Ultima tempesta (L') - Prospero's Books
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Regia: | Greenaway Peter |
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Cast e credits: |
Soggetto: basato sul dramma "The Tempest" di William Shakespeare; sceneggiatura: Peter Greenaway; fotografia: Sacha Vierny; musica: Michael Nyman; montaggio: Marina Bodbyl; scenografia: Ben Van Os, Jan Roelfs; costumi: Constance de Vos; suono: Chris Wyatt, Shirley Shaw; trucchi speciali: Sjoerd Didden; coreografie: Michael Clark; supervisione tecnica: Hideichi Tamegaya; interpreti: John Gielgud (Prospero), Michael Clark (Caliban), Michel Blanc (Alonso), Erland Josephson (Gonzalo), Isabelle Pasco (Miranda), Tom Bell (Antonio), Kenneth Cranham (Sebastian), Mark Rylance (Ferdinand), Gérard Thoolen(Adrian), Pierre Bokma (Francisco), Jim Van der Woude (Trinculo), Michel Romeyn (Stephano), Orphéo/Paul Russel/James Thierree/Emil Wolk (Ariel), Marie Angela (Iris), Ute Lemper (Ceres), Deborah Conway (Juno); produzione: Kees Kasander, Yoshinobu Numano e Katsufumi Nakamura, per Allarts/Cinea/CameraOne/Penta/Else-vierVendexFilm/ Film four Intl./VPRO Television/Canal Plus/NHK; distribuzione: Penta; origine: Olanda/Francia/Italia, 1991; durata: 124'. |
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Trama: | Prospero, ormai vecchio, è stato spodestato dal fratello e ha perso così il ducato di Milano. Ora vive su un'isola dalla quale, scatenando una tempesta, fa naufragare le navi di passaggio. Il film utilizza inserti video in alta definizione ed effetti grafici e cromatici (realizzati con il sistema Paintbox) per animare i 24 libri di Prospero, che rappresentano i campi del sapere umano. |
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Critica (1): | [...] Al pari di Windows (1975), fulminea meditazione sulla finestra come "fotogramma" dell'esistenza quotidiana e sul suo "contorno" architettonico, Prospero's Books è dedicato proprio a questo: al raccordo fra ciò che osserviamo e al contesto che provoca, modificandone il senso, l'atto dell'osservare; al miraggio della ridefinizione di una cornice percettiva; alla trasformazione della cornice "in fulcro" della coscienza di chi guarda. Così formulato il problema potrebbe sembrare il prodotto di una artificiosa volontà speculativa, non e così, non foss'altro perché da secoli l'umanità si interroga sui parametri fisici della percezione e sul come tali limiti (il cosiddetto "campo divisione" è rettangolare o circolare? Esiste una relazione fra i suoi "margini": e l'attenzione periferica?) siano in grado di influenzare la conoscenza del mondo sensibile. Con l'eccezione dell'arte contemporanea, che ha risposto al quesito eliminando tout court la nozione di "cornice" nel nome dell'integrazione fra oggetto d'arte e ambiente, l'ultimo tentativo di mettere in causa l'impiego di codici geometrici (proporzioni fra base e altezza, sagome ellittiche o circolari, distanza "ideale" fra osservatore e manufatto) per delimitare l'immagine "piatta" risale all'età barocca. [...] Giungiamo finalmente al motivo della scelta di The Tempest come laboratorio di quest'apoteosi dell'ars combinatoria The Tempest, ovvero il racconto quale contorno del racconto, la storia sognata dal protagonista del sogno, che si sveglia e contempla se stesso in una compenetrazione di comici temporali potenzialmente infinita, interrotta solo dalla volontà dell'artefice che implora infine di esserne liberato. Nel nome di questa identità fra soggetto e oggetto del narrare il personaggio di Prospero dà voce a tutte le dramatis personae, ma la sua voce è anche la voce di Greenaway, che - come osserva Jonathan Romney su "Sight and Sound" (settembre 1991n. 44-45) nel più brillante commento del film finora apparso sulla stampa specializzata-lascia allo spettatore la responsabilità di decidere quale sia la forma "definitiva" dell'opera. Potremmo spingerci oltre, e dire che la cornice ultima di Prospero's Books è l'arbitrato dell'osservatore che sceglie, attimo dopo attimo, il percorso dello sguardo da una "cornice" all'altra. Il fatto che la nostra formazione visiva sia di tipo centripeto rimanda ancora una volta al testo d'origine: appoggiarsi al nucleo narrativo di The Tempest è come gravitare