Strade del sud (Le) - Routes du sud (Les)
| | | | | | |
Regia: | Losey Joseph |
|
Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Jorge Semprun, Patricia Losey, Joseph Losey; fotografia: Gerry Fisher; musiche: Michel Legrand; montaggio: Pierre-William Glenn, Reginald Beck; interpreti: Maurice Bénichou (Garcia), Jean Bouise (il mezzadro), Eugene Braun Munk (Egon), Claire Bretecher (giornalista Tv), Christian de Tillière, José Luis Gómez (Miguel), Mario Gonzales, France Lambiotte (Eve Larrea), Alain Barbier, Jeannine Mestre (Nuria), Francesco Vicens (medico spagnolo), Miou-Miou (Julia), Gerard Moisan (Jean Larrea giovane), Yves Montand (Jean Larrea), François Nadal, Roger Planchon, Frederique Ruchaud, Luis Pascual Sanchez (ragazzo con barba), Didier Sauvegrain (Korpik), Guy Thomas, Arja Toyryla (Arja), Laurent Malet (Laurent Larrea), Francine Meunier (Francine); produzione: Yves Rousset Rouard per Trinacra Films (Francia) e Profilmes (Barcellona); distribuzione: Cineteca Griffith; origine: Francia-Spagna, 1978; durata: 100’. |
|
Trama: | Da qualche parte in Francia, in una bella e comoda villa, vive con la moglie Eva il profugo spagnolo Jean Larrea, sceneggiatore di successo, e ben retribuito, che alterna l'attività professionale con il sostegno attivo alla lotta clandestina contro il regime franchista. Anche Eva è una militante antifranchista, mentre il loro unico figlio, il diciottenne Lorenzo, che contesta il padre rimproverandogli di campare di ricordi, sta a Parigi. Durante uno dei suoi periodici ritorni a casa, il contrasto fra Lorenzo e Jean si aggrava, sia perchè Eva, che aveva sostituito il marito in una missione in Spagna, muore in un incidente automobilistico, sia perchè Jean s'è visto respingere un suo soggetto (nel quale rievoca la decisione di Stalin di far fucilare un soldato tedesco, che aveva disertato per avvertire i sovietici dell'imminente offensiva nazista), e ne è stato invece accettato uno scritto da Lorenzo. Il giovane riparte, lasciando al padre, con la speranza di strapparlo ai ricordi e alla tentazione di suicidarsi, la propria ragazza, Julia. Nè far l'amore con lei, nè la notizia che Franco è morto, però, sembrano risvegliare la vitalità di Jean, anche se egli – che si è adoperato per far scarcerare Lorenzo, arrestato, durante una manifestazione antifranchista per le vie di Parigi – si illude ancora di poter ricominciare. |
|
Critica (1): | Tra uno sceneggiatore che a tutti i costi vuole confessarsi e un regista che, piuttosto che con le confessioni, ha a che fare con le abiure, le false ammissioni, le truffe, il gioco non poteva fatalmente che risultare schizofrenico. La confessione, del resto, qualora non sia estorta, è il procedimento più simile al velamento e alla mimetizzazione che si possa immaginare. Colui che, senza scampo, intende confessarsi è anche colui che sa bene cosa potrà dire e cosa non dire affinché possa mantenere intatte le proprie difese narcisistiche. Il tutto supportato, non da un cialtronesco, affascinante e perverso «fellinismo», bensì dal più serio e razionale background storico così che il discorso del soggetto che si confessa ne tragga una valorizzazione indiscutibile. Fenomeno di transfert che fa la sua comparsa non appena il soggetto si ritiene chiamato in questione e finisce per accampare, tra le resistenze, dei processi che mirano ad un massimo di svelamento così che tutto, in realtà, venga sottratto alla vista; la confessione di Semprun si rivela per essere esattamente quella parte del discorso cosciente che il soggetto sa di poter dare in pasto all'ascoltatore così da soddisfarlo e risultare inattaccabile.
Losey, al contrario, è specializzato in falsificazioni e abiure, ma non nel senso che banalmente può alludere alla lista nera, , bensì in quell'altro che definisce il cinema come un campo di battaglia tra l'autore e gli spettatori, tra i quali s'instaura una gara di lusinghe, di false piste e d'insanabili ambiguità. Il che h, è come dire che Losey è specializzato in «cinema».
