Transes/El hal - Transes/El hal
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Regia: | El Maanouni Ahmed |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura e fotografia: Ahmed El Maanouni; suono: Ricardo Castro; montaggio: Atika Tahiri; musica: Nass El Ghiwane; interpreti: Omar Sayed, Larbi Batma, Abdelrahman Kirouj (Paco), Allal Yaala (Nass El Ghiwane), Tayeb Seddiki; produzione: Souheil Ben Barka e Izza Genini per SOGEAV e Interfilms; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Marocco, 1981; durata: 87'. Edizione restaurata 2007: Cineteca di Bologna per World Cinema Foundation. |
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Trama: | Negli anni Settanta, grazie a cinque musicisti "di strada" determinati a prendere le distanze dagli imperanti "languori orientali", il Marocco conobbe un exploit musicale che divenne espressione dei desideri, delle frustrazioni e dei sentimenti di ribellione dei giovani. In Transes, Ahmed El Maanouni ripercorre l'itinerario geografico e culturale del gruppo Nass el Ghiwane, che nel 1974 perse uno dei suoi membri più rappresentativi, Boujemaa. Attraverso le canzoni e le musiche del gruppo, il film descrive momenti tradizionali della vita sociale, ma affronta pure importanti temi di attualità. La trance diviene moderno delirio profano nelle riprese dei concerti di Cartagine, Agadir e Parigi. |
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Critica (1): | Transes/El hal occupa un posto di rilievo nella microstoria del cinema documentario arabo e africano: primo lungometraggio di non fiction di produzione marocchina, il film ha segnato felicemente il destino della produttrice Izza Genini (omaggiata con una doverosa retrospettiva dall'ultimo Festival di Amiens) che, negli ultimi vent'anni, con la sua società (Ohra) ha dedicato gran parte delle sue energie alla realizzazione di documentari tesi alla riscoperta di esperienze musicali e tradizioni culturali del suo paese, con la serie Maroc, corps et âme.
(...) Bene ha fatto il neo-premio Oscar per The Departed (Martin Scorsese) a ricordare il 22 maggio, in occasione del lancio della fondazione e della proiezione del film, quanto la scoperta del film, avvenuta casualmente su un'emittente privata americana, abbia ispirato lui e Peter Gabriel nella composizione delle partitura sonora di The Last Temptation of Christ (1988), che poi ha finito per girare integralmente proprio in Marocco, ringraziando nei titoli di coda per l'ispirazione proprio i Nass El Ghiwane. Una testimonianza utile ad avvicinare un film che ci parla di un gruppo di culto in Marocco (i Rolling Stones africani, così li ha definiti Scorsese), che ha ispirato figure come Jimmy Hendrix, Bob Marley e Robert Plant, ma relativamente poco noto in Italia.
L'avventura dei Nass El Ghiwane nasce in un quartiere popolare di Casablanca nel 1971 per iniziativa di Larbi Batma e Boujemiî, presto seguiti da Allal Yaala, Abderrahmane Paco e Omar Sayyed. In anni di strapotere dei divi della canzone orientale come Abdelwahab, Batma e compagni, facendo un tratto di strada con l'attore/regista Tayeb Seddiki, decidono di recuperare la tradizione della musica popolare marocchina, legata ai ritmi e alla poesia orale dei trovatori e dei mistici delle confraternite, facendosi interprete di una generazione di giovani che, come nei movimenti studenteschi occidentali, chiede di far sentire la propria voce, in una società oppressa da valori patriarcali e da un'atavica condizione di povertà. Declinando liricamente al presente antiche storie di sofferenza e riscatto, i Nass El Ghiwane hanno trascinato intere generazioni, irretite da una frase musicale scarna, in cui antichi strumenti come il goumbri (un basso acustico a tre corde), i qraqeb (nacchere metalliche suonate a coppie) e il bendir (un tamburello a cornice che si avvicina alla tammorra), lasciano prima spazio ai versi della poesia/canzone/preghiera per poi progressivamente salire di tono e ritmo, scatenando nell'uditorio un'ondata di trance che rinvia a remoti riti sciamanici.
Il film, costruito come un mosaico di conversazioni e prove musicali, scandito da lirici attraversamenti in camera car dei quartieri popolari di Casablanca e altre città, tenuto insieme dalle sequenze degli affollati concerti, si presenta come un tributo a un gruppo che già nel 1981 si era ammantato di un alone di mito, reso più struggente dalla morte prematura di Boujemiî, uno dei fondatori della band, più volte ricordato in estratti di repertorio. Ahmed El Maanouni (Casablanca, 1944), che tre anni prima aveva descritto con affetto e sconcerto in Alyam alyam (presentato in selezione ufficiale a Cannes e a Taormina nel 1978, dove vince il Premio della Giuria) i dilemmi di una gioventù contadina già sedotta dai miraggi dell'emigrazione in città e in occidente, qui riesce, con grande padronanza dei meccanismi della non fiction, non solo a catturare la magia live di alcune performance del gruppo (che gli valgono improvvise e ripetute incursioni di fan adoranti sul palco) ma a evocare senza didascalismi il valore testimoniale di un'esperienza musicale che per diversi decenni (il gruppo è tornato a esibirsi di recente all'Olympia di Parigi) ha saputo coinvolgere intere generazioni, recuperando alla tradizione della musica popolare una valenza, mistica e politica insieme, di affermazione identitaria forte e lotta per i diritti.
Leonardo De Franceschi, cinemafrica.org, giugno 2007 |
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| El Maanouni |
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