Aspettando la felicità - Heremakono
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Regia: | Sissako Abderrahmane |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Abderrahmane Sissako; fotografia: Jacques Besse; musiche: Anouar Brahem, Oumou Sangare; montaggio: Nadia Ben Rachid; scenografia: Laurent Cavero, Joseph Kpobly; costumi: Maji-Da Abdi; interpreti: Mohamed Mahmoud Ould Mohamed (Abdallah), Khatra Ould Abder Kader (Khatra), Nana Diakite (Nana), Makanfing Dabo (Makan), Fatimetou Mint Ahmeda (Soukeyna), Maata Ould Mohamed Abeid (Maata), Nema Mint Choueikh (Cantante Tradizionale); produzione: Duo Films - Arte France Cinema; distribuzione: Coe; origine: Francia-Mauritania, 2002; durata: 95’. |
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Trama: | Nouadhibou è un piccolo villaggio di mare sulla costa della Mauritania. Tra i suoi edifici imbiancati a calce e le sue canzoni melodiche tramandate di generazione in generazione, le vite si intrecciano in attesa di un'ipotetica felicità...
Il diciassettenne Abdallah fa visita a sua madre prima di emigrare in Europa. Incapace di parlare la lingua locale, il malinconico giovane si ritrova straniero nel suo stesso paese. Rifugge le consuetudini e le festività del villaggio. Eppure Abdallah osserva questo universo commovente a lui così sconosciuto: le sofferenze di una sensuale giovane donna, Nana; il romantico karaoke di un immigrato cinese; le frustrazioni del vecchio tuttofare Maata nei confronti dei collegamenti elettrici difettosi. E Khatra, il ragazzo rimasto orfano con i suoi occhioni pieni di curiosità e naturale abilità di evocare speranza e tenerezza... |
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Critica (1): | Quando Abderrahmane Sissako aveva appena finito i suoi studi alla scuola di cinema di Mosca, il Vgik e già furoreggiava nei festival con il suo Ottobre, titolo emblematico, ci raccontava del suo paese poco noto ai circuiti del cinema, la Mauritania, fatto di deserto e di mare, di anziani fieri e studenti con l'ansia di partire e storie al limite del surreale. Erano racconti pronti per entrare in un film ed ecco che è arrivato Aspettando la felicità (Heremakono), a Cannes 2002 (Un certain Regard ), dove ottenne il premio Fipresci, primo premio al Fespaco 2003, ora nelle nostre sale. Ogni immagine contenuta nel film rivela una coscienza poetica, la creatività di un artista speciale. La semplice autobiografia l'ha dilatata in molteplici direzioni, più fantasia che realtà come del resto avviene con la lontananza, alimentando a dismisura il sentimento della malinconia che sullo schermo diventa non penosa testimonianza, ma notazione umoristica o inaudita invenzione. C'è un ragazzo in abiti occidentali, che non sa più parlare la lingua del suo paese, disdegna usi e costumi locali, perché è sempre stato all'estero e la valigia è già pronta per il nuovo viaggio. La madre ha su di lui una influenza avvolgente, le basta un solo gesto per fermarlo o farlo andare. Osserva distaccato i suoi vicini, i passanti che vede dalla bassa finestra e di cui può osservare solo i sandali avvolti da nuvole di sabbia. Le ragazze lo prendono un po' in giro come si fa con i forestieri. Ma non è solo lui al centro della scena, la presenza maschile è suddivisa per generazioni: c'è il vecchio elettricista saggio e brontolone, il ragazzino apprendista che diventerà il nuovo elettricista del villaggio e sogna la tuta blu. Nel dialogo tra i due, tenero, umoristico con un perfetto senso dei tempi e delle battute si racconta la saggezza dei vecchi e la vitalità inarrestabile dei bambini. Qualcuno tenta complicati passaggi per uscire dal paese, non sempre si può avere un passaporto e il mare riporta indietro il suo corpo. Qualcun altro, un cinese arrivato chissà come da quelle parti a vendere orologi e giocattolini, si lancia in uno spericolato karaoke mentre fa la corte a una ragazza del posto. Attraccata al largo del porto di Nouadhibou, qualche nave sta a guardare come vigile sentinella, o come presenza evocatrice dell'inevitabile viaggio che porta in Europa. Sissako ha praticamente sempre vissuto fuori dal paese, è il regista dello sradicamento. In Ottobre il gelo moscovita agghiacciava lo studente africano, ne La vie sur terre raccontava del ritorno al villaggio in Mali di un regista africano trapiantato in Francia, per cercare la vita vera, la vita sulla terra e per cercare sé stesso. Qui fa un altro passo indietro e ci mostra come con gli stessi occhi si possono vedere e raccontare non il particolare del paese natìo ma l'universale del genere umano oggi in gran parte sradicato: l'infanzia luminosa che si trasforma in giovinezza ansiosa e che rapidamente diventa vecchiaia inutilmente saggia. Agli occidentali regala l'annullamento delle distanze, con personaggi in cui ci si può rispecchiare. E per rendere il racconto meno drammatico lo riempie di meravigliosi impulsi visivi, cattura il calore, i campi elettrici tra i personaggi e mostra perché ogni individuo è come una luce.
Silvana Silvestri, il Manifesto, 20/6/2003 |
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Critica (2): | Aspettando la felicità è un film che richiede istruzioni per l’uso. Lo spettatore deve sapere che si troverà di fronte a un’opera fragile e ipnotica, priva di sviluppo narrativo ma in grado di regalare momenti di poesia a chi si sintonizza sul suo ritmo lento. (…) È uno dei rarissimi prodotti africani che riescono a raggiungere le nostre sale: anche se il cinema di Sissako, che ha studiato regia a Mosca dove è vissuto dieci anni, per il modo elusivo del racconto e per la forma stilizzata rievoca piuttosto il cinema delle Repubbliche centro-asiatiche musulmane dell’ex Urss. A Nouadhibou, villaggio della Mauritania collocato in una landa desertica affacciata sull’Oceano, giunge un giovane da così lungo tempo lontano dalla sua terra che ne ha dimenticato lingua e usi. Abdallah osserva tutto con la malinconia di colui che, perse le proprie radici, non ne ha trovate di nuove. I tessuti rossi, blu, gialli accesi che contrastano con il bianco del sole accecante e della sabbia, le donne belle e vivaci nei loro chador colorati, l’anziana musicista che insegna alla bambina dotata a cantare secondo tradizione, l’orfanello Khatra che vuole diventare elettricista (sui generis per la verità) come il vecchio Maata, l’emigrato cinese che fa il karaoke per vincere la nostalgia, un televisore che trasmette programmi francesi con un effetto straniante in quella realtà esotica, il continuo apparire di grandi navi sull’orizzonte marino, il vento implacabile, il rito del tè, le chiacchiere sonnolente, Maata che si spegne dolcemente, Khatra che prova a salire clandestino su un treno, Abdallah in partenza con le valigie che arranca su una duna in un’immagine di sospesa solitudine emblematizzante lo stato del suo cuore, una lampadina elettrica che s’accende come una speranza. È un mosaico che a poco a poco compone il ritratto di un luogo di transito che sembra una città di fantasmi e dove tuttavia pulsa una cultura antica e senza tempo.
Alessandra Levatesi, La Stampa, 17/6/2003 |
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| Abderrahmane Sissako |
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