Tant'è vero che, tirandosi dietro Gerry Fisher, è proprio a lui i che chiede di sostanziare le poche idee di regia di un film che peraltro rischia sistematicamente il didascalico (alludo evidentemente alle sequenze sul film da fare, dove la luce da plumbea si fa gelida e dove il virato seppia ha richiami insospettati e convincenti; scene queste che, non a caso, sono tra le poche prive di dialoghi in tutto il film). Un po' di tempo fa un noto critico di un quotidiano, elogiando l'opera di un giovane regista italiano, diceva che «fortunatamente» costui era più interessato al sudore e alla fatica dell'uomo piuttosto che al cinema. Che è un po' come dire che I un calzolaio dovrebbe essere più preoccupato del punto di fusione del rame piuttosto che di come si facciano le scarpe. Semprun, in questo senso, si dichiara da subito più interessato alla situazione della Spagna e a regolare in essa la propria posizione di soggetto, piuttosto che al cinema. Losey, invece, al di là del film in questione, sembra più attento all'aprirsi di uno spazio per il gioco nel quale le certezze delle identità finiscano per scivolare e nel quale i margini garantiti all'ambiguità procreino scompensi e allusioni. E per questo forse che il «bambino» è nato un po' bastardo, scisso tra due identificazioni differenti: quella con uno sceneggiatore famoso e quella con uno dei maggiori registi contemporanei; tanto che il trovatello finisce per non assomigliare a nessuno dei due, acquistando quel tanto d'imprevedibile e di sgradevole che fa di ogni opera una cosa unica e irripetibile.
(La storia) È quella di uno sceneggiatore di sinistra, spagnolo ed esule in Francia, che continua ad aiutare, assieme alla moglie Eve, la lotta clandestina contro il franchismo. A completare il quadro dell'Edipo s'aggiunge il figlio ribelle, Laurent, passabilmente innamorato della madre, ma totalmente soggiogato dalla figura del padre. Capita allora che Eve, nel compiere una missione politica in Spagna, muoia banalmente in un incidente automobilistico. È a questo punto che s'inserisce Julia, un'amica di Laurent, per alcuni aspetti sostitutiva della figura della madre, che appare in scena quasi contemporaneamente all'annuncio della morte di Eve. È il periodo della lunga agonia di Franco, ma il momento tanto atteso lascia Jean totalmente svuotato, tanto più che dall'agenda di Eve, trovata nel doppiofondo della borsa di lei, viene a conoscenza di una relazione che esisteva tra la moglie e Miguel, un dirigente comunista. Il tutto sembra scuotere sensibilmente il Nostro, ma non fino al punto di minare le sue certezze e le sue speranze nel futuro. Il film si conclude così, alquanto mestamente, con un dialogo tra padre e figlio e con una battuta che il nostro sceneggiatore di sinistra deve aver tratto da un qualche rotocalco: «lo ricomincio da capo». (...)
Eppure con Losey bisogna andarci piano. Se non altro perché è francamente troppo comodo attribuire a Semprun tutti e soli i lati negativi del film. È vero che i dialoghi sono la cosa più deprimente di tutto l'insieme, ma da questo a farne un capro espiatorio ce ne corre. Tra l'altro in pochi casi come in Losey il criterio d'autore subisce colpi tanto decisivi. Così come non sarà mai abbastanza rivalutato l'apporto di Franz Salieri in Mr. Klein, anche per Le strade del sud converrà aggiungere qualche altro nome a quello del regista, così da rendere conto anche dello stretto rapporto di collaborazione che Losey ha con il direttore della fotografia e con lo scenografo. Alexander Trauner non è impegnato in grosse ricostruzioni di ambienti, a lui comunque Losey attribuisce l'invenzione del museo Mirò, dei mobili coperti di tela bianca nel salotto del dirigente comunista, più l'ambientazione nel villaggio spagnolo. Per la verità la cosa migliore è proprio la casa di Larrea, non casualmente divisa tra due piani (anche se ne Il servo una cosa del genere sortiva ben altri risultati) e sufficientemente spaziosa da permettere a Losey della panoramiche essenziali e funzionalissime, così da raccordare lo svolgimento di un'intera scena all'interno di una sola inquadratura. Di Gerry Fisher abbiamo accennato più sopra, sottolineando come fossero affidati a lui proprio i momenti migliori di tutto il film (gli inserti del film da fare, la scena notturna nel mercato spagnolo). Vero è, però, che gli riesce alla perfezione anche la nitidezza quasi piatta delle scene spagnole, in contrasto alla scabrosità di quelle parigine. Sembra inoltre che Yves Montand non abbia particolarmente gradito la parte, come garbatamente ci informa lo stesso Losey, a riprova del fatto che nessuno più di un attore di «sinistra» sia provvisto di scheletri nell'armadio. Montand è probabilmente uno dei maggiori attori francesi, ma è impossibile spesso dissociarne l'immagine da quella degli scheletri riposti negli armadi cinematografici assieme a Costa-Gavras.
Gualtiero De Marinis, Cineforum n. 197, 9/1980 |
|
Critica (2): | |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| |
| |
|