Altro mondo (n) - Autre monde (Un)
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Regia: | Brizé Stéphane |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Olivier Gorce, Stéphane Brizé; fotografia: Éric Dumont; musiche: Camille Rocailleux; montaggio: Anne Klotz; scenografia: Pascal Le Guellec; costumi: Isabelle Pannetier; suono: Emmanuelle Villard, Hervé Guyader; interpreti: Vincent Lindon (Philippe Lemesle), Sandrine Kiberlain (Anne Lemesle), Anthony Bajon (Lucas Lemesle), Marie Drucker( Claire Bonnet Guérin); produzione: NORD-OUEST FILMS;
distribuzione: MOVIES INSPIRED; origine: Francia, 2021; durata: 97'. |
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Trama: | Philippe Lemesle e sua moglie si separano, un amore danneggiato dalla pressione del lavoro. Dirigente di successo in un gruppo industriale, Philippe non sa più come rispondere agli ordini incoerenti dei suoi superiori. Ieri volevano che fosse un leader, oggi vogliono che sia un esecutore. È questo il momento in cui deve dare un senso alla propria vita. |
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Critica (1): | Philippe Lemesle si muove tra i vincenti della società, nell’ambiente dei dirigenti d’azienda, della meritocrazia, tra le cosiddette “storie di successo”. Come si può ammettere di provare dolore, di essersi perduti, quando si è parte dell’élite? Lamentarsi apparirebbe vergognoso agli occhi di chi vive in condizioni meno agiate, e un segno di debolezza imperdonabile agli occhi suoi e di quelli come lui. In un mondo simile non si può – non si deve – essere deboli. È vietato, per non correre il rischio di umiliarsi ed essere sostituiti da un altro più giovane e dinamico, o da qualcuno che non metterà in discussione quello che gli si richiede di fare. In un mondo simile sembra che non si possa più godere del diritto di contestare ordini che vengono dall’alto e che in fretta devono essere imposti in basso. Il film narra la storia di un mondo silenziosamente diviso in due, di vite professionali e personali che naufragano, di un mondo in cui uomini e donne in cravatta e abiti troppo stretti combattono sempre di più per trovare un senso.
(dichiarazione del regista. labiennale.org) |
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Critica (2): | È noto che il cinema di Stéphane Brizé sia un cinema d’attori. Perciò, per alcuni irriducibili, “vecchio stile”. È un po’ meno noto invece che questo stesso cinema, così attoriale e così irriducibilmente d’attori, acquisti una posizione d’immagini e anche morale proprio grazie agli attori. Perché è a partire dall’attore che Brizé cerca il suo punto di vista, suo cioè in quanto autore. Non è scontato. E non tutti vi riescono, chi sopraffatto dal peso della star, chi semplicemente inadeguato a dirigerlo, l’attore.
Nei film di questo regista incorrotto la distanza tra sguardo e attore è la giusta distanza che intercorre tra realtà e sua messa in scena. Nell’attore Brizé crede a tal punto che sembra conferirgli la regia. Ossia il peso delle misure da prendere, delle proporzioni da tenere. L’attore è nodo nevralgico ma è anche, e prima di ogni cosa, strumento di visione. Nel cinema di Stéphane Brizé l’attore è chiamato a costruire la scena, a montarla, e darle carattere e movimento. Un gesto sbagliato e il film tutto ne soffre, in quanto “il cinema di Brizé sorprende sempre per quello che si potrebbe definire una specie di accordo fotogenico (nel senso che i registi francesi degli anni Venti attribuivano al termine) tra dispositivo e realtà, accordo perfetto (anche in questo caso, l’unico possibile) che traduce il tempo delle cose e degli uomini in intensità drammatica, senza mai smarrirlo, per difetto, nella pura descrizione, e senza mai deformarlo, per eccesso, nella dimostrazione di qualcosa” (Luca Malavasi).
Vincent Lindon, che della trilogia del lavoro di Brizé – La legge del mercato, In guerra e Un autre monde – è protagonista assoluto, è dunque l’interprete non in quanto attore per convenzione, ma come tramite. Allo spettatore allora non resta che cercare una ragione, la ragione, non tanto nel film, quanto nel suo attore. E qui, in questo film che è l’Insider di Brizé, dove ancora una volta il soggetto è vittima dei suoi sentimenti perché il cinema di Brizé, parafrasando un dialogo di Un autre monde, «finisce per esservi impaludato, a scapito della spietata lucidità sulla realtà», è proprio Lindon il motivo e l’impulso. Vedere Un autre monde significa osservare il suo attore, crederlo, pensarlo. Tra spettatore e attore nasce una relazione: il film prende forma sull’attore, e noi, che guardiamo, più che immedesimarci esercitiamo un amore.
L’altro mondo possibile, dunque, è quello che sceglie il manager Philippe Lemesle: è il mondo del suo attore, Vincent Lindon, il più grande attore contemporaneo, perché è lì, nell’attore, nel suo sottrarsi e nel suo fuggire (degli occhi), nella sua carenza di cinismo, che Brizé e Un autre monde conquistano la verità. Nel cinema di Stéphane Brizé l’attore non è colui che dice la battuta, è piuttosto il suo colore, la concretizzazione di un’idea, il volume di un pensiero, di un’attitudine, di una condizione. In Un autre monde, che è un superlativo film manniano, ovvero del Mann più umano e umanista, tra autore, attore e spettatore non c’è soluzione di continuità; quando finisce, il film, rimane la memoria di un accordo impensabile eppure fattivo, tutt’altro che un compromesso, anzi, direi una celebrazione, principalmente la celebrazione di una fede (nel cinema, nell’attore).
Pier Maria Bocchi, cineforum.it, 11/9/2021 |
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Critica (4): | |
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