Balkan Bazar - Budina Edmond
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Soggetto e sceneggiatura: Edmond Budina; fotografia: Daniele Baldacci; montaggio Marzia Mete; interpreti: Catherine Wilkening (Jolie), Veronica Gentili (Orsola), Visar Vishka (Genti), Erand Sojli (Miri), Luca Lionello (Marcello), Edmond Budina (il prete), Artan Islami (Adi); origine: Italia, Albania 2011; durata: 88’ |
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Trama: | Dopo il divorzio dal marito italiano, Julie, affascinante quarantenne francese, torna nel suo paese d'origine. Con sé vuole portare anche i resti di suo padre, ex militare morto anni prima in Italia. Per errore, però, la bara finisce in Albania. Julie e la figlia, Orsola, partono per Tirana, prima, e poi per un paesino del Sud del paese, in compagnia del giornalista Genti. Qui si trovano in mezzo ad una compravendita di ossa umana che inasprisce l'annoso contenzioso tra greci e albanesi, che si contendono quelle zone. Complice l'amore, il mondo arcaico del paesino e la modernità di Julie, finiranno per contaminarsi. |
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Critica (1): | Edmond Budina è un attore e regista albanese. Classe '52, Budina ha studiato recitazione all'Università di Tirana, dove per molti anni è stato docente di drammaturgia. Emigrato nel 1992 in Italia, vive a Bassano del Grappa. Oltre a diversi ruoli da attore in Italia e in film internazionali per registi come Ken Loach, Budina ha diretto nel 2003 il film "Lettere al vento". Il 15 luglio verrà presentato nelle sale italiane il suo secondo film: "Balkan Bazar", una storia tutta balcanica che interpreta in chiave comica e surreale le vicende degli ultimi anni riguardo un presunto cimitero greco in un villaggio sperduto dell'Albania meridionale.Il film, una coproduzione italo-albanese, è stato accolto con enorme interesse in Albania, dove ha segnato il massimo degli incassi tra i film attualmente in proiezione. Al centro della trama la perdita di una bara, contenente i resti del padre di una signora francese.
Come le è nata l'idea di fare questo film?
Una sera d'aprile al festival del cinema di Viareggio, ho conosciuto una ragazza italiana di madre francese. Lei ci ha raccontato una storia assurda di come la madre avesse cercato di farsi portare dove abitava, la bara del marito. Questa bara però, invece di andare a Parigi, era finita a Mosca e la ragazza ci ha raccontato in maniera estremamente simpatica questa storia, con il suo italiano dall'accento francese.
Così è nata l'idea, l'immagine di una bara che vola nella notte, e la gente che le corre dietro. Poi, in quel periodo, a Kosina, un villaggio nel sud dell'Albania, i sacerdoti ortodossi locali hanno scoperto “un cimitero greco” e mi è sembrata un'ottima storia da raccontare. Ma volevo trattarla in maniera comica, non in maniera pesante.
Cos'ha trovato di comico nella questione di Kosina?
Il disseppellimento delle bare di gente morta un secolo fa, o anche più: il tutto per ricostruire un'identità. Disseppellire un albanese che si chiamava Fejzullah, nel 1880, e chiamarlo oggi Jorgos, e mettere lì delle donne che piangono in greco. E tutto questo per nulla.
E' stata una situazione molto comica. Hanno inventato la questione di Kosina, trasformando un cimitero di fine '800 in un cimitero di caduti greci, con tutte le dovute mitomanie che nei Balcani legano ai morti, e alle tombe la definizione del proprio territorio storico. Più o meno lo schema era questo.
Perché l'ha intitolato Balkan Bazar?
Èun titolo che ho trovato molto adatto. In particolar modo per descrivere alcune scene. Come quella in cui il prete si spoglia, e viene fuori che sotto la pianeta, aveva l'uniforme da militare, perché era stato un ufficiale sotto il comunismo. Per il danaro si fa di tutto. Si è in grado di ammazzare o vendere le persone più care.
