Mercoledì da leoni (Un) - Big Wednesday
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Regia: | Milius John |
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Cast e credits: |
Soggetto: John Milius; sceneggiatura: John Milius; fotografia: Bruce Surtees; musiche: Basil Poledouris; montaggio: Carroll Timothy O'Meara, Robert L. Wolfe; interpreti: Gary Busey (Leroy), Patti D'Arbanville (Sally), Darrell Fetty (Waxer), William Katt (Jack), Sam Melville (Bear), Lee Purcell (Peggy), Jan-Michael Vincent (Matt); produzione: A Team Warner Br; distribuzione: Cineteca del Cinema Verdi; origine: Usa, 1978; durata: 120'. |
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Trama: | Nell'estate del '62 Jack, Matt e Leroy sono giovani, spensierati e assolutamente pazzi per il surf. La loro vita trascorre prevalentemente sulla spiaggia in attesa della "grande onda" grazie a cui dimostrare il proprio valore. Poi arriva il Vietnam. Jack passa tre anni nell'inferno della guerra. Gli altri due riescono a evitare il fronte. Nella primavera del 1974, in occasione di una violenta mareggiata, i tre si ritrovano di nuovo sulla spiaggia. La vita li ha cambiati e la loro amicizia è ormai esaurita. Ma tutti ancora innamorati delle tavole da surf aspettano, forse per l'ultima volta, la grande onda che è in arrivo. |
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Critica (1): | II "secolo americano", di cui Henry Luce indicava l'inizio intorno agli anni '40, è durato meno di un trentennio.La sua fine si iscrive in quell'arco di anni in cui si svolge l'azione del film. Qualche fatto: assassinio del primo-Kennedy (1963); esplosione dei ghetti (1967); abdicazione di Johnson e assassinii di Martin Luther King e del secondo Kennedy (1968); rivolta studentesca (1969-79); sospensione della convertibilità del dollaro (1971); accettazione della realtà cinese (1972); Watergate e cacciata di Nixon (1973-74). Su tutti domina la guerra dei Vietnam (1964-1973), la prima sconfitta bellica e diplomatica degli Stati Uniti. Tragedia per i 50.000 caduti e le loro famiglie; dramma per i due milioni di giovani che vi presero parte; trauma per duecento milioni di americani che, per la prima volta nella storia, vissero in diretta una loro guerra alla tv. La centralità dell'esperienza vietnamita - questo è il punto - non emerge solo in rapporto al ruolo degli Stati Uniti nel mondo, ma anche, e insieme agli altri momenti ricordati, in rapporto alla crisi della società statunitense, crisi vissuta in maniera più lacerante dalle nuove generazioni: non nel senso, ovviamente semplicistico, che il Vietnam è la "causa" di quella crisi, ma nel senso che i conflitti aperti dal Vietnam svolgono una funzione catalizzante nella presa di coscienza di altri conflitti sociali. Con il Vietnam, il sistema di checks and balances, ritenuto massimo presidio istituzionale della democrazia statunitense, rivela la sua grande fragilità. Anzi precipita di fronte al contrasto insanabile tra la logica dello scambio, vigente all'interno degli States, e quella della rigidità dogmatica imposta con la guerra all'esterno. Questo contrasto produce la frantumazione del consenso sui valori, fino ad allora fondamentale elemento di coesione nel sistema. Di qui la politicizzazione di vasti settori dell'opinione pubblica, dagli studenti agli intellettuali, dai negri ai chicanos. Di qui anche le loro proposte utopiche e, in molti casi, la loro violenza "politica". Matt, Jack e Leroy, i tre protagonisti del film di Milius, appartengono a quella fetta della Vecchia America sopravvissuta alle bufere degli anni '60 con un numero di adepti assai maggiore di quanto le cronache di allora lasciassero supporre. Portarla alla ribalta, meglio sullo schermo, costituisce un'opera di rottura nei confronti di falsi e abusati modelli. Ma non v'è quasi tempo di compiacersi della scelta di Milius per non avvertire quale feroce censura il regista s'imponga per dotare i suoi personaggi di tratti compiacenti o solo rispettabili. L'addebito a carico del regista non è quello di narrare una crisi "privata" negli anni dell'apocalisse, ma quello di escludere ogni interrelazione tra le due e perfino di negare la possibilità che, in quei giorni e in quell'America, altri giovani vivano altre crisi.
Come tutte le generazioni che li hanno preceduti, nel 'West come nell'East Coast, Matt, Jack e Leroy hanno un altare su cui campeggiano come immutabili idoli lo sport e, nell'ordine, la violenza privata (liti, risse, pugni), l'alcool, le donne. Divenuti adulti, ai vecchi aggiungono un nuovo idolo: la famiglia. Leroy, il più estroverso dei tre, offre un'antologia di quest'educazione modello americano. A casa di Jack, la sera della festa, si prepara all'esercizio della violenza (olocausto o rissa) ungendo il suo corpo. Quando balla abbraccia contemporaneamente due ragazze. Sconfinato in Messico, leva un inno alle "donne calienti e alla marijuana", poi seduce una ragazza con la quale fantastica di matrimonio per lasciarla subito dopo lungo una strada polverosa. Pochi anni più tardi, fattosi adulto, confessa: "È ora che rientri nella normalità, mi sistemi, paghi le tasse".
I tre amici vivono la loro vita come una gara ove si può vincere oppure perdere. Non si sentono fascisti e neppure lo sono. Credono nell'uguaglianza, nella solidarietà, nel sacrificio, nell'impegno supremo. Praticano la tolleranza verso quanti condividono la loro logica. Respingono i diversi: gli intrusi alla festa, il messicano intraprendente, l'hippie del Cosmic Bar, i vietnamiti. II tutto come i loro padri e gli avi pionieri. Non amano la patria quando questa si riveste di paramenti militari, ma neppure qui tradiscono la loro cultura. Gli Stati Uniti hanno praticato l'isolazionismo e a questo mito restano legati. Il loro rapporto forzato con la "periferia" dei mondo è nato quando Truman ha scoperto che "il sistema americano può sopravvivere in America solo se diviene un sistema mondiale", quando si sono visti imporre la necessità di trasformare la loro rigogliosa società civile in stato imperiale perchè la potenza statuale era la condizione necessaria all'espansione ininterrotta dello sviluppo economico. Jack, il più lucido, sensibile e analitico dei tre, accetta di partire per il fronte e ritorna a casa con un patchwork di nastrini colorati sul petto. Come Teddy Roosevelt e Ike. Come il già riluttante sergente York. Anche se questa guerra, per la prima volta, è una guerra persa. Emuli dei loro avi, Matt, Jack e Leroy non hanno coscienza dei parametri angusti in cui si iscrive la loro vita. Commemorando l'amico morto in Vietnam, Matt afferma: "Senza entrare in particolari, dico che era un bravo ragazzo". Non potrebbe diversamente. La stupidità sua diventa naturaliter metro di giudizio del comportamento degli altri.
Il codice di condotta dei tre amici è simile a quello dei pionieri del West. Dei western ritornano tutti i miti ancora proponibili.
Giorgio Rinaldi, Cineforum n. 185, 6-7/1979 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| John Milius |
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