Fascino del delitto (Il) - Série noire
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Regia: | Corneau Alain |
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Cast e credits: |
Soggetto: tratto dal romanzo di Jim Thompson “A Hell of a Woman”; sceneggiatura: Alain Corneau, Georges Perec; fotografia: Pierre-William Glenn; musiche: Duke Ellington, Juan Tizol; montaggio: Thierry Derocles; interpreti: Bernard Blier (Staplin), Myriam Boyer (Jeanne), Patrick Dewaere (Frank Poupart), Charlie Fanrel (Marcel), Jeanne Herviale (zia di Maria), Andreas Katsulas (Andreas Tikides), Marie Trintignant (Mona); produzione: Maurice Bernart per Prospectacle e Gaumont; distribuzione: Gaumont VaLe (1980); origine: Francia, 1979; durata: 110’. |
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Trama: | Frank Poupart, rappresentante di commercio che cela un'attività di ricettatore e criminale, si invaghisce di Mona, una ragazza costretta da sua zia a prostituirsi. Finito in carcere per una falsa accusa, l'uomo ritrova la libertà grazie all'intervento della ragazza che paga la cauzione per il suo rilascio. Mona lo mette al corrente che, in casa della zia, c'è un tesoro nascosto.... |
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Critica (1): | (...) Corneau non si lascia suggestionare dal fascino del delitto. Piuttosto, ha appreso molte cose sul fascino del film d’azione, andando a scuola nella «factory» di Roger Corman, per il quale è stato assistente. E ciò che ha appreso lo ha rielaborato in uno stile assai personale, fatto di ombre piú che di luci, di ambienti tetri e di squallidi paesaggi. L’azione, nel suo film, non c’è piú: tutto è raffinata costruzione psicologica, descrizione, persino statica, di ambienti e situazioni, di nevrosi e debolezze. Ormai, Corneau comincia a proporsi seriamente come l’erede di Jean-Pierre Melville, metteur en scène di classe che, costruendo sul modello del film d’azione americano, elaborò una sua personale filosofia del delitto. Come Melville, anche Corneau è assai sensibile al richiamo di Hollywood e, piú in generale, della cultura statunitense: non è un caso se Il fascino del delitto è tratto da un romanzo di Jim Thompson, «Hell Of A Woman», pubblicato in Francia nella "Série noire" di Gallimard (il titolo originale del film è proprio Série noire). Jim Thompson è uno scrittore che col cinema ha avuto diversi rapporti. In primo luogo ha posto la sua firma alla sceneggiatura di Orizzonti di gloria, che è una delle opere migliori di Stanley Kubrick. Era il 1957. L’anno precedente, Thompson aveva aiutato lo stesso Kubrick nella stesura dei dialoghi di Rapina a mano armata (The Killing). A ciò si aggiunga che, una decina di anni piú tardi, Thompson scrive un romanzo che Sam Peckinpah non lascia invecchiare piú di tre anni prima di portarlo sullo schermo: The Getaway. Il romanzo dal quale Corneau ha tratto questo Il fascino del delitto è ambientato in America, ma il regista di Police Python 357 ha voluto trasferire la vicenda nella Francia sporca e miserabile della periferia parigina. Non si tratta solo di un cambiamento geografico: anche i personaggi sono giustamente ridimensionati. Le loro pulsioni, i loro stessi volti e i gesti sono bene adattati alle tinte grigie che dominano su questo sfondo.
Nel film, il ruolo del protagonista è affidato a Patrick Dewaere («un De Niro dei poveri», lo ha definito Cosulich), attore pieno di fronzoli sì ma molto bravo a padroneggiare la mimica gestuale e facciale. In qualche caso, Dewaere è tanto gigione da sembrar completamente finto, quasi che fosse il peggiore degli epigoni dell’Actor’s Studio, impegnato in un saggio di fine d’anno: qui è Frank Poupart, detto Poupé, un poveraccio che lavora come esattore di una piccola società per la vendita rateale dei generi più diversi. Egli, improvvisamente, vede aprirsi uno spiraglio nel trantran della sua insopportabile esistenza: liberare un gioiellino di fanciulla dalle grinfie di una zia che la costringe alla prostituzione, far fuori la vecchiaccia e rubare il consistente malloppo che questa tiene nascosto sotto il mattone. (...) Poi, per scaricare la colpa su un tipo che conosce, è costretto ad ammazzarlo. Poupart ha ormai ceduto al fascino discreto del delitto e ammazza la propria moglie (Miriam Boyer), alla quale ha cercato di tener nascosta la tresca. Alla fine, però, i soldi del colpo glieli frega il suo datore di lavoro (Bernard Blier), un vecchio furbacchione, che ha scoperto tutto e lo ricatta. Al povero Poupart resta la coscienza sporca di tre omicidi e la fanciulla (...). E la stringe a sé in un abbraccio da balletto finale che, a cavallo di una melodia trascinante, cita con ambiguità e ironia, l’happy end hollywoodiano.
Questo Frank Poupart ha una curiosa geografia morale. Nel disegnarla, Corneau ha giocato col concetto di personaggi simpatici e personaggi antipatici: il piazzista Poupé ci è presentato ora come un individuo cinico e spietato, ora come un infelice e spaurito bamboccio, ora come un simpatico e onesto buontempone. In ultima analisi, è solo un poveraccio che non può permettersi di avere dei principi se vuole inseguire il suo sogno di felicità: è la sua disponibilità a tutto che gli conferisce questa fastidiosa vena di trivialità.
Il fascino del delitto, molto raffinato nello stile e nelle tecniche impiegate, si basa su un racconto dai toni aspri, persino caricati: un Chandler alla Zille oppure, visto che siamo in Francia, alla Zola. Da questo contrasto nasce il sapore davvero speciale del film. Corneau, bisogna dirlo, è un regista all’antica. Preferisce cimentarsi in saggi di analisi psicologica piuttosto che misurarsi con problematiche più attuali; è, dunque, completamente all’opposto del Tavernier di La morte in diretta, film scarno dal punto di vista della descrizione psicologica, basato sulla centralità dei mass-media nella nostra cultura. Ma monsieur Corneau ha le sue qualità: nel destreggiarsi con luoghi narrativi classici come la violenza o l’assassinio, dimostra un senso tragico del quotidiano che è ammirevole. Il suo è un "noire" d’autore. Ciò che distinque, e che in ultima analisi appesantisce, Il fascino del delitto rispetto ai film di un maestro come Melville, è proprio il lavoro di cesello col quale Corneau giunge a definire, uno ad uno, i suoi personaggi, modellati con fin troppa abilità e accuratezza.
Stefano Masi, Cinemasessanta n. 137, 1-2/1981 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Alain Corneau |
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