sulla parte mediana di un fotogramma che chiede invece di esplorarlo in tutte le direzioni (durante il monologo di John Gielgud sui "funghi di mezzanotte, ad esempio, non riesco a staccarmi dalla parte destra dell'inquadratura, dove due figure femminili si tirano per i capelli e si accarezzano il viso; sono sicuro che altri ne siano annoiati, preferendo i due fauni che giocano a palla sul lato opposto dell'immagine. Altre opzioni sono possibili, ma è significativo che sia proprio la figura di Prospero, cardine compositivo di molte inquadrature, ad essere il più delle volte ignorata). Quasi sempre, in Prospero's Books (il cui formato di proiezione -1:1,66 - è oggi il meno comune fra quelli che Greenaway considera "ortodossi") il perimetro della nostra attenzione è quello della "cornice" più piccola; il breve soprassalto che ci spinge a contemplare lo spazio esterno a quest'ultima è ben presto inghiottito da altre "cornici", altri "centri". A proposito di "centro", dov'è la "rilettura" di The Tempest? Viste le premesse, è evidente che una comparazione su base testuale fra l'ultimo Shakespeare e la sceneggiatura, di Prospero's Books (Londra: BritishFilminstitute/Chatto & Windus, 1991), per quanto ricca di possibilità interpretative, non porterebbero molto lontano: sembra anzi che la rutilante libertà d'eloquio con la quale Greenaway rievoca i magici poteri del Duca di Milano venga meno proprio quando egli si trova costretto a riallacciarsi, sia pure momentaneamente, alla "trama" dell'opera: la sequenza delle nozze tra Miranda e Ferdinando è un brusco ritorno alla "realtà" del teatro, appena scalfita da effetti elettronici (il firmamento sul congresso nuziale, sovrimpressione tratte da libri d'epoca) che dipingono la messinscena senza alterarla; la scena del masque organizzato in onore degli sposi sfiora il kitsch d'alta classe, e l'irritante canto femminile che lo accompagna corrisponde alla parte del film che invecchierà più rapidamente, al pari dei musical di Jacques Demy o di Paul Vecchiali; ma non è questo che bisogna guardare se si vuole cogliere appieno l'irripetibilità dell'esperimento: frutto dell'ambizione di coniugare pensiero estetico e riflessione tecnologica, Prospero's Books raggiunge l'obiettivo esaurendone le possibilità in una sintesi destiata al non sequitur, a questa punto Greenaway non può far altro che cambiare direzione, e la preannunciata fine del lungo sodalizio con Michael Nyman - le cui musiche per il film sono tratte in larga parte da un altro progetto francese, La traversée de Paris, suite da camera (disponibile in uno splendido CD del 1989, Criterion CRTCD 1) per una mostra organizzata alla Grande Arche de la Défense - sembra esserne l'indiretta conferma. Vedere e - soprattutto. rivedere più volte Prospero's Books (necessità sulla quale insiste giustamente Marcello Walter Bruno nella sua corrispondenza da Venezia su Segnocinema 52, Novembre-Dicembre 1991:59) mi ha fatto venire in mente una frase del critico letterario John Banville a proposito di Finnegan's Wake, con il quale il film di Greenaway rivela sorprendenti affinità: "più lo decifriamo, più (il romanzo) ne esce logorato... quel che veniamo a sapere da un'opera è semplicemente questo: un venire a sapere, una conoscenza periferica... Di fronte a lavori del genere, che cosa "veniamo a sapere" su ciò che non abbiamo sempre saputo? Lo stile e nient' altro". "Stile" è qui inteso nell'accezione "forte", più pregnante, del termine: l'invenzione solidificata in struttura, l'idea che fa tutt'uno con i modi del suo enunciato. Se mai si può affermare di"aver visto un film", Prospero's Books non può mai dirsi "visto" per intero. Riguardarlo significa ricrearlo, scorgendo ogni volta nuove implicazioni nell'alea dello sguardo vagante. Portare la biblioteca della conoscenza umana su un'isola deserta e farla deflagrare, iniettare caos nell'ordine della creazione allo scopo di fame emergere la pluralità dei significati: un punto di vista complementare e opposto a quello di Kubrick, per il quale creare equivale ad attribuire un ordine al caos per scoprirne la tragica assenza del significato.
Paolo Cherchi Usai, Segnocinema n. 53, gennaio-febbraio 1992 |
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