Questa è la definizione di Bazar, in senso dispregiativo, come si ritrova nel gergo balcanico. Ma Balkan? E' un po' giocare con dei pregiudizi riguardo alla regione?
Balkan, perché nei Balcani succedono cose strane. Dove altro succede che una battaglia del 1389 venga commemorata tutt'oggi? Nei Balcani la storia è tanta, e gioca brutti scherzi, manipola le persone, le fa passare da una religione a un'altra, da una nazione a un'altra per poi metterle sul campo in uno scontro tra fanatici tutti simili tra loro. La storia si vende per pochi soldi, si vendono i resti dei propri avi, i loro nomi, le loro tombe.
Mentre la storia è diversa. Siamo tutti molto misti tra di noi, non c'è un'etnia che non sia mescolata con le altre. Ci sono molti albanesi, che non sono albanesi, macedoni che non sono macedoni, serbi che non sono serbi e cosi via.
Poco tempo fa ho scoperto di avere un cugino macedone, perché prima della Seconda guerra mondiale, una parte della nostra famiglia si è trasferita in Macedonia. Loro ora vivono in Macedonia, parlano macedone, e giustamente si sentono macedoni.
Seguendo la logica dei nazionalisti, a me toccherebbe lottare tra le fila di qualche UCK, e lui con il VMRO DPMNE. Sono cose che non hanno senso. È impossibile andare a scovare l'origine pura delle nazioni, ed è assurdo pretendere confini chiari, ben definiti, di una grande Serbia, o di una grande Albania. Mentre abbiamo una storia comune, siamo parte di uno spazio culturale comune. E abbiamo soprattutto problemi attuali comuni. La corruzione dilagante dei nostri Paesi, per menzionarne solo uno.
È un film che condanna molto i greci in questo incidente. Gli albanesi invece che ruolo hanno?
Gli albanesi hanno la loro responsabilità. Gli albanesi vendono le tombe dei loro avi. Ad un certo punto nel film viene chiesto, quanta gente riceve la pensione di anzianità dalla Grecia. E tutti abbassano le teste. Questo è il cinismo albanese che va condannato, perché se ne approfittano, dichiarandosi greci solo per prendere la pensione in Grecia. Mentre la situazione dei pensionati greci in Grecia, e lo stato sociale della Grecia giace in una condizione penosa.
I cittadini greci subiscono restringimenti degli stipendi e delle pensioni, mentre gli albanesi convertiti ricevono un trattamento speciale approfittandosene. E' un peccato che in Grecia l'opinione pubblica non sia a conoscenza di questo fenomeno. E francamente non so che tipo di vantaggio tragga la Grecia da questo.
Negli ultimi anni ci sono molti artisti albanesi che si stanno aprendo verso i Balcani. Parlando di tematiche balcaniche. Come vede questo fenomeno?
Direi che siamo l'avanguardia degli albanesi dalla mente aperta. Sono dell'idea che bisogna superare gli stereotipi. Ci sono altre cose che sono molto più importanti dell'etnia. Io preferisco relazionarmi con un serbo onesto, piuttosto che con un albanese corrotto. Ma quest'apertura nei confronti dei Balcani, non è solo albanese.
Ad esempio in Grecia, è stato prodotto un film che descrive come un greco, nazionalista xenofobo scopre che è di origine albanese, o in Serbia, c'è un film recente che mette sotto una luce positiva un kosovaro cui viene affidata la moglie di un ufficiale serbo durante la prima guerra mondiale. C'è una certa apertura delle élite dei Balcani. Poi dalle élite arrivano degli input che col tempo si fanno strada anche tra il resto della popolazione.
Come è giunto a questo tipo di conclusioni? La pensava così ad esempio negli anni Novanta?
