Renzo Piano: l'architetto della luce - Renzo Piano. The Architect of Light
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Regia: | Saura Carlos |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Renzo Piano, Carlos Saura; fotografia: Raúl Bartolomé; produzione: Morena Films; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Spagna, 2018: durata: 80’. |
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Trama: | Quando cresci con l'idea che costruire è un'arte, ogni volta ti sembra di assistere a un miracolo, qualcosa di straordinario che non t lascia più. Questa è l'opinione di Renzo Piano, architetto italiano tra i più celebri e prolifici del mondo. A raccontare questo genio dell'architettura e il suo processo creativo, è un genio del cinema, Carlos Saura, che segue Piano nella progettazione e nella realizzazione di una delle sue opere: il Centro Botìn a Santander, in Spagna. Il racconto in presa diretta delle varie fasi della costruzione del Centro diventa spunto di riflessione sul processo creativo, su ciò che hanno in comune, sotto questo aspetto, l'architettura, il cinema e tutte le altre arti. Per capire che l'arte non è un atto razionale e prevedibile. Spesso è un po' come guardare al buio: prima di capire ciò che accadrà, bisognerà dare il tempo agli occhi di adattarsi. |
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Critica (1): | Al centro del documentario portato al Biografilm Festival di Bologna (...) c'è l'architetto ligure che in Renzo Piano, an Architect for Santander vediamo impegnato nella realizzazione del Centro Botìn della città cantabrica.Che il film segue dalle prime fasi della sua progettazione fino all'inaugurazione del 23 giugno 2017. I circa sette anni trascorsi nel mezzo – che hanno reso realtà il sogno della Fondazione dalla famiglia Botín (da sempre ai vertici del Banco di Santander) e che hanno visto la Renzo Piano Building Workshop al fianco della Luis Vidal Arquitectos – sono descritti dallo sguardo del filmmaker attraverso le sue conversazioni con l'amico italiano, senza trascurare le perplessità degli abitanti della Baia del Golfo di Biscaglia e le loro speranze…
"Quando cresci con l’idea che costruire è un’arte, ogni volta ti sembra di assistere a un miracolo" recita la presentazione ufficiale. Ma quando il racconto dell'ultimo miracolo di Renzo Piano – architetto italiano autore del Centre Pompidou di Parigi, dell’Auditorium di Roma, dello Shard londinese e degli edifici del New York Times – diventa una riflessione sul processo creativo, vale la pena scoprirne i dietro le quinte.
"In passato diversi dei miei film sono stati su un tema che mi interessa molto – spiega il regista spagnolo: – Come inizia una opera e come si conclude, come può evolversi l'idea iniziale nel corso del suo compimento". E questo è stato il cuore dell'operazione che ha portato Saura a scoprire Piano e a restarne affascinato, dal punto di vista professionale ("dalla sua opera e dalla sua capacità di improvvisare, adattando il progetto") e soprattutto personale, come ci confida: "Non lo conoscevo personalmente prima di questo documentario, sapevo solo che fosse un grande architetto, ma sin dall'inizio del lavoro, quando ci siamo incontrati a Genova la prima volta, è nata una profonda amicizia".
Che si è cementata nel corso di un periodo che non doveva essere tanto lungo in origine…
In realtà gran parte del ritardo nei lavori è stato determinato da motivi esterni, come nel caso della produzione dei singoli elementi necessari alla costruzione o per alcune questioni legali; per cui nulla che mi riguardasse. Negli anni, di tanto in tanto tornavo a Santander per parlare con Renzo e per seguire l'avanzamento del progetto: mi sembrava un lavoro interminabile, e quando è davvero finito è stata quasi una sorpresa… In compenso ho potuto costruire una amicizia che ancora dura. È curioso che i due italiani con i quali ho una grande amicizia – Renzo stesso e Vittorio Storaro, che ha lavorato con me in Tango, Don Giovanni e altri film ed è una persona molto simile a Piano per precisione e perfezionismo – siano in qualche modo due maghi della luce.
