Rachel sta per sposarsi - Rachel Getting Married
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Regia: | Demme Jonathan |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Jenny Lumet; fotografia: Declan Quinn; musiche: Zafer Tawil, Donald Harrison Jr.; montaggio: Tim Squyres; scenografia: Ford Wheeler; arredamento: Chryss Hionis; costumi: Susan Lyall; effetti: Eric J. Robertson, Brainstorm Digital; interpreti: Anne Hathaway (Kym), Rosemarie DeWitt (Rachel), Mather Zickel (Kieran), Bill Irwin (Paul), Anna Deavere Smith (Carol), Anisa George (Emma), Tunde Adebimpe (Sidney), Debra Winger (Abby), Jerome LePage (Andrew), Beau Sia (Norman Sklear), Dorian Missick (Dorian Lovejoy), Kyrah Julian (sorella di Sidney), Carol Jean Lewis (madre di Sidney), Herreast Harrison (nonna di Sidney), Gonzales Joseph (cugino di Sidney), Paul Lazar (Al), Donald Harrison Jr. (se stesso), Robert W. Castle (Giudice Castle), Fab 5 Freddy (se stesso); produzione: Clinica Estetico, Marc Platt Productions; distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia; origine: Usa, 2008; durata: 113’. |
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Trama: | Quando Kym (Anne Hathaway) torna a casa della famiglia per il matrimonio della sorella Rachel (Rosemarie Dewitt), porta con sé una lunga storia di crisi personali, conflitti familiari e tragedie. La grande quantità di amici presenti al matrimonio della coppia si è riunita per un felice weekend di feste, musica ed amore, ma Kym, con le sue taglienti frasi secche e un’inclinazione naturale a provocare dei drammi, rappresenta un catalizzatore per le tensioni a lungo sopite nelle dinamiche familiari. Pieno di personaggi ricchi ed eclettici che rimangono un marchio di fabbrica dei film di Jonathan Demme, Rachel Getting Married dipinge un ritratto di famiglia toccante, sensibile e talvolta esilarante. Il regista, la sceneggiatrice esordiente Jenny Lumet e un cast stellare esprimo il dramma di queste persone complesse ma affascinanti con un grande affetto e generosità di spirito. |
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Critica (1): | Presentato in concorso a Venezia 65, Rachel Getting Married è un film come mai te lo aspetteresti da una produzione americana: personaggi spiazzanti che ci evitano comportamenti meccanici e preconfezionati, guizzi di sceneggiatura che giungono a spezzare gli equilibri, una ricchezza di sentimenti ed emozioni che donano agli eventi e ai loro protagonisti un'umanità che non può non toccare. Anche sotto il piano espressivo il film di Demme si mantiene anticonvenzionale, non tanto per questo stile tra l'amatoriale e il documentaristico con cui viene dipinto il dramma familiare, ma per la scelta inconsueta di mostrare ciò che accade in tutta la sua interezza, lasciando lavorare poco le forbici del montaggio. Così i conflitti hanno il tempo di mettersi in moto nelle lunghe conversazioni che compongono il film e di deflagrare in modo imprevedibile (si guardi a tal proposito la scena del confronto tra Kym e sua madre) anche grazie al lavoro di improvvisazione dell'ottimo cast. Quello di Demme è un realismo che tende a immergere lo spettatore nell'universo dei personaggi, in ciò che provano e negli intrecci che li collegano in un racconto corale che trova in Robert Altman un maestro prezioso a cui ispirarsi.
Jonathan Demme si intrufola con camera a mano nella vita privata di una famiglia con parecchi conti insospeso, riuscendo a tirarne fuori la spontaneità, cosa non facile in questo genere di film che risultano sempre un po' fasulli. In questo modo testimonia la competizione tra le due sorelle, pronte a rinfacciarsi le disparità d'affetto nel rapporto col padre e nell'assenza della madre da tempo lontana, gli eventi tragici legati al passato che hanno segnato lo sgretolamento della pace familiare, le colpe e i rimorsi che logorano e velano di tristezza gli occhi dei protagonisti del banchetto nuziale.
Massimo Borriello, moviepalyer |
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Critica (2): | Negli ultimi anni ha realizzato perlopiù documentari, peraltro interessanti e di valore, ma adesso Jonathan Demme (tra i suoi successi Qualcosa di travolgente, Il silenzio degli innocenti, Philadelphia), torna al cinema di finzione con un'opera che ha il sapore del miglior cinema indipendente americano e lo sguardo di un cinema d'autore che sa arrivare al pubblico. All'ultima edizione del Festival di Venezia, dove era in concorso, Rachel sta per sposarsi è stato tra i film meglio accolti, e a ragione. È infatti una pellicola che sa dare slancio e freschezza a una situazione narrativa non nuovissima (l'esposizione di dinamiche tra i personaggi durante una riunione di famiglia) e che, in altre mani, non avrebbe raggiunto lo stesso grado di naturalezza e non avrebbe saputo offrire una così efficace attenzione ai dettagli emotivi e di costume.
Il film racconta il ritorno a casa della ex modella Kym (Anne Hathaway nella prova più sentita e difficile della sua carriera), dopo nove mesi passati in una clinica a disintossicarsi da alcol e droghe. L'occasione è quella del matrimonio di sua sorella Rachel. Mentre parenti e invitati sono impegnati nelle prove della cerimonia, tra le due sorelle, ma anche tra Kym e sua madre, riemergono una serie di tensioni non sopite, che hanno certo a che fare pure con l'episodio della morte di un fratellino, di cui Kym fu involontariamente responsabile. Il matrimonio porterà a una momentanea riconciliazione, ma il regista non bara e realisticamente lascia che alcuni nodi rimangano irrisolti.
Da una sceneggiatura di Jenny Lumet, figlia del grande Sidney, Jonathan Demme ha tratto un film libero e ispirato sulla debolezza e fragilità umana. Un'opera carica di emozioni autentiche e spesso pervaso dalla musica live di musicisti lasciati liberi di improvvisare sul set, come, entro certi limiti, gli attori. Centrale è il ruolo di Kym, ma la pellicola assomiglia da vicino a un'opera corale alla Altman, per lo spazio riservato anche alle figure minori, e nell'analisi sofferta e realistica dei personaggi ricorda anche certo cinema di Cassavetes. La camera a mano restituisce un'immediatezza quasi da documentario alla pellicola, seguendo molto da vicino gli attori e catturandone ogni sfumatura. Anne Hathaway lascia alle spalle ruoli più leggeri e si reinventa attrice drammatica completa, sensibile, senza alcun vezzo. Bello il suo confronto con Debra Winger, tornata al cinema dopo alcuni anni, magnifica interprete di una madre ambigua e distante. Jonathan Demme ci dà un ulteriore saggio del suo talento con un'opera viva e toccante, quasi sperimentale nella sua imprevedibilità, una di quelle che rendono grande il cinema americano.
Michele Ossani, Il Sole-24 ore, 28/11/2008 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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