Sedia della felicità (La)
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Regia: | Mazzacurati Carlo |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Marco Pettenello, Carlo Mazzacurati; fotografia: Luca Bigazzi;
musiche: Mark Orton; montaggio: Clelio Benevento; scenografia: Giancarlo Basili; costumi: Maria Rita Barbera; suono: Alessandro Palmerini; interpreti: Valerio Mastandrea (Dino), Isabella Ragonese (Bruna), Giuseppe Battiston (Padre Weiner), Katia Ricciarelli (Norma Pecche), Raul Cremona (Mago Kasimir), Milena Vukotic (Armida Barbisan), Mirco Artuso (Bepin Lievore), Roberto Abbiati (Giani), Lucia Mascino (Elisa), Natalino Balasso (Volpato), Antonio Albanese. Fabrizio Bentivoglio, Silvio Orlando; produzione: Angelo Barbagallo per Bibi Film con Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2013; durata: 90’. |
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Trama: | Un tesoro nascosto in una sedia, un'estetista e un tatuatore che, dandogli la caccia, si innamorano, un misterioso prete che incombe su di loro come una minaccia. Dapprima rivali, poi alleati, i tre diventano protagonisti di una rocambolesca avventura che, tra equivoci e colpi di scena, li vedrà lanciati all'inseguimento dai colli alla pianura, dalla laguna veneta alle cime nevose delle Dolomiti, dove in una sperduta valle vivono un orso e due fratelli.
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Critica (1): | Quando Carlo Mazzacurati (scomparso il 22 gennaio scorso a 58 anni) ha girato questo film, l'estate scorsa, probabilmente sapeva che sarebbe stato il suo ultimo. (…) Eppure La sedia della felicità ha poco del «film testamentario», se non il fatto che ripercorre una serie di temi centrali nella sua carriera di regista (ma proprio per questo non certo nuovi). Piuttosto, possiede una leggerezza e una delicatezza, autoironiche e vagamente malinconiche, che conquistano e affascinano, e si rivelano come la vera, preziosa «eredità» che ha voluto lasciarci. Soprattutto rispetto a un cinema italiano che oggi appare spesso o troppo vacuo o troppo pretenzioso. Non è così per questo film che recupera lo spunto del romanzo russo Le dodici sedie di Il'ja Il'f e Evgenij Petrov (già portato al cinema da Nicolas Gessner e Mel Brooks) e lo declina all'interno di quella provincia veneta che da sempre ha accompagnato la sua carriera cinematografica. Lo ammetteva volentieri anche lo stesso regista di sentirsi spaesato al di fuori di quel mondo e di quella cultura. E non è un caso che dopo un inizio «romano» abbia – caso abbastanza unico in Italia – abbandonato la capitale del cinema per tornare a stabilirsi nella sua Padova (...).Qui la «provincia» diventa una specie di atteggiamento mentale, un modo di vivere e di comportarsi che non ha bisogno delle tradizionali carrellate sulla campagna devastata dai capannoni industriali o sulle cartoline ricordo di angoli folcloristici. Si fa fatica a ritrovare Jesolo, da cui muovono i due protagonisti del film, o riconoscere i diversi luoghi delle loro peregrinazioni: la «provincia» di questo film è quella che stuzzica gli antropologi, quella dei modi di comportarsi, delle reazioni spesso fantasiose (e sempre divertenti) che ti mettono all'improvviso di fronte a un mondo che non avresti immaginato. (...) Il romanzo e le versioni cinematografiche precedenti giocavano molto del loro interesse sulle complicazioni della trama e della ricerca. Mazzacurati e i suoi cosceneggiatori, Doriana Leondeff e Marco Pettenello, puntano invece tutto sulle caratterizzazioni dei vari personaggi, specchi di un mondo «marginale» e «provinciale» (...) ma anche campioni di un'umanità sorprendentemente surreale, come i gemelli affidati a un doppio Antonio Albanese o i teleimbonitori Silvio Orlando e Fabrizio Bentivoglio (piccoli, esilaranti camei di attori che avevano interpretato in passato i film di Mazzacurati). Ne esce un viaggio che è solo apparentemente una ricerca del Graal con sfumature gialle; in realtà è il ritratto di un mondo che dietro le stranezze e le ridicolaggini mostra la faccia malinconica e umanissima di un'Italia dimenticata o relegata ai margini e che, però, possiede una sua dolcezza e una sua tenerezza pur nella stranezza e nell'incongruenza. Mazzacurati, attraverso la fotografia di Luca Bigazzi e la fiducia del produttore Angelo Barbagallo, filma ogni situazione con la comprensione «renoiriana» di chi sa che tutti hanno le loro ragioni. E lo fa con una leggerezza di tocco contagiosa e soprattutto fiduciosa nelle persone. Ottenendo di regalarci una commedia che per simpatia e originalità esce finalmente fuori dai «soliti» schemi, e insieme ci lascia il ritratto di un mondo dove – come fanno i due protagonisti – si può vivere senza abdicare al proprio ottimismo e alla propria generosità.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 22/4/2014 |
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