Risate di gioia
| | | | | | |
Regia: | Monicelli Mario |
|
Cast e credits: |
Soggetto: Suso Cecchi d'Amico, tratto dai racconti di Alberto Moravia Le risate di gioia e Ladri in chiesa; sceneggiatura: Age, Scarpelli, Suso Cecchi d'Amico, Mario Monicelli; fotografia: Leonida Barboni; musiche: Lelio Luttazzi; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Totò (Umberto Venazzù detto Infortunio), Anna Magnani (Gioia detta Tortorella), Ben Gazzara (Lello), Fred Clark (l'americano), Edy Vessel (Milena), Mac Roney (il guidatore della metropolitana), Toni Ucci (lìamico di Milena), Carlo Pisacane (il nonno di Gioia), Fanfulla (Spizzico); produzione: Silvio Clementelli per Titanus; distribuzione: Cineteca Griffith; origine: Italia, 1960; durata: 106'. |
|
Trama: | "Tortorella" è una generica di Cinecittà, che per vivere fa delle piccole parti, ma si dà delle arie da diva. L'ultimo giorno dell'anno riceve un invito a cena da una comitiva di conoscenti che, essendo in tredici, vogliono evitare il numero infausto. Quando l'arrivo di altri ospiti rende inutile la sua presenza, Tortorella è piantata in asso. Per non restare sola s'accompagna ad Umberto, un ex attore di infimo ordine, che le fa la corte. Questi però ha promesso la sua collaborazione a Lello, un borsaiolo, che vuole approfittare della confusione della notte di San Silvestro per tentare qualche colpo. Accade così che la donna, che non sa nulla di tutto questo, si trovi immischiata nelle operazioni di Umberto e Lello. Quest'ultimo per evitare che Tortorella scopra la verità, finge di essere innamorato di lei, e la donna finisce col ricambiare sinceramente il simulato affetto. Ma il suo inopportuno intervento manderà regolarmente all'aria gli ingegnosi disegni del tagliaborse e del suo rassegnato compare. All'alba i tre vengono cacciati in malo modo da una casa patrizia, nella quale s'erano introdotti. Umberto vorrebbe aprire gli occhi a Tortorella, ma la donna è troppo innamorata per poter ammettere che Lello si burli di lei. Quando lo vede entrare in chiesa, lo crede in preda al rimorso: lo sorprende invece nell'atto di rubare una collana preziosa da una statua della Vergine. Scoperto il furto, ella s'addossa la colpa del mariuolo e finisce in prigione. Uscirà il giorno di Ferragosto: Umberto, il suo vecchio amico e corteggiatore, sarà lì ad attenderla. |
|
Critica (1): | La storia di una notte romana di avventura cui segue un'alba squallida è chiaramente ispirata a film come Il bidone e, soprattutto, La dolce vita. C'è l'americano ubriaco, ci sono le corse in macchina su e giù per la capitale, la festa esclusiva per i nobili stranieri e quelle più popolari in cui basta pagare per partecipare. La trovata di Monicelli è quella di promuovere a protagonisti due personaggi fuori dal loro tempo, che cercano di adattarsi al clima del benessere ma che restano legati a valori ormai superati. Il recital che improvvisano dinanzi alla folla schiamazzante del locale notturno (uno dei più belli mai realizzati da Totò, che ormai vecchio sembra volersi ricordare del suo passato nell'avanspettacolo) è una specie di atto di "diversità": alle scemenze del presentatore e alla pochezza del varietà sanno opporre un numero di gran classe (che ovviamente annega nell'ansia di divertirsi degli astanti). Anche la sequenza finale - la sceneggiata della Magnani che si finge miracolata con Totò che fa da spalla - è qualcosa di più della sfortunata applicazione alla vita della scena che la Magnani stessa ha interpretato a Cinecittà all'inizio (satira dei mitologici di successo, con un regista un po' Blasetti, un po' Bragaglia, un po' il regista dei fotoromanzi di Lo sceicco bianco): i due ricorrono a una tradizione popolare cui nessuno crede più. Notevole è pure la sequenza nella casa dei tedeschi, dove il comportamento degli intrusi è assai simile a quello che in un film di genere precede il plotone di esecuzione (come Totò non manca di sottolineare), per non dire della figura di Toni Ucci, ricalcata sul Sordi prima maniera.
Risate di gioia è un mezzo fallimento commerciale. Ed è motivo di riflessione. La convinzione che il mercato abbia notevoli capacità di assorbimento - il 1961 è uno degli anni in cui si producono in Italia più film - cozza contro la persistente precarietà del sistema industriale, ma resiste e autorizza progetti che gli autori, ormai consci del proprio ruolo, concepiscono come affrancamento della creatività dal controllo di un apparato produttivo che riconoscono sempre meno adeguato a un cinema che cambia dentro una realtà che cambia. Il gruppo composto da Monicelli, Comencini, Age e Scarpelli ha in mente l'esperienza francese della Nouvelle Vague e quella inglese del Free Cinema, quando fonda la cooperativa "Film Cinque" (organizzatore generale il produttore Alfredo Bini, allora agli inizi della carriera). Lobiettivo è quello di produrre due film all'anno, diretti alternativamente da uno dei due registi e scritti dai due sceneggiatori e dal regista non impegnato a dirigere.
Stefano Della Casa, Mario Monicelli, Il Castoro Cinema, 7-8/1986 |
|
Critica (2): | |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| Mario Monicelli |
| |
|