene narrata sullo schermo in un film, allora è concreta e realmente "completa". Non si è creativi quando si fa parte di un pubblico cinematografico ed è questa passività che ho cercato di contrastare in Effi Briest". In altre parole: il cinema ha un quoziente di oggettività molto maggiore che la letteratura; di conseguenza provoca un coinvolgimento inconscio più ampio. Bisognerebbe garantire allo spettatore uno spazio autonomo parallelo a quello del lettore di romanzi.
Ma non sono, come sostiene Cesare Cases (Essai, 5 giugno 1980 in un saggio specificatamente incentrato sul rapporto libro-film), né il bianco e nero, né le enfatiche dissolvenze sul bianco, né le didascalie ottocentesche a fornire la nuova misura del godimento estetico. Questi espedienti fondamentalmente intellettuali concorrono certo a creare una distanza, ma sono irrimediabilmente freddi e riducono il film a un piacere secondario: e infatti Cases si trova costretto ad ammettere che bisognerebbe "fare l'esame" agli spettatori prima del film, ipotizzando inoltre che il film sia stato un insuccesso commerciale. Invece Fontane Effi Briest fu il più grosso incasso in un film tedesco nel 1974.
La chiave per capire la riuscita formale di Fontane Effi Briest è un'altra. Si tratta dell'unico film in costume (meglio sarebbe dire "non contemporaneo") diretto da fassbinder: la conseguenza - che può sembrare banale ma non è per questo meno vera - è che la distanza della storia è già tutta contenuta nella riproduzione della società di fine Ottocento operata dal film. Ciò che di solito il regista si trova costretto a svelare come artificio della sua messa in scena, in Fontane Effi Briest si produce come naturale distacco storico da una cultura del passato.L'anelito romantico di Effi, intrappolato nelle maglie della convivenza, mai urlato ma sofferto e pensato, è quello di tutte le eroine di Fassbinder: solo che qui la drammatica contraddizione è fin dall'inizio tutta interna al personaggio. Perciò non è questione di mostrare, ma semplicemente di illustrare ("leggere il film").
Il paradossale risultato di tutto questo è che Fontane Effi Briest appare come il film più naturale e "vero" che il regista abbia mai girato. Perché non ha dovuto rielaborare la convenzione del romanzo classico (si pensi a Barry Lyndon di Kubrick o alla Marchesa von... di Rohmer), ma l'ha trovata già perfettamente rispondente alla sua filosofia della rappresentazione. Certamente questo può essere spiegato in modo meno astratto, come costante presenza di alcune linee ispiratrici nella cultura tedesca; ed è proprio a proposito di Fontane Effi Briest che Fassbinder ha detto: "Faccio film tedeschi per un pubblico tedesco".
Nel corso del film, che rispecchia in linea di massima lo sviluppo del romanzo, egli ha comunque prodotto anche fertili incroci tra il codice letterario e quello cinematografico. Alludo in particolare alla splendida sequenza che compendia i capitoli XXVII e XXVIII del libro (descrivono il primo la crisi ideologica e morale di Innstetten dopo aver scoperto il tradimento di Effi, l'altro il duello con Crampas). Fassbinder sconvolge l'ordine rettilineo della narrazione con un montaggio in parallelo del dialogo fra Innstetten e l'amico Wüllersdorf e del viaggio di Innstetten a Kessin per affrontare Crampas. La macabra ineluttabilità della logica di Innstetten è resa con una compattezza e con una lucidità magistrali: non con il pedissequo ordine del tempo reale, ma con la sinteticità espressiva propria del cinema. Questa sequenza potrebbe benissimo essere il simbolo di tutto il cinema di Fassbinder, della sua capacità di farci "sentire" un dramma pur anticipandone la soluzione fin dall'inizio.
Davide Ferrario, Rainer Werner Fassbinder, L'Unità/Castoro, 1995 |
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