Renzo Piano sembra esserne ossessionato, è così?
Ne abbiamo parlato spesso in effetti, per lui la luce – insieme all'acqua – è un elemento fondamentale. Soprattutto per la sua 'missione' di cambiare lo standard dei musei classici, nei quali l'illuminazione arrivava solo lateralmente, dalle finestre. Come ha fatto nei suoi musei, meravigliosi, e nel Centro Botin, che è molto interessante ora che è finito… Anche lì la luce ha un ruolo fondamentale, e sarà ancora meglio col passare del tempo, quando il giardino sarà ancora più integrato.
Anche il tempo è un argomento centrale, per entrambi?
Su questo siamo molto diversi. Di Renzo mi sorprende molto il suo amore per la fotografia, che nel film sostiene in grado di resistere al tempo… Per me è il contrario: penso che una fotografia possa invecchiare, le sue opere invece sono costruite per durare. Il tempo è un argomento che inevitabilmente ci attrae, ma personalmente non l'ho mai considerato troppo. Non ho l'ambizione all'immortalità, né sento di dover lasciare messaggi, se si perdessero tutti e quaranta i film che ho fatto non sarebbe un problema. A me è piaciuto talmente tanto realizzarli che quel che gli potrà succedere dopo non mi importa. In questo senso siamo diversi: lui punta a realizzare opere che durino nel tempo, quello che faccio io – che siano film, disegni o scritti – non mi importa che resista in un futuro lontano… Mi interessa l'attualità.
L'atto creativo è un 'guardare nel buio', eppure oggi non è facile fruire di un certo tipo di silenzio, di vuoto…
Sono completamente d'accordo. Secondo me non si può creare se non si è in solitudine. Nel cinema, come in architettura, un progetto si può concepire solo nel silenzio, anche se poi la sua realizzazione nasce dalla collaborazione con un team. Almeno per me, che ho sempre vissuto in maniera molto solitaria per tutta la vita. Io sostengo quelle che chiamo 'solitudini condivise', ossia il circondarmi di poche persone ma buone che capiscano questa mia esigenza, che siano rispettose e non di intralcio. Ma pure così è necessario poter avere un posto dove restare solo con tuoi pensieri.
Nelle immagini la vediamo entusiasta della fase di creazione, dello scheletro dell'edificio… Le manca quel momento o è soddisfatto del risultato finale, anche se criticato da qualcuno?
È sempre la stessa storia, a volte l'elaborazione di una cosa è più affascinante del suo completamento; e in questo caso io sono stato affascinato da quella struttura in costruzione, apparentemente tanto fragile e fatta di elementi tanto semplici, come quelli di un meccano. Ci vedevo una grande bellezza. Prima che venisse ricoperta e diventasse un'altra cosa, un altro mondo. E mi affascinava che Renzo Piano avesse tutto ben chiaro nella sua testa. Che sapesse cosa sarebbe diventato quello che noi non riuscivamo nemmeno a immaginare, come quando lo spettatore non sa come finirà una storia che tu hai scritto. Il risultato finale mi piace moltissimo. Come dice lui, non è un grande opera, ma una piccola opera nella quale però ha messo molto entusiasmo e affetto. È a misura di Santander, e ha una funzione senso sociale. Alla fine ha avuto ragione Renzo, visto che il Centro Botin è sempre pieno di cittadini che ogni giorno ne usufruiscono e ne godono.
Siete davvero animali in via di estinzione, come dice Piano?
È una sua meravigliosa idea, e mi piacerebbe crederci, ma ho dei dubbi sul fatto che la bellezza possa cambiare il mondo. Nella realtà non sembra riuscire a eliminare le brutture e le guerre, la violenza. Ma in definitiva Renzo Piano è un romantico, e pensare che una persona possa cambiare il mondo attraverso la bellezza è una meraviglia. Ed è la dimostrazione di che bella persona sia, una che sogna di cambiare il mondo attraverso le sue creazioni.(…)
Mattia Pasquini, film.it, 17/6/2018 |
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