Ballata del caffè triste (La) - The ballad of the Sad Cafe
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Regia: | Callow Simon |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Michael Hirst dal racconto di Carson McCullers e dal dramma di Edward Albee; fotografia: Walter Lassally, montaggio: Andrew Marcus; musica: Richard Robbins; scenografia: Bruno Santini; interpreti: Vanessa Redgrave (Miss Amelia), Keith Carradine (Marvin Macy), Cork Hubbert (il cugino Lymon), Rod Steiger (rev. Willin), Austin Pendieton (avvocato Taylor), Beth Dixon (Mary Hale); produzione: Ismail Merchant per Merchant Ivory in associazione con Film Four Intl; distribuzione: DARC U.S.A. - Gran Bretagna 1991 colore; durata: 100'. |
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Trama: | La vita di Amelia Evans, donna solitaria e dispotica, distillatrice clandestina di whisky, in un paesino del Sud negli anni '30, è trasformata dall'arrivo di un cugino e dell'ex marito, uscito dal carcere.
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Critica (1): | Un produttore raffinato e "letterato" come Merchant, partner abituale di James Ivory fin dall'esperienza indiana, non poteva restare insensibile al fascino arcano della scrittura sudista americana (1917-1967), che già aveva ispirato a Huston Riflessi in un occhio d'oro. Il suo racconto lungo del '51, "The Ballad of the Sad Cafe", tradotto per il teatro da Edward Albee nel '63, é diventato così film, insolito, inquietante, per le mani di Simon Callow, attore e regista teatrale inglese al suo debutto cinematografico, e per la prova di forza di Vanessa Redgrave che riempie con la sua fisicità questa favola aliena.
Siamo in una desolata cittadina del Sud degli Stati Uniti, nella depressione degli anni '30 (ma il tempo, come in un altro romanzo della McCullers, Orologio senza lancette, sembra sospeso, astratto dai percorsi abituali della Storia), e Miss Amelia, solitaria ed energica proprietaria dell'unico store in paese, é il perno infaticabile attorno a cui ruotano le anime perse di quella landa, sorta di zombie che si radunano soprattutto per ricevere da lei, rude, mascolina, le dosi quotidiane di alcool distillate clandestinamente e artigianalmente ai margini di una palude infernale. In questo paesaggio statico e abbruttito, lunare, piomba come d'incanto un sedicente cugino di Amelia, Lymon, gobbo e nano, mefistofelico mezzo uomo/mezzo bambino, che convince la dura virago a ingentilire il locale, facendolo diventare un "Cafe", dove si beve, si mangia, si balla, si ride alle facezie e ai giochetti di prestigio del nano. La vita si trasforma, gli affari decollano (sembra il lato cupo e notturno di Baghdad Cafe) e Amelia riscopre una sua femminilità nascosta, sepolta forse, come un lungo flash back c'informa, quella prima notte di matrimonio quando aveva cacciato dalle scale e dal paese l'ignaro marito, colpevole solo di essere uomo. Quando questi, uscito di prigione come in una solo apparente citazione western, ritorna in città per riprendersi donna e proprietà, il conflitto tra i sessi si riaccende, viscerale, arbitro o complice il nano, fino ad esplodere in un brutale, primitivo, incontro di boxe fra gli ex-consorti, impietosamente registrato dalla cinepresa, ad ogni round, sulle belle facce tumefatte di Vanessa e Keith. La furia diabolica del fuoco non redime nessuno, cancella, riporta il vuoto e il silenzio in questo universo dimenticato, senza tempo né legge.
Indubbiamente suggestivo per l'ambientazione, che accoglie le qualità visionarie, le atmosfere decadenti e malate, il grottesco della McCullers, il film di Simun Callow lascia comunque perplessi per l'eccentricità della drammatizzazione, l'ambiguità sostenuta del plot che non riesce a dar ragione dei conflitti primari in atto, se non fosse per la convinzione interpretativa della Redgrave che s'impone di prepotenza, come valore in sé, al di là degli alambicchi del racconto.
Giovanni M. Rossi, VIVI IL CINEMA n. 34-35 settembre-ottobre 1991 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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