Martha - Martha
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Regia: | Fassbinder Rainer Werner |
Cast e credits: |
Soggetto: dal racconto For the Rest of Her Lite di Cornell Woolrich; sceneggiatura: Rainer Werner Fassbinder; fotografia (col.): Michael Balhaus; scenografia: Kurt Raab; musica: brani d'archivio; interpreti: Margit Carstensen (Martha Hyer), Karlheinz Boehm (Helmut Solomon), Gisela Fackelday (la madre), Adrian Hoven (il padre), Peter Chatel (Kaiser), Ingrid Caven (Ilse); produzione: WDR; origine: Germania, 1993; durata: 112'. |
Critica (1): | Si lamenta l'assenza di dive sul Lido, e purtroppo anche quella di Rainer Werner Fassbinder non è altro che un fantasma: Martha porta la data 1973. Un film bloccato per vent'anni da questioni di diritti (quelli del romanzo da cui è tratto: For the Rest of her Life di Cornell Woolrich) oggi restaurato dalla Rainer W. Fassbinder Foundation e distribuito nelle sale italiane dalla giovane casa di distribuzione Nemo (Beppe Attene e Carla Cattani). Prodotto per la televisione tedesca Wdr (trasmesso una sola volta nel '73), Martha è un melodramma gelido, tra Sirk e Hitchcock, una levigata superficie orrorifica che trasforma il romanzo del "poeta delle ombre" Woolrich (scrittore newyorkese morto nel 1968, ha passato gli ultimi anni della sua vita chiuso in albergo, autore di racconti ultra-dark, molti trasposti sullo schermo: La sposa in nero, La donna fantasma, L'uomo leopardo) in una storia di ossessione amorosa. Agli estremi opposti della misoginia. Perché Martha (Margit Carstensen), vittima di un marito sadico, rappresenta l'"innamorato" (sessualmente "neutro") paralizzato di fronte agli abusi dell'amato, pronto a modificare i suoi gusti, ampliarli, "cedere" ai desideri altrui in nome di un'esperienza comunque traumatizzante, quella dell'amore. Fassbinder-Woolrich (omosessuali entrambi) dicono l'impossibilità di essere normali in una coppia eterosessuale, scandita su tempi e spazi del matrimonio. Perché se Martha è pronta alle "contaminazioni", il marito Helmut Salomon (Karlheinz Bohm) pretende di plasmarla come un suo doppio. Anima nazista, freddo e sorridente, Helmut la conduce, in un'escalation ossessiva, verso la follia. Bianca, scheletrica Barbie, Martha è come le donne di Fassbinder, corpo fantasma, insondabile e accorato. Capelli rossi, fluenti come Gilda, lei attraversa gli avvenimenti con una sorta di straniazione mentale. A Roma, dove il film si apre, sulla scalinata di Trinità dei Monti, lei piange l'improvvisa morte del padre, colpito da infarto, solo dopo il furto della borsetta. Ha perso tutto, ma troverà Helmut. La madre, dal suicidio facile, è relegata in manicomio. Il cerchio si chiude su Martha che già nel viaggio di nozze è costretta a rinunciare ai suoi gusti: lui le proibisce il caffè a colazione «perché tè e cornflakes fanno bene» poi la fa bruciare al sole («mi piaci abbronzata») e le strazia il corpo livido e ustionato con un amplesso improvviso. La conduce in un altro appartamento (dove accadde un delitto, «così si risparmia») mentre lei preferiva la casa paterna. Un luogo sovraccarico di piante esotiche, decadente, cupo (molto film noir). Potrà fumare solo in veranda, sentire solo dischi di Orlando di Lasso ("Donizetti è merda") e leggere un libro sull'ingegneria delle dighe. La fa licenziare a sua insaputa dalla biblioteca, le uccide il gatto, le taglia i fili del telefono, le chiede, sempre "in nome dell'amore" di non uscire di casa (lui, ingegnere, è fuori per settimane). Martha si ribella, ma Helmut si offende e la lascia sola. Poi torna e la morde, come fanno i vampiri, sul collo. Tecniche amorose. Estremi della normalità. Un film girato tutto con lo stesso obiettivo, senza zoom, racconta il direttore della fotografia Michael Balhaus, come dentro una vasca di vetro trasparente. Luci e colori innaturali, secondo Fassbinder che visualizza una Roma da palcoscenico d'opera. Margit Carstensen sembra un'attrice del muto, parla anche se tace con lo sguardo perso. Finirà sulla sedia a rotelle, «per sempre sua», oggetto di possesso eterno. Martha è l'ultimo regalo di Fassbinder, e anche un atto di sadismo alla Helmut Salomon perché non finiremo mai di aspettare un altro suo film.
Mariuccia Ciotta, il manifesto, 6/9/94 |
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