Sulla mia pelle
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Regia: | Cremonini Alessio |
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Cast e credits: |
Soggetto: Alessio Cremonini; sceneggiatura: Lisa Nur Sultan, Alessio Cremonini; fotografia: Matteo Cocco; musiche: Mokadelic; montaggio: Chiara Vullo; scenografia: Roberto De Angelis; costumi: Stefano Giovani; suono: Andrea Lancia; interpreti: Alessandro Borghi (Stefano Cucchi), Jasmine Trinca (Ilaria Cucchi), Max Tortora (Giovanni Cucchi), Milvia Marigliano (Rita Cucchi); produzione: Luigi Musini, Olivia Musini, Andrea Occhipinti per Cinema 11, Lucky Red; distribuzione: Netflix, Lucky Red; origine: Italia, 2018; durata: 100’. |
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Trama: | La storia di Stefano Cucchi, morto a 31 anni all'ospedale Sandro Pertini, mentre era in stato di detenzione e della settimana che ha cambiato per sempre la vita della sua famiglia... |
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Critica (1): | Sulla mia pelle è un film come se ne vedono pochi in Italia. Un film che partendo da un caso di cronaca dall’enorme visibilità mediatica, riesce a costruire un racconto che riflette in maniera profonda su un sistema, un apparato, uno stato di cose.
Stefano Cucchi è morto il 22 ottobre 2009 all’età di trentun anni mentre si trovava in custodia cautelare nell’ospedale di contenzione Sandro Pertini di Roma, una settimana dopo essere stato arrestato per possesso di stupefacenti da due volanti dei Carabinieri. A causare il decesso fu una serie di ecchimosi, fratture e lesioni sparse su tutto il corpo ma principalmente su torace, schiena e viso del ragazzo. Come è noto della morte di Stefano – che prima del fermo si trovava in buona salute – sono stati inizialmente accusati tre dei cinque Carabinieri che operarono l’arresto, poi le guardie carcerarie che lo presero in custodia e infine i medici che si occuparono di lui dopo il ricovero, poi tutti assolti. Dopo diverse vicende giudiziarie e due processi attualmente si trovano sotto inchiesta tre militari dell’Arma per omicidio preterintenzionale e altri due per falsa testimonianza (con riferimento alle dichiarazioni rilasciate durante il primo processo).
Il film si concentra sui giorni che vanno dall’arresto di Stefano sino al decesso e attenendosi scrupolosamente ai fatti – desunti dalle testimonianze dei processi e dai racconti di molti testimoni diretti – lascia trasparire una verità che coincide con quella che la famiglia Cucchi, da quasi dieci anni, cerca di portare alla luce. E cioè che la morte del ragazzo sia stata causata dal barbaro pestaggio cui i Carabinieri che lo presero in custodia lo sottoposero nelle ore successive all’arresto. Tuttavia, come si diceva, non è questo che il film intende raccontare (o non solamente). Perché Sulla mia pelle non è né un film di denuncia, né un reportage e nemmeno un documentario di inchiesta. Piuttosto un’opera che ragiona a più ampio respiro su qualcosa che ha dell’incredibile, ovvero sul fatto che una persona in buona salute, oggi, in Italia, possa morire mentre è affidata alle mani dello Stato. Il caso di Stefano parla anche per tutti quei morti – sono stati ben 176 nel 2009 – che decedono mentre si trovano in stato di arresto o detenzione. Quello che emerge dal racconto cronachistico che il film conduce con un’asciuttezza e un rigore davvero rari – più propri, forse, di cinematografie come quella romena o iraniana per dirne due delle più identificabili – è un apparato costretto dentro un regime di norme, regole e procedure che pur pensato per la tutela dell’individuo ne è la prima causa di offesa.
Sulla mia pelle non lancia accuse, non cerca colpevoli e non punta il dito contro nessuno, ma in maniera molto più intelligente pone sotto la lente d’ingrandimento la questione dei delitti e delle pene di uno Stato democratico del XXI secolo, spingendo a interrogarsi sul diritto che ha questo Stato (e quindi tutti quanti noi) di considerarsi espressione di una democrazia. Stefano era un tossicodipendente e forse spacciava droga – il film oltretutto non ne fa mistero – ma è prima di tutto un cittadino e quello che gli è successo può (lo si legga senza retorica alcuna) capitare a chiunque di noi. Il calvario che il ragazzo ha attraversato per sette lunghissimi giorni è un insieme di sbagli, mancanze, superficialità che in uno stato di diritto semplicemente non può accadere. Gli atteggiamenti che militari, agenti di custodia, medici, infermieri, magistrati e legali mantengono nei confronti di Stefano quando entrano in contatto con lui ne costituiscono la causa di morte ben più delle percosse – che peraltro il film non mostra. Fa rabbia notare come nel corso della vicenda che Cremonini racconta, nessuno si curi di far luce sulla natura dei lividi e delle lesioni che Stefano si porta addosso, come alla famiglia Cucchi venga impedito (più o meno intenzionalmente) di incontrare il figlio dal giorno successivo all’arresto e come le richieste del giovane di parlare con il proprio legale siano sistematicamente ignorate.
Quello che il caso Cucchi mette in evidenza e su cui il film ragiona è quindi l’emergere di una colpa collettiva e endemica. Connaturata in un apparato statale anacronistico e desueto. E auspicando che la sentenza del processo individui e chieda conto ai colpevoli delle loro azioni, la cosa più sbagliata che potrà accadere è che tutti quanti gli altri si sentano indebitamente assolti.
Lorenzo Rossi, cineforum.it, 12/9/2018 |
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