Io sono originario di Korça. Nella mia famiglia siamo una mescolanza di culture, e abbiamo sempre mantenuto un certo equilibrio di tolleranza reciproca all'interno delle culture. Ma devo riconoscere che la mia permanenza in Italia da circa 20 anni ha influenzato molto il mio modo di vedere i Balcani. Vivendo in Italia, mi sono reso conto di quanto siamo provinciali noi albanesi. È assurdo, vedere che sto in un caffè, e arriva un conoscente, e mi dice entusiasta: “L'hai saputo? Anche Napoleone era albanese”. Poi qualcun altro è felice di dirti che anche George Bush, in fondo è originario dell'Albania centrale e così via, per farti sentire parte di una grande nazione, al centro dell'universo. Sono cose assurde.
Io lavoro in fabbrica. Lavoro con un uomo di colore, dell'Uganda. E' una persona squisita, e collaboriamo benissimo. Cosa m'importa del fatto che sia di colore? Anche i Balcani si possono vedere sotto questa luce, prima le persone, l'empatia tra le persone, e poi tutto il resto.
Tra i giornalisti di cultura in Albania, alcuni dicono che il cinema contemporaneo albanese si rifà molto al cinema surrealista di Emir Kusturica. Alcuni elementi di quel tipo di cinema più o meno si notano anche nel suo Balkan Bazar. Condivide questo punto di vista?
Non era il mio obiettivo imitare Kusturica. I Balcani, ti spingono spontaneamente a tirar fuori questi elementi dell'assurdo. Alcuni vedono nei miei lavori, delle tracce di Kusturica, altri di Fellini. Ma il modo come io faccio i miei film è molto istintivo e si ispira ai Balcani. In questo spazio a mio avviso, è tutto estremo, la gioia, il dolore, la pazzia.
(www.balcanicaucaso.org) |
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Critica (2): | Tra bare che volano e bandiere che sventolano, Ballkan Bazar, prima co-produzione italo-albanese, è un film davvero piacevole. Pochi sono i difetti di questo ‘inno all’amore’, come alcuni buchi nella storia che non consentono di capire alcuni passaggi o la poca caratterizzazione dei personaggi, che li relega allo stato di macchiette. Ispirato ad un fatto realmente accaduto, il film racconta l’incontro/scontro tra due donne 'occidentali' e le tradizioni, le culture e i modi di vivere di un popolo orentale. Julia (un'affascinante Catherine Wilkening) e Orsola (la giovane e fresca Veronica Gentili), madre e figlia, arrivano in un paese sperduto dell’Albania per recuperare la bara del padre della prima, spedita erroneamente in Albania. Accompagnate dal giornalista Genti (Visar Vishka) e dal suo superstizioso cameraman (un simpaticissimo Erand Sojli), le donne scoprono, nel paesino dove sono arrivate, una strana usanza: il disseppellimento dei morti.
I cadaveri degli albanesi vengono dissotterrati dai greci per andare poi a riempire le fosse dei cimiteri monumentali che i greci costruiscono in quelle terre, di cui rivendicano la proprietà, chiamandole anche Epiro del Nord. Le cose diventano ancora più complesse quando si scopre che a macchinare tutto ciò sono i poteri forti, come il prete ortodosso del film, interpretato dallo stesso Budina.
Il regista ci mette, quindi, di fronte ad una realtà che non molti conoscono e che è diffusa anche altrove, come in Israele, in Armenia, in Palestina, a Cipro. La tragedia che quotidianamente vivono quei popoli viene affrontata in modo leggero, ma con rispetto. La superstizione, di cui Miri sembra essere l'incarnazione, si scontra con il mondo delle due donne 'occidentali', creando situazioni grottesche e ironiche, più che comiche. Perché portano a riflettere su una grande verità: 'se la gente pensasse a fare di più l'amore, il mondo sarebbe di gran lunga migliore'. Ecco, quindi, la morale, non banale, del film. Morale che viene "sbandierata" nella scena finale dove ritornano protagoniste le bandiere: quella francese e quella albanese, fatte sventolare da Julia e Miri dai finestrini del furgone, ma soprattutto la bandiera dell’amore, le mutande, che ironicamente sventolano mentre Genti e Orsola fanno l’amore.
(Augusto D'Amante, film.35mm.it) |
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