Nave dolce (La)
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Regia: | Vicari Daniele |
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Cast e credits: |
Soggetto: Luigi De Luca, Silvio Maselli, Ilir Butka, Antonella Gaeta, Daniele Vicari; sceneggiatura: Antonella Gaeta, Benni Atria, Daniele Vicari; fotografia: Gherardo Gossi; musiche: Teho Teardo; montaggio: Benni Atria; suono: Valentino Giannì, Gianluca Costamagna; interpreti: Eva Karafili, Agron Sula, Halim Milaqi, Kledi Kadiu, Robert Budina, Eduart Cota, Ervis Alia, Ali Margjeka, Giuseppe Belviso, Nicola Montano, Domenico Stea, Fortunata Dell'Orzo, Luca Turi, Raffaele Nigro, Luigi Roca, Maria Brescia, Vito Leccese; produzione: Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori, Silvio Maselli per Indigo Film-Apulia Film Commission, con Rai Cinema, in Co-Produzione con Ska-Ndal Production, con Archivio Centrale Statale del Film di Albania, Telenorba, Digitalb; distribuzione: Microcinema; origine: Italia-Albania, 2012; durata: 90’. |
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Trama: | Il 7 agosto del 1991 la Vlora, mercantile di ritorno da Cuba, arriva a Durazzo con la stiva piena di zucchero. Durante il pieno delle operazioni di scarico, una marea di persone prende letteralmente d'assalto la nave: uomini, donne, ragazzi e bambini cercano di salire in tutti i modi. Eva e il marito si arrampicano lungo le cime d'ormeggio; Kledi, un ragazzino che si trova lì per caso, incuriosito segue la folla diretta verso la nave; il piccolo Ali sale a bordo con la famiglia e, lo stesso, fa il giovane regista Robert insieme ai compagni di studi. L'enorme folla costringe, allora, il capitano Halim Malaqi a invertire subito la rotta in direzione dell'Italia. Il viaggio si rivela un incubo: il motore centrale è in avaria, non c'è cibo né acqua, solo zucchero. Aggiunto a tutto questo, il sole d'agosto brucia il pontile. La notte, altrettanto, non risparmia problemi: il radar è fuori uso, ma il capitano fortunatamente riesce ad evitare una collisione. Finalmente l'8 agosto, la nave, carica di ventimila persone, giunge al porto di Bari. Visto dal porto, il mercantile appare straboccante di gente. Senza aspettare che le operazioni di attracco siano ultimate, qualcuno si butta subito in mare per arrivare a nuoto sulla terraferma; c'è, poi, chi intona cori di "Italia, Italia" uniti a segni di vittoria simulati con le dita. Tuttavia, quanto succede dopo non è quello che ognuno di quegli albanesi avrebbe sperato. Dopo lunghe operazioni di sgombero del porto, tutti vengono rinchiusi in uno stadio di calcio per poi essere rimpatriati. La maggior parte di coloro che sono saliti su questa nave sono stati rispediti indietro ma, a distanza di ventun'anni, tanti continuano a sfidare la sorte tentando la traversata. |
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Critica (1): | Daniele Vicari, animato dalla stessa passione civile con cui aveva realizzato il suo bellissimo Diaz, ci ha rievocato quei giorni con un così alto senso del cinema che gli ha permesso di costruire un film solo con materiali di repertorio, soprattutto televisivo, e con interviste per far commentare quasi dal vivo lo svolgersi di quegli eventi, dalla partenza dei ventimila da un'Albania oppressa dal giogo di Enver Hoxha all'arrivo in una Italia non ancora pronta a quella invasione di clandestini e già votata al principio del respingimento. Vicari, dopo aver reperito i materiali in magazzini e in archivi sia qui da noi sia in Albania, con un'operazione addirittura geniale di montaggio e grazie a una fotografia che ha potuto valersi di supporti digitali, ci ha ridato quei giorni all'insegna rigorosa di una verità frutto di autentiche documentazioni. Con la felice idea di rivolgersi oggi ad albanesi ed italiani che allora erano stati protagonisti di vicende tutte personali da cui, molti, erano stati segnati per la vita. Li ascoltiamo uno dopo l'altro, sempre su un fondo bianco che, anziché contrastarvi, aderisce in pieno al fluire delle immagini di repertorio. Quelli che erano bambini, quelli che si sono rifatti una vita in Italia, il comandante del mercantile costretto a mutar rotta dalla minaccia di un punteruolo, donne fuggite con mariti e fratelli, studenti, macchinisti delle ferrovie, quei rappresentanti locali delle istituzioni italiane cui i duri ordini impartiti da Roma erano apparsi inumani. Fino ad un quadro esauriente di tutti quei fatti, sia nel pubblico sia nel privato. Con una obiettività nella loro esposizione all'insegna del reale che è il merito maggiore del film. Testimonianza ancora una volta delle doti cinematografiche di Vicari e dei suoi impegni morali.
Gian Luigi Rondi, Il Tempo Roma, 8/11/2012 |
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Critica (2): | La nave dolce va visto. E in fretta. Parliamo di un'urgenza che viene da una necessità profonda, elementare, potente. Sotto l'aspetto materiale, perché e un documentario che – nonostante l'aiuto di Microcinema – potrebbe, proprio per la poca pazienza che gli esercenti hanno per questo genere, uscire fuori dalla programmazione con ingiusta velocità. Sotto l'aspetto artistico e morale, perché è impossibile non vederlo. Perché un'opera del genere deve far parte della nostra memoria artistica e del nostro immaginario, perché la nave Vlora, qui raccontata, è l'inizio della fine di un paese che fino ad allora ancora portava un vago rispetto per la sua storia, cultura e valori. (...) Da lì nasce l'Italia razzista ed egoista di questi ultimi 20 anni, da lì nasce l'Italia della gestione politica e violentemente repressiva dell'ordine pubblico e Vicari, di fatto, ne fa nella sua cinematografia una sorta di prequel di Diaz. Non solo a livello creativo – il team delle due pellicole è lo stesso, straordinario il montatore Atria, ottimo il musicista Teardo – ma anche sotto il punto di vista storico e sociale. Pur nella differenza del genere e della struttura narrativa, ci troviamo di fronte a thriller straordinari per tempi e potenza del racconto. Vicari trova in questo dittico una maturazione eccezionale, che sembra riassumere tutta la sua cinematografia per portarla a un livello più alto di consapevolezza, dell'autore e dello spettatore. La nave dolce dimostra come il documentario, in mano a un grande regista, diventi un film complesso, efficace e potente. E alla messa in scena del repertorio si aggiungono testimonianze antiretoriche e perciò ancora più forti. E solo un grande cineasta poteva tenere insieme questa storia omerica di moderna ingiustizia. Boris Sollazzo, Pubblico, 8/11/2012 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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