Camera azzurra (La) - Chambre bleue (La)
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Regia: | Amalric Mathieu |
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Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo omonimo di Georges Simenon; sceneggiatura: Stéphanie Cléau, Mathieu Amalric; fotografia: Christophe Beaucarne; musiche: Grégoire Hetzel; montaggio: François Gédigier; scenografia: Christophe Offret; effetti: Damien Stumpf, Jean-François Michelas; interpreti: Léa Drucker (Delphine Gahyde), Mathieu Amalric (Julien Gahyde), Stéphanie Cléau (Esther Despierre), Laurent Poitrenaux (Giudice Diem), Serge Bozon (capitano Gendarmeria), Blutch (psicologo), Mona Jaffart (Marianne Gahyde); produzione: Alfama Films, Film(S), Arte France Cinéma; distribuzione: Movies Inspired; origine: Francia, 2014; durata: 76’. |
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Trama: | Julien e Esther s'incontrano in una camera d'hotel tappezzata di azzurro, per amarsi appassionatamente e scambiare qualche parola dopo l'amplesso. Un dialogo senza impegno, o almeno così crede Julien. Di fronte alle domande del commissario di polizia, però, non ne è più sicuro. Arrestato per l'omicidio del marito di Delphine, che forse non ha mai commesso, Julien scopre che ricordare può essere un'azione complessa, che le immagini affiorano prepotenti, si accavallano, si ripetono e possono farsi rapidamente materia di ossessione. |
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Critica (1): | “Era vero. In quel momento tutto era vero, perchè viveva ogni cosa così come veniva, senza chiedersi niente, senza cercare di capire, senza neppure sospettare che un giorno ci sarebbe stato qualcosa da capire. E non solo tutto era vero ma era anche reale: lui, la camera, Andrée ancora distesa sul letto sfatto, nuda, con le gambe divaricate e la macchia scura del sesso da cui colava un filo di sperma. Era felice? Se glielo avessero chiesto, avrebbe risposto di sì senza esitare. Non gli passava neanche per la testa di avercela con Andrée perchè gli aveva morso il labbro. Faceva parte dell'insieme, come tutto il resto”
(George Simenon, La chambre bleue).
La chambre bleue – sia il romanzo di Simenon, sia il film di Amalric – è tutto contenuto in queste prime righe: la sensualità, la violenza, la tragedia che incombe.
Il film procede per frammenti: i dettagli dei corpi degli amanti, della luce che filtra dalle imposte socchiuse, di un barattolo di marmellata, del colore della parete della stanza, lo stesso del tribunale. Senza cercare di capire, perché da capire non c'è proprio niente: come inizia una storia del genere? In maniera banale, comune a tante altre. Quando il protagonista viene interrogato non è in grado di fornire spiegazioni, solo di descrivere quello che è accaduto.
Ne esce un film magnifico e crudele, brutale nella sua evidenza: nessuna psicologia, solo i sensi, e dunque il corpo ancora una volta, dal momento che, già in Tournée (2010), i corpi erano l'unica certezza nella sospensione in cui i personaggi sceglievano di esistere. Un film antiplatonico, in cui ogni sentimento, la paura come il desiderio, la gioia come l'angoscia, hanno un sapore e una consistenza.
Gli interrogatori svelano l'assoluta incapacità di catalogare quel che per sua stessa natura è incatalogabile: il tentativo di far rientrare nella scialba e ordinaria vita di tutti i giorni la passione che lega gli amanti dimostra la difficoltà stessa di incasellare i sensi come fossero dominati dalla razionalità, mentre ciò che accade è il suo esatto contrario. Quando la donna domanda all'uomo se vorrebbe restare con lei per sempre e lui risponde sì, lei chiede se riesce a immaginare come potrebbe essere la loro vita (paragonata a quella che vivono clandestinamente in una stanza di una pensione). Lui dice che si abituerebbero a condividere il tempo e lei di nuovo ribatte che questo dovrebbe fare anche un po' paura.
E in effetti è proprio la paura il sentimento da provare: paura che quello che li lega scompaia non appena si trasformi in routine e paura dello sguardo della donna – che ha preso per prima l'iniziativa e che anche di fronte alla morte di suo marito e della moglie del protagonista appare impassibile, priva di qualsiasi emozione – una sorta di angelo sterminatore di qualsiasi convenzione sociale in nome della passione.
Non c'è ragione o torto, a meno di non voler essere ottusamente moralisti (“gli amanti sfrenati” titolano i giornali), nell'accettare che sia il corpo a ridefinire la propria identità, c'è semmai la consapevolezza che la presenza ottundente della carne, il suo svelarsi implacabile, non può conciliarsi con la consuetudine ripulita e borghese, che permette al marito di sorridere in una foto delle vacanze, di scherzare con la moglie, di giocare con la figlia ma di avere la testa altrove, di sovrapporre il vissuto del presente col ricordo della pelle dell'amante.
Per tutto il tempo il protagonista sembra di fronte a una sorta di epifania che nulla ha di metafisico, ma che è carnale e proprio per questo scandalosa. L'espressione incredula dell'uomo, che appare costantemente travolto dagli eventi e incapace di dominare qualsiasi situazione, anche la più banale, è il segno di come, nel momento in cui il corpo si presenta in tutta la sua forza dirompente, si riveli come un gigantesco rimosso: benchè costantemente esibito, di solito viene normalizzato e depotenziato, incasellandolo in modelli semplificati, per tenerne a bada la violenza intrinseca (il sangue, gli umori). Decidere di mettere in scena quel che del corpo fa problema all'interno della società significa fare una scelta estetica ma di conseguenza anche politica.
La chambre bleue è uno sguardo secco e impietoso sulla sensualità - lontanissimo da qualsiasi stereotipo romantico - che pone il corpo come nuda cosa complessa dal quale irradiano tutte le esperienze, parte del mondo come cosa tra le cose, eppure a esso irriducibile, poiché singolare e inesorabile.
Gloria Zerbinati, cineforum.it, 17/10/2